◊
I. LA
RICERCA
◊ I.1. L'inizio della
ricerca
◊ I.2. Libro, testo,
opera, edizione
◊ I.3. Le
bibliografie
◊ I.4. I cataloghi
◊ I.5. Cataloghi alfabetici per autore e per soggetto
◊ I.6. Le biblioteche
◊ I.7. Problemi di
ricerca nel catalogo per autori
◊ I.7.1. Qual è il nome dell'autore?
◊ I.7.1.1. Chi è l'autore?
◊ I.7.1.2. L'intestazione della scheda
◊ I.7.1.3. I nomi con prefisso
◊ I.7.1.4. Autori antichi o "orientali"
◊ I.7.2. La trascrizione/traslitterazione in caratteri
latini
◊ I.7.3. L'ordine alfabetico
◊ I.8. I cataloghi
dei periodici. Altri tipi di catalogo
◊ I.9. Gli OPAC (Online Public Access Catalog)
◊ I.10. Lo studio
◊ II. LA REDAZIONE DI UN TESTO DI CARATTERE SCIENTIFICO
◊ II.1. Quindici consigli
per aiutare chi scrive e salvare chi legge (F. D'Intino)
◊ II.2. Come
strutturare il testo
◊ II.3. La redazione
del testo
◊ II.3.1. Come si
digita il testo
◊ II.3.2. Breviario
di punteggiatura (F. D'Intino)
◊ II.3.3. Accento e
apostrofo (F. D'Intino)
◊ II.3.4. Consonante
eufonica (F. D'Intino)
◊ II.3.5. L'uso del corsivo
◊ II.3.6. Le
virgolette e le parentesi
◊ II.3.7. Le
citazioni
◊ II.4. Abbreviazioni
e termini usati nella redazione di testi scientifici
◊ II.5. Le note e la
bibliografia
◊ II.5.1. Le note
◊ II.5.2. La
bibliografia
◊ II.5.3. I
riferimenti bibliografici in nota
◊ II.5.4. Il
"sistema autore-data"
◊ II.6. La
"grammatica bibliografica" (B. Lo Turco)
◊ II.6.1. Norme
generali
◊ II.6.2. La
sintassi bibliografica
APPENDICI
◊ Appendice I:
Quadro riassuntivo dei modi
di citazione bibliografica
◊ Appendice II
Quadro riassuntivo dei modi
per introdurre un riferimento bibliografico in nota o nel testo
I.
LA RICERCA
Stabilito
con il docente l'argomento della tesi(na), lo studente si trova di fronte al
problema di reperire bibliografia su quel determinato argomento. Il problema
successivo sarà quello di localizzare e procurarsi i testi (libri, saggi,
articoli) di cui ha bisogno. Per queste due esigenze sono di aiuto due
strumenti fondamentali della ricerca: le bibliografie
(o repertori bibliografici) e i cataloghi.
Dal
punto di vista teorico una distinzione netta tra bibliografie e cataloghi non
ha ragione di esistere: in entrambi i casi, infatti, si ha a che fare con un
elenco e con una descrizione ― disposta secondo un ordine e sulla base di
criteri determinati ― di libri o di opere. Semplificando un po', però, si
può affermare che una bibliografia serve, per chi la consulta, a sapere quali
opere esistono su un determinato argomento; mentre un catalogo serve a
localizzare e a reperire tali opere in una particolare biblioteca.
Ogni
settore disciplinare possiede degli strumenti bibliografici che lo studioso di
quel settore deve conoscere e saper utilizzare. Il docente dunque, al momento
dell'assegnazione di una tesi(na), indicherà allo studente quali repertori
bibliografici consultare per raccogliere la bibliografia necessaria.
Prima
ancora di fare ricorso ai repertori bibliografici, lo studente può avvalersi di
altri strumenti che rientrano ― come le bibliografie e i cataloghi
― nel novero della cosiddetta "letteratura secondaria", termine
con il quale si designa quel genere di pubblicazioni che si basano su altre
pubblicazioni, indicizzandole o rendendone più facilmente fruibili i contenuti,
senza costituire opera di ricerca "di prima mano". Si tratta dei manuali e delle enciclopedie. Infatti, partendo da un buon manuale ―
possibilmente di recente pubblicazione o aggiornato ― di storia, di
storia della letteratura, ecc., si può ottenere un primo orientamento
bibliografico (oltre che di contenuto) circa l'argomento che interessa. Lo
stesso si può fare partendo da un'enciclopedia, individuando una voce che abbia
attinenza con l'argomento in questione.
La
distinzione tra "letteratura primaria", che presenterebbe i risultati
di ricerche "di prima mano" (monografie; articoli su riviste, o in
raccolte e volumi miscellanei) e "letteratura secondaria" si presta,
come spesso le classificazioni scolastiche, a numerose critiche. Vi sono opere
classificabili come "letteratura secondaria" che rivestono grande
valore scientifico, e non di rado rappresentano anche, per certi aspetti, il
frutto di un lavoro originale.
La
raccolta della bibliografia, una volta iniziata, procede facilmente e quasi da
sola. Quando si è trovato un libro o un articolo che concerne l'argomento che
interessa, le opere che vi sono citate vengono ad aggiungersi alla bibliografia
da consultare per la redazione della tesi(na). L'unica difficoltà concerne il
reperimento della bibliografia più recente (libri e articoli appena
pubblicati), che non è ancora segnalata nella letteratura secondaria, né citata
nella letteratura primaria. Sarà dunque compito del docente quello di segnalare
allo studente almeno la bibliografia più recente.
Naturalmente,
man mano che si raccoglie la bibliografia è opportuno procurarsi i testi e cominciare a leggere, per capire che cosa
è veramente utile per la ricerca, e che cosa non lo è.
I.2. Libro, testo, opera, edizione
Quando
ci si occupa di questioni di carattere bibliografico, e quando si lavora su
testi, è bene riflettere sui termini che si usano in riferimento all'oggetto di
studio (libro, opera, ecc.), per evitare confusioni. Ogni libro, infatti, può
essere considerato innanzi tutto come un oggetto fisico, prodotto secondo una
certa tecnica, e caratterizzato da un certo numero di pagine, da un certo
formato,[1]
ecc. L'aspetto materiale del libro, che può essere manoscritto o a stampa,
interessa soprattutto il codicologo e il bibliografo.[2]
Ma un libro è anche ― e per lo studioso è soprattutto ― il veicolo
di un testo e la materializzazione di un'opera. Perciò è bene non confondere il
libro, in quanto oggetto materiale,
con il testo, inteso come realtà
linguistica rappresentata nel libro, e con l'opera, intesa come realtà concettuale. Una cosa è infatti parlare
in astratto del canzoniere di un poeta, inteso come opera dell'universo
letterario, altra cosa è parlare di un certo manoscritto o di una certa edizione di quest'opera, che ci presenta
un testo, inteso come realtà linguistica concreta, che può variare anche
notevolmente da manoscritto a manoscritto, e da edizione a edizione. Solo nel
caso di opere pubblicate una volta sola, in un'unica edizione — come sono per
lo più le opere di ricerca, la cosiddetta "letteratura scientifica" —
opera e edizione possono identificarsi. (Nelle pagine che seguono si parla
talvolta di opera, anziché di edizione, in questo senso.)
Anche
la parola "libro", usata in riferimento a una realtà materiale, deve
essere precisata. Nell'uso bibliotecario essa è per molti aspetti
insoddisfacente. Il bibliotecario ha infatti a che fare con una vasta gamma di
"oggetti" che non sono sempre definibili come libri, dalle
pubblicazioni in uno, o in più volumi (quali i periodici o riviste, le
enciclopedie, le pubblicazioni seriali), alle tesi di laurea inedite (che una
biblioteca acquisisce e rende disponibili per il pubblico), ai cd-rom
(contenenti testi letterari o di altro genere). Perciò si preferisce usare il
termine "documento" per riferirsi a qualsiasi oggetto, quale ne sia
la forma o il supporto, in cui siano registrate delle informazioni, e che
dunque costituisca oggetto d'interesse bibliografico.
Esistono
tipi diversi di bibliografie, innanzi tutto in base al criterio che presiede
alla scelta del materiale segnalato. Accanto alle bibliografie generali, in cui non sono pertinenti distinzioni di
contenuto o disciplinari o di altro genere, e che aspirano a segnalare — ma si
tratta di un'aspirazione soltanto teorica — tutto ciò che si pubblica in tutti
i campi del sapere e in tutte le lingue (bibliografie
universali), o che segnalano tutto ciò che si pubblica in un determinato
paese e/o in una certa lingua (bibliografie
nazionali), esistono bibliografie speciali
o specializzate, nelle quali il
materiale bibliografico è segnalato in base a un determinato criterio, che
presiede alla selezione del materiale e alla sua inclusione nel repertorio.
Qualsiasi
carattere del libro, interno (il contenuto dell'opera), o esterno (relativo
cioè a un aspetto del libro in quanto oggetto materiale), può essere
individuato come criterio che presiede alla selezione. Esistono bibliografie
che segnalano solo le pubblicazioni attinenti a una singola disciplina, o a un
determinato ambito, più o meno ristretto, del sapere; oppure bibliografie in
cui il criterio che presiede alla scelta del materiale bibliografico e alla sua
inclusione nel repertorio è rappresentato da un aspetto diverso dal contenuto
dell'opera, come ad esempio l'editore, o l'anno di pubblicazione. Se dunque
normalmente uno studioso consulta una bibliografia per sapere quali opere
esistono relativamente ad un certo argomento, esistono anche bibliografie
― utili in determinati campi di ricerca ― che per esempio segnalano
tutte le edizioni di una certa opera, oppure tutte le opere pubblicate in un
certo arco di tempo, o tutte le opere pubblicate da un certo editore. Oppure,
in base alla forma del documento, si possono avere bibliografie che segnalano
solo articoli, che siano pubblicati su periodici, in volumi miscellanei, o in
atti di convegni; per il dominio degli studi sul mondo islamico l'Index Islamicus ne è un esempio.
Quest'ultimo tipo di bibliografie è particolarmente utile, dato che gli
articoli ― una delle principali forme attraverso le quali la ricerca
scientifica presenta i suoi risultati ― non sono catalogati separatamente
nelle biblioteche, e possono facilmente sfuggire all'attenzione degli studiosi.
L'ordinamento
del materiale in una bibliografia varia a seconda degli scopi della
bibliografia stessa, e del criterio che presiede alla scelta del materiale
segnalato. I repertori che hanno per scopo quello di segnalare le opere in base
al loro contenuto sono generalmente organizzati in maniera sistematica, cioè
secondo uno schema di classi e sottoclassi di argomenti, che normalmente si
trova rappresentato in forma di indice generale nelle pagine iniziali della
bibliografia stessa. All'interno di ogni partizione, poi, le descrizioni
bibliografiche possono essere date secondo l'ordine alfabetico del nome
dell'autore, oppure in ordine cronologico, secondo la data di pubblicazione.
Vari indici alla fine del repertorio aiutano il ricercatore a trovare le
informazioni di cui ha bisogno. La bibliografia delle edizioni di una certa
opera sarà invece organizzata cronologicamente, per esempio dalle edizioni più
antiche a quelle più recenti; e così via.
Si
parla di bibliografia corrente se il
materiale bibliografico vi è segnalato man mano che viene pubblicato; tali
repertori si presentano per lo più con carattere di periodico, essendo
pubblicati con una certa cadenza, a intervalli regolari (una volta l'anno,
oppure due volte l'anno, e così via). Si parla invece di bibliografia retrospettiva quando il materiale bibliografico
segnalato è relativo a un arco di tempo chiuso e determinato.
Se
poi, nella scelta se includere o no un'opera o un articolo nel repertorio,
entra anche in gioco un giudizio sul valore dell'opera stessa, si parla di bibliografia selettiva, in opposizione a
bibliografia di registrazione. A
seconda del livello di maggiore o minore approfondimento della descrizione
bibliografica, si parla di bibliografie soltanto segnaletiche, descrittive,
analitiche, e infine critiche o ragionate, se la descrizione è accompagnata da un resoconto e da
una valutazione critica del contenuto dell'opera.
A proposito delle distinzioni cui si è
accennato, bisogna sempre tenere presente che si tratta di classificazioni
teoriche e un po' scolastiche, dal momento che ogni repertorio bibliografico
può appartenere contemporaneamente ― a seconda dei punti di vista ―
a tipologie diverse; e che non c'è un completo accordo tra gli studiosi
nell'uso terminologico e nelle definizioni. Dal punto di vista pratico, quello
che conta è saper usare questi strumenti per estrarne tutte le informazioni
necessarie. Se non altro a questo scopo, è bene avere le idee chiare circa il
tipo di repertorio che si sta consultando.
I
cataloghi, che segnalano il patrimonio librario posseduto da una, o da più
biblioteche (in quest'ultimo caso si parla di catalogo collettivo; in inglese: union catalog), servono a localizzare l'opera desiderata, servono
cioè a sapere se l'opera che si sta cercando è posseduta o no dalla biblioteca
o dalle biblioteche in questione.
I cataloghi possono essere relativi a materiale diverso:
cataloghi di manoscritti; di stampati (cioè delle opere a stampa); di periodici
o riviste; di microfilm; di carte geografiche; di spartiti musicali; ecc. I
cataloghi, inoltre, possono presentarsi in forme e su supporti diversi:
cataloghi a stampa (in forma di libro); cataloghi a schede o schedari;
cataloghi su microfiches o su cd-rom; cataloghi consultabili in linea.
I cataloghi consultabili in linea sono i più comodi per un
utente, perché possono essere consultati da qualsiasi computer collegato in
rete. Negli ultimi anni molte biblioteche hanno iniziato a catalogare le nuove
accessioni, cioè il nuovo materiale bibliografico che entra in biblioteca, in
modo che esso sia consultabile in linea (sui cataloghi in linea, o OPAC, vedi
sotto). Va inoltre ricordato, per l'Italia, il Sistema Bibliotecario Nazionale
(sigla: SBN), catalogo collettivo in linea che rende accessibile il posseduto
delle biblioteche pubbliche (statali, di enti locali, universitarie), ed anche
di alcune accademie e istituzioni pubbliche e private, che aderiscono al
progetto.[3]
Tuttavia questo nuovo tipo di catalogo (sia gli OPAC, sia l'indice SBN) copre
una porzione ancora esigua del posseduto delle biblioteche; e la consultazione
dello schedario di una biblioteca ― attuabile, purtroppo, soltanto in loco ― resta ancora un momento
essenziale della ricerca.
I cataloghi delle opere a stampa possedute da una biblioteca
si presentano normalmente in forma di schedario, cioè sono costituiti da una
serie di schede di cartoncino disposte secondo un certo ordine (in genere
alfabetico) in base all'intestazione
della scheda, entro cassetti metallici o, anticamente, di legno. Solo poche
grandi biblioteche hanno pubblicato il catalogo dei loro stampati: la
Biblioteca Nazionale di Parigi (ora: di Francia); la British Library di Londra.
E' inoltre importante conoscere l'esistenza del National Union Catalog (sigla: NUC), catalogo collettivo della
Library of Congress di Washington, e di altre biblioteche degli Stati Uniti e
del Canada; nei suoi 754 volumi, pubblicati tra il 1968 e il 1981, consultabili
per esempio nell'area destinata ai cataloghi nella Biblioteca Nazionale di
Roma, sono riprodotte le schede relative alle opere possedute dalle biblioteche
americane e canadesi pubblicate fino al 1956.[4]
Questi
cataloghi di grandi raccolte librarie sono utili per diversi motivi: per
verificare l'esattezza dei dati di carattere bibliografico di cui siamo in
possesso: esiste davvero l'opera che sto inutilmente cercando nelle biblioteche
della mia città? sono corretti i dati in mio possesso relativi al nome
dell'autore, al titolo dell'opera, alla data e al luogo di edizione? Tali
cataloghi, inoltre, essendo relativi a grandi raccolte librarie, possono essere
usati come dei repertori di bibliografia generale: quali altre opere ha
composto un certo autore? quali e quante edizioni di un'opera esistono? Nei
casi disperati, infine, quando un testo importante per le nostre ricerche è
irreperibile a Roma, si può tentare di procurarselo, in fotocopia, o tramite
prestito internazionale, da Parigi o da Londra.
I
cataloghi di manoscritti, a differenza dei cataloghi di stampati, sono per lo
più a stampa, e dunque consultabili presso qualsiasi biblioteca possieda una
copia del catalogo stesso. Soprattutto in Italia però, particolarmente per i
manoscritti in lingue orientali, non è raro il caso di cataloghi di manoscritti
che restano inediti, in forma manoscritta o dattiloscritta, e che dunque sono
consultabili solo nella biblioteca che conserva la raccolta di manoscritti in
questione.
Nelle
biblioteche italiane normalmente i periodici, detti anche "riviste",
possiedono un catalogo a parte, distinto da quello delle cosiddette
"monografie" (sui cataloghi dei periodici, vedi oltre).[5]
Circa i
microfilm, va ricordato il catalogo dei microfilm del "Centro nazionale
per lo studio del manoscritto", ospitato in una sala della Biblioteca
Nazionale di Roma. Presso questo centro sono raccolti i microfilm di tutti i
manoscritti conservati nelle biblioteche statali italiane (molti sono in lingue
orientali). Il relativo catalogo, in forma di schedario, si trova nella stessa
sala del centro.
Tipologicamente,
i cataloghi si differenziano a seconda dell'elemento che funge da chiave di
accesso (nei cataloghi a schede si parla — come si è detto — di intestazione della scheda) per il
reperimento del documento: il nome dell'autore e/o il titolo dell'opera; oppure
il contenuto dell'opera stessa (nei cataloghi per soggetto); oppure la
collocazione del libro in biblioteca (nei cataloghi topografici); e si
differenziano inoltre a seconda del principio in base al quale tali elementi
sono ordinati: alfabetico; sistematico o classificato; topografico (vedi
sotto). Nei cataloghi informatizzati qualsiasi elemento della descrizione
bibliografica (il nome dell'autore, il titolo dell'opera, il soggetto di essa,
una serie di parole contenute nel titolo) può rappresentare una chiave di
accesso alla notizia bibliografica cercata. Il loro uso è dunque molto più
semplice di quello dei cataloghi tradizionali. Nei cataloghi a schede, o nei
cataloghi a stampa, invece, solo uno degli elementi della descrizione bibliografica
può costituire la chiave di accesso alla notizia cercata (sui "cataloghi a
dizionario", che presentano in un'unica serie alfabetica dati eterogenei,
vedi sotto). Tali elementi sono rappresentati principalmente dal nome
dell'autore, e dal contenuto dell'opera.
I.5. Cataloghi alfabetici per autore e per soggetto
I
cataloghi, dunque, servono a reperire un libro in una biblioteca. Essi
forniscono la risposta a due possibili domande formulate dall'utente: esiste in
questa biblioteca la tale opera del tale autore? quali opere ci sono in
biblioteca circa l'argomento che m'interessa? A queste due diverse domande
danno risposta due diversi tipi di catalogo: quello alfabetico per autori, e
quello alfabetico per soggetti.
Il
catalogo alfabetico per autori è
presente in tutte le biblioteche italiane. Chi lo consulta già conosce
l'esistenza di una certa opera di un certo autore, e vuole sapere se quella
determinata biblioteca la possiede. Il catalogo è ordinato alfabeticamente in
base al cognome dell'autore. Nel caso di autori con lo stesso cognome, entra in
gioco l'ordine alfabetico del nome, che nell'intestazione della scheda segue il
cognome, separato da una virgola ("Rossi, Mario" verrà dopo
"Rossi, Donatella"). Nel caso in cui la biblioteca possieda più opere
di uno stesso autore, per il quale ovviamente cognome e nome sono identici, si
avranno più schede, ordinate in base all'ordine alfabetico del titolo (si
ricordi che gli articoli, determinativi o indeterminativi ― quando si
trovano all'inizio di un'intestazione ― vanno ignorati; quindi l'ordine
alfabetico sarà quello della prima parola dopo l'articolo). Nel caso poi che la
biblioteca possieda più edizioni di una stessa opera, queste verranno elencate
in ordine cronologico.
Quando
un'opera è anonima, o è dovuta a più di tre autori, essa va cercata sotto il
titolo. Perciò questo tipo di catalogo va più propriamente definito catalogo alfabetico per autori e titoli.
Vanno
cercate sotto il titolo (o anche — in quasi tutti i casi di seguito descritti
— sotto il nome del curatore o editore
scientifico dell'opera, inglese: editor):
a) le
monografie (cioè le opere che vertono
su un unico argomento) di cui non sia noto l'autore, e quelle monografie cui
abbiano contribuito più di tre autori, siano esse in uno, o in più volumi (come
per esempio The Cambridge History of Iran);
b) le
raccolte miscellanee, cioè quelle
pubblicazioni che raccolgono articoli, composti da diversi autori, concernenti
argomenti diversi o collegati da una tematica più o meno comune (le raccolte di
diversi articoli di uno stesso autore, invece, si cercano sotto il nome
dell'autore). Tra le raccolte miscellanee vanno in particolare ricordati:
· gli
atti di convegni, che possono essere
cercati — oltre che sotto il titolo del volume, e sotto il nome del curatore —
anche sotto il nome dell'eventuale ente che ha patrocinato il convegno, che può
figurare come "ente autore" (vedi sotto);
· i
Festschriften, cioè gli scritti
raccolti per una qualche occasione, come gli scritti in onore di qualche
studioso in occasione del suo compleanno, o per il conferimento di un titolo
accademico; o gli scritti in memoria di uno studioso scomparso.
E'
importante ricordare che, quando si cerca un articolo contenuto in un volume
miscellaneo, non bisogna cercare nello schedario sotto il nome dell'autore
dell'articolo, ma bisogna cercare sotto il titolo del volume
"contenitore". Gli articoli, infatti, non sono catalogati
separatamente nelle biblioteche (questo vale anche per gli articoli di
periodici, o riviste; vedi sotto);
c) quelle
opere di carattere seriale (cioè la cui pubblicazione è scaglionata nel tempo)
costituite da un certo numero di opere indipendenti, pubblicate però secondo un
piano prestabilito e sotto un titolo comune. Un esempio di questo tipo di
pubblicazioni è lo Handbuch der
Orientalistik, che nel catalogo della nostra biblioteca del Dipartimento di
Studi Orientali è schedato appunto sotto il titolo generale Handbuch der Orientalistik, senza che i
singoli volumi siano catalogati indipendentemente sotto il nome di ciascun
autore; altre biblioteche, però, potrebbero regolarsi diversamente. Questo tipo
di pubblicazioni, infatti, definibile come collana
o collezione in senso stretto, è
spesso confuso con quelle che comunemente sono dette "collane", cioè
le serie editoriali o opere progressive, che — a differenza
del primo tipo di pubblicazioni seriali — non hanno un piano prestabilito. Un
esempio di questo secondo tipo di opere seriali è rappresentato dalla collana
"Studi e testi" edita dalla Biblioteca Vaticana; o dalla collana
"I Coralli" di Einaudi. I volumi che compongono questo secondo tipo
di "collana" sono naturalmente catalogati separatamente, sotto il
nome degli autori dei singoli volumi, considerati come opere del tutto
indipendenti;
d) le
enciclopedie.
L'altro
tipo di catalogo, talvolta presente nelle biblioteche italiane, è quello alfabetico per soggetto. La sua
consultazione non è del tutto agevole, e chi lo consulta è costretto a compiere
diversi tentativi, prima di concludere che la biblioteca non possieda nulla che interessi le sue ricerche. Se per
esempio si sta conducendo una ricerca su un certo viaggiatore che visitò la
Cina, si può provare a formulare il soggetto che interessa in questo modo:
"Cina - Viaggi", oppure "Cina - Descrizioni di viaggio",
esprimendo in lingua italiana (in Francia si userà il francese, e così via),
l'argomento che interessa, dal generale al particolare, e poi cercando quella
formulazione in ordine alfabetico nel catalogo. Ma, se non si trova nulla, si
può provare a fare il contrario, e cercare "Viaggiatori - Cina", e
andare avanti per tentativi. Prima di arrendersi, e di considerare negativo
l'esito della ricerca, si può naturalmente chiedere l'aiuto di un
bibliotecario, che ha maggiore esperienza e competenza nel formulare correttamente
il soggetto.
Ogni
volta che si inizia una ricerca su un catalogo — sia esso per autori, per
soggetti, o altro — bisogna fare attenzione alle eventuali avvertenze relative
alla copertura del catalogo stesso:
se esso copra tutto il posseduto della biblioteca (comprese le nuove
accessioni), oppure registri solo le opere entrate in biblioteca in un
determinato arco di tempo (a partire da un certo anno, o fino a un certo anno).
Non è raro infatti il caso che le biblioteche
possiedano più cataloghi, per le opere e le edizioni entrate in
biblioteca in periodi diversi. Per esempio, la biblioteca del Dipartimento di
Studi Orientali ha due schedari: uno, quello più antico, per le opere acquisite
dalla biblioteca fino al 1950; l'altro, per le opere acquisite a partire da
quella data. Quindi, se l'opera cercata è stata pubblicata dopo il 1950, si
consulterà direttamente il nuovo catalogo, perché l'opera non può essere stata
acquisita dalla biblioteca anteriormente alla data della sua pubblicazione. Se
poi nel nuovo catalogo l'opera non si trova, per scrupolo — soprattutto se essa
è stata pubblicata negli anni immediatamente successivi al 1950 — si può anche
consultare il vecchio catalogo: mi è capitato di trovare un'opera pubblicata
nel 1957 schedata solo nel vecchio catalogo. Se viceversa si tratta di un'opera
pubblicata prima del 1950, essa va cercata in entrambi i cataloghi, dato che la
biblioteca può averla acquisita anche diversi anni dopo la sua pubblicazione, o
può averne acquisito una ristampa o una nuova edizione.
Quale
che sia il tipo di catalogo consultato, se la ricerca ha dato esito positivo
con il reperimento di una scheda che indichi la presenza in biblioteca
dell'opera cercata, in alto a destra nella scheda del catalogo si troverà
scritta una sequenza di numeri, o di lettere, o di numeri e di lettere insieme,
che rappresenta la collocazione del
libro (per esempio, nella nostra biblioteca, Pers.C.25; Ar.A.14,
ecc.). La collocazione è la formula che permette il reperimento del libro in
biblioteca, è come il suo indirizzo. Conoscendo la collocazione, si può
inoltrare la richiesta del libro compilando un apposito modulo; oppure ―
se si tratta di un libro che si trova nelle sale di consultazione (vedi sotto) ― esso può essere preso
direttamente e portato al proprio tavolo. Quando si prende un libro che si
trova in consultazione, è buona norma lasciare al posto del libro un cartoncino
appositamente predisposto, in modo che un altro eventuale lettore che cerchi lo
stesso libro sia avvisato che esso è in lettura.
Alla
fine della consultazione, se il libro è stato preso da uno scaffale delle sale
di consultazione, esso deve essere lasciato sul tavolo (sarà ricollocato al
posto dal personale di biblioteca). Se invece il libro è stato richiesto al
bancone, esso va restituito. Se il lettore non ha terminato la consultazione, e
intende tornare in biblioteca nei giorni successivi, può chiedere che il libro
sia lasciato in lettura (o in deposito, come anche si dice), in
modo da non dover ripetere la richiesta, e da non dover attendere il tempo
necessario (in genere una mezz'ora) perché il libro gli sia nuovamente
consegnato.
Nelle
biblioteche italiane tradizionalmente il patrimonio librario è collocato in
depositi o magazzini librari, inaccessibili al pubblico, in cui i libri si
dispongono in base all'ordine di arrivo in biblioteca, e in base al formato (le
pubblicazioni seriali, come ad esempio i periodici, hanno naturalmente delle
collocazioni speciali, che salvaguardano il carattere unitario della
pubblicazione stessa). Solo una parte dei libri è direttamente accessibile al
pubblico nelle sale di consultazione,
dove si trovano innanzi tutto gli strumenti indispensabili per la ricerca:
enciclopedie, dizionari, bibliografie, cataloghi di altre biblioteche.
Ugualmente in consultazione si troveranno le opere che risultano di particolare
interesse per i lettori di quella determinata biblioteca, disposte per lo più
secondo un certo ordine di classificazione, cioè per classi di argomenti. Per
esempio, in una biblioteca collegata a un dipartimento o a un istituto
universitario di italianistica, si troveranno in consultazione le grandi opere
della letteratura italiana, e una serie di strumenti (manuali, trattati, saggi)
relativi a discipline connesse con quell'ambito di studi: teoria della
letteratura, linguistica, critica letteraria, filologia testuale. Uno studioso,
anche senza consultare il catalogo, può percorrere gli scaffali finché non
trova il libro che cerca, oppure finché non trova un libro ― di cui
magari ignorava l'esistenza ― che risulti utile per la sua ricerca.
Aggirarsi tra gli scaffali di una biblioteca specializzata equivale alla
consultazione di una bibliografia specializzata in una determinata disciplina:
con il vantaggio che lo studioso può immediatamente prendere e scorrere il
libro per vedere se davvero è interessante per la sua ricerca.
Nelle
biblioteche di tradizione anglosassone (particolarmente nelle biblioteche di
pubblica lettura e in quelle universitarie), a differenza di quanto avviene
nelle biblioteche italiane, tutti i libri sono generalmente accessibili al
pubblico, disposti secondo uno schema di classificazione; si tratta delle
cosiddette "biblioteche a scaffale
aperto".
Naturalmente,
le differenze nella disposizione dei libri, e nella maggiore o minore
accessibilità del materiale librario al pubblico, dipendono in gran parte dal
tipo di biblioteca, e dai suoi scopi. Una biblioteca che possieda ingenti
raccolte librarie, oppure che possieda fondi storici (per esempio, raccolte di
libri appartenuti a qualche importante personaggio), fondi che non si
accrescono più, e che spesso hanno grande valore antiquario, sarà soprattutto
una biblioteca di conservazione, interessata in primo luogo alla tutela del
patrimonio librario, con i libri custoditi in depositi o magazzini
inaccessibili al pubblico. Questo tipo di biblioteche sono numerosissime in
Italia. Viceversa, una biblioteca universitaria o di ricerca, che ha scopi
eminentemente pratici, dovrebbe mettere il suo patrimonio librario a portata di
mano senza barriere di sorta; in questo tipo di biblioteca la disposizione dei
libri secondo uno schema di classificazione (cioè secondo l'argomento, il
contenuto dei libri) è l'ideale.
Ogni
biblioteca che scelga di disporre il materiale librario secondo uno schema di
contenuto, può ― a seconda delle sue necessità ― disporre i libri
secondo l'ordine che ritiene più opportuno. Esistono poi degli schemi di
classificazione universali, elaborati in sede di classificazione delle scienze
(moderno tentativo di ricomporre un'unità del sapere, dissoltasi in epoca
moderna), che possono essere adottati da grandi biblioteche. Uno di questi è la
Classificazione Decimale Universale (sigla: CDU). Secondo questa
classificazione, i libri sono collocati negli scaffali e portano delle
collocazioni in base al seguente schema: 0. Generalità (opere di bibliografia,
cataloghi, ecc.); 1. Filosofia; 2. Religione. Teologia; 3. Scienze sociali; 4.
vacante (per accogliere nuovi sviluppi delle scienze); 5. Matematica. Scienze
naturali; 6. Scienze applicate (medicina, ingegneria, ecc.); 7. Arti.
Architettura. Fotografia. Musica. Sport; 8. Linguistica. Filologia.
Letteratura; 9. Geografia. Biografia. Storia. All'interno di queste classi, le
varie materie sono contraddistinte da numeri che si aggiungono a quello
designante la classe, che permettono di individuare con esattezza l'argomento
di un'opera. Per esempio: 016 indica opere di bibliografia speciale.
I.7. Problemi di ricerca nel catalogo per autori
La
ricerca di un'opera sul catalogo per autori non è un'operazione del tutto
semplice, ed è ancora più complessa per chi si occupi di testi in lingue
orientali. In questo campo, la massima dell'amico e collega Mauro Maggi,
secondo il quale "Le biblioteche vanno usate con fantasia", acquista
un particolare valore di verità. I problemi nascono da diversi ordini di
fattori:
1. l'accertamento
della forma del nome che compare come intestazione della scheda, e
l'identificazione dell'elemento del nome che deve comparire come primo elemento
(inglese: entry, o entry element) nell'intestazione;
2. i
problemi della trascrizione/traslitterazione in caratteri latini da testi in
lingue orientali;
3. l'ordinamento
alfabetico.
I.7.1. Qual è il nome dell'autore?
Le
Regole italiane di catalogazione per autori
(sigla: RICA)[6] enunciano
una serie di regole cui i bibliotecari italiani dovrebbero attenersi nella
catalogazione del materiale bibliografico, e che un utente dovrebbe conoscere
per muoversi più sicuramente in una biblioteca.
Per
autore s'intende chi ha la responsabilità di un testo. Non dovrebbero essere
considerati autori (e quindi figurare come intestazione della scheda)
traduttori, curatori, prefatori, ecc. Al nome di questi si possono intestare schede secondarie, che rimandano a una scheda principale. Tuttavia, possono
esserci casi limite: per esempio chi cura un'antologia, scegliendo i testi e
magari traducendoli, è a tutti gli effetti considerato come l'autore di
quell'antologia. E spesso il curatore, o editore
scientifico di un'opera (per es. una raccolta miscellanea, un'opera di
carattere monografico composta da più autori, ecc.; vedi anche sopra, par.
I.5.), viene considerato alla stregua di un autore.
Nel
caso di alcune pubblicazioni non vi è un autore personale, ma è considerato
autore un ente, un'istituzione, che figura come intestazione della scheda (in
questo caso si parla di "ente autore",
o di "autore editore"). Un
esempio è rappresentato dalle Regole
italiane di catalogazione per autori appena citate, che possono trovarsi
schedate sotto il nome dell'ente autore, o sotto il titolo dell'opera, se il
catalogatore l'ha equiparata a un'opera anonima.
Infine,
si è già detto che, se gli autori di una pubblicazione sono più di tre, la
scheda va intestata sotto il titolo. Se gli autori sono due o tre, si
troverà una scheda principale sotto il
nome dell'autore menzionato per primo nel frontespizio, e schede secondarie
sotto il nome degli altri autori.
I.7.1.2. L'intestazione della
scheda
L'intestazione
sotto il nome di un autore può rivelarsi un'operazione controversa, per esempio
nei casi in cui vi sia una discrepanza tra il nome reale e il nome fittizio
(pseudonimo, nome d'arte, ecc.) di un autore. Le Regole dicono che: "Un autore si scheda sotto il nome con cui
è prevalentemente identificato nelle edizioni delle sue opere nel testo
originale". E poi aggiungono: "Il nome costantemente usato nelle
pubblicazioni è da preferire anche se non si tratti del nome reale o nella
forma originale". Perciò si dovrà cercare "Trilussa" e non
"Salustri, Carlo Alberto"; "Moravia, Alberto" e non
"Pincherle, Alberto"; "Chagall, Marc" e non "Šagal,
Mark".[7]
Nella
scelta della parola d'ordine — cioè dell'elemento che costituisce l'accesso
formale alla notizia bibliografica — per gli autori moderni vanno seguiti gli
usi nazionali.[8] Questo
significa che per l'Italia e per i paesi europei la parola d'ordine sarà il
cognome.
Ci
sono dei casi, tuttavia, in cui non è del tutto agevole sapere quale sia il
cognome. Se per esempio si cerca un'opera del famoso orientalista francese
dell'Ottocento Silvestre de Sacy (così citato nella maggior parte degli studi),
bisogna sapere che questo era per intero il suo cognome (il nome era Abraham
Isac); e quindi nel catalogo bisogna cercare sotto "Silvestre …", non
sotto "Sacy" o "de Sacy".
La
ricerca in un catalogo presuppone dunque qualche nozione di carattere storico,
storico-letterario, biografico. Questo naturalmente vale sia per chi consulta
il catalogo, sia — a maggior ragione — per chi cataloga. Errori di
catalogazione sono sempre possibili, anzi sono piuttosto frequenti. Per questo
motivo chi cerca in un catalogo deve fare tutti i possibili tentativi prima di
concludere che l'opera di un certo autore non è posseduta dalla biblioteca. Se
sotto "Silvestre" non si è trovato niente, prima di abbandonare il
campo si può vedere anche sotto "Sacy" o sotto "de Sacy".
I
titoli (Sir, Marchese, Seyyed, San …) vanno ignorati, e non fanno parte della
forma del nome da ordinare alfabeticamente. Nella scheda possono trovarsi tra
parentesi alla fine del nome.
Quando
un ente è considerato come autore di una pubblicazione, l'intestazione della
scheda sarà costituita dalla sigla o dall'acronimo dell'ente, nel caso in cui
si tratti di una sigla o di un acronimo di uso comune. Dunque se l'UNESCO è
l'ente autore di una pubblicazione, cercherò sotto la forma ben nota
"UNESCO", e non sotto "United Nations Educational, Scientific,
and Cultural Organization". Cercherò invece le Regole italiane di catalogazione per autori (RICA) non sotto la
sigla dell'istituto che ne è autore: ICCU, nota a pochi, ma sotto
"Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per
le Informazioni Bibliografiche"; oppure direttamente sotto il titolo.
C'è
poi il problema dei cosiddetti "nomi con prefisso". Nei nomi
italiani, i "prefissi" (articoli e preposizioni) vengono considerati
come parte integrante del cognome; i prefissi perciò rappresentano la parola
d'ordine, il primo elemento che figura nell'intestazione della scheda, e quello
da prendere in considerazione nell'ordinamento alfabetico (in inglese: entry element). Quindi Giovan Battista
De Rossi si cerca sotto la lettera "d" (sotto "De Rossi"),
e sempre sotto la "d" si cerca Franco D'Intino; mentre Bruno Lo Turco
si cerca sotto la "l". Per i nomi di personaggi anteriori al secolo
XIX, formati con i prefissi degli, de',
dei, de li, ecc., invece, si
adotta di solito come parola d'ordine quella che segue il prefisso. Quindi
Lorenzino de' Medici si cerca sotto la "m", e l'intestazione della
scheda sarà: "Medici, Lorenzino de'".
Nei
nomi francesi solo de o d' vengono posposti; gli altri
"prefissi" (l'articolo: Le,
L', La, Les, o una forma
contratta della preposizione seguita dall'articolo: Du, Des) sono considerati
come entry element, cioè
costituiscono la parola d'ordine per la ricerca nel catalogo. Quindi nello
schedario si dovrà cercare "Aubigné, Agrippa d'", "Musset,
Alfred de"; ma "Des Cloizeaux, Jacques", "Du Bellay,
Joachim", "La Fontaine, Jean de", "Le Cordier,
Roland", "L'Herbier, Marcel".
Nei
nomi tedeschi, van, von, von
der, sono posposti. Quindi si cercherà "Beethoven, Ludwig van".
Friedrich von der Hagen dovrà essere cercato nella forma "Hagen, Friedrich
von de". Diverso è il trattamento dell'articolo nei cognomi di origine
romanza: Gertrud von le Fort si cercherà sotto la forma "Lefort, Gertrud
von".
Anche
nei cognomi olandesi i prefissi (articolo, preposizione, o una combinazione di
entrambi: de, de ter, de van der, der, den, uit, van, van de, van het, vanden,
ecc.) vanno posposti e scritti con l'iniziale minuscola: George van den Bergh
si cerca sotto "Bergh, George van den". Fanno eccezione Ver, e tutti i "prefissi" di
origine straniera che possono trovarsi nei cognomi olandesi (Des, Du,
La, Le, Les, Mac, Saint,
ecc.), che vanno considerati come entry
element, cioè occupano la prima posizione nell'intestazione della scheda.
Gli
articoli arabi ed ebraici non si pospongono, ma si danno con l'iniziale
minuscola per indicare che non vanno considerati nell'ordinamento alfabetico.
Perciò, al-Fārābī si cerca sotto la "f", e
l'intestazione della scheda sarà: "al-Fārābī, Abū Nasr
Muhammad".[9]
A proposito del trattamento dei "nomi con
prefisso", bisogna considerare che, se è vero che nella ricerca di questi
nomi in un catalogo, come pure nell'ordinamento di essi in una bibliografia o
in un indice analitico, bisognerebbe attenersi agli usi nazionali ora
descritti, è anche vero che possono aversi numerosi casi d'interferenza: in
Italia, per esempio, dato che i prefissi vanno preposti, e fanno parte della
forma da ordinare alfabeticamente, si tenderà a preporre i prefissi anche nei
cognomi stranieri; viceversa, in un catalogo di una biblioteca olandese, dato
che il prefisso "de" nei nomi olandesi si pospone, si troverà
posposto (e magari scritto con l'iniziale minuscola) anche nel cognome italiano
De Luca; e Alessandro De Luca si dovrà cercare per sicurezza anche sotto
"Luca, Alessandro de".
Sempre
ricordando che, per i nomi moderni, si deve seguire l'uso nazionale di ogni
paese, come regola generale vale il fatto che i prefissi che non siano
costituiti da articoli o da preposizioni, e in particolare i prefissi che in
origine designano rapporti di parentela, prendono la prima posizione
nell'intestazione della scheda. Quindi si troverà: "Abū Zahrah,
Muhammad", "Bar-Hillel, Yehošua", "Ben Gurion, David",
FitzGerald, Edward", "MacCarthy, John".[10]
E'
importante ricordare che queste regole dovrebbero valere anche nel caso in cui
i nomi debbano figurare in un qualsiasi indice alfabetico: bibliografie
alfabetiche per autore, indice dei nomi alla fine di un libro, ecc.
I.7.1.4. Autori antichi o
"orientali"
Per
gli autori antichi, e particolarmente per gli autori che appartengono a culture
extra-europee, l'individuazione della forma del nome che costituisce la via di
accesso per il reperimento della notizia è molto più complessa. Nelle varie
tradizioni culturali i nomi delle persone potevano essere costituiti da
elementi diversi, nessuno dei quali può essere assimilato al
"cognome" della tradizione moderna. Di qui nascono numerose
incertezze nell'individuazione dell'elemento che debba comparire come parola
d'ordine in un catalogo per autori.
Per
esempio, nel mondo di tradizione islamica il nome di una persona era formato
almeno da cinque elementi — cui potevano aggiungersi titoli e appellativi
facoltativi — non tutti usati contemporaneamente e costantemente; una persona —
da viva — poteva essere designata con l'uno o
l'altro di questi nomi a seconda dei diversi momenti della sua vita, delle
circostanze, e della concreta situazione comunicativa. Per esempio la kunya si usava nell'apostrofe, cioè
quando ci si rivolgeva direttamente a una persona, usando un particolare
livello di cortesia; ma quando si parlava della persona in sua assenza, alla
terza persona, altre parti del nome erano usate. Si può dire che i personaggi
importanti (letterati, filosofi, scienziati) ricevevano soltanto dopo morti la
forma definitiva del loro nome, quella sotto la quale venivano ricordati e
menzionati; sicché essi diventavano famosi sotto uno o sotto l'altro degli
elementi che componevano il loro nome, anche a
seconda delle "mode"
biografiche e onomastiche caratteristiche delle diverse epoche. Qualcuno
ha voluto sostenere che — nel mondo arabo-islamico — il biografo è l'autore del
nome.
Il
nome arabo, di grande interesse dal punto di vista culturale ed
etnolinguistico, rappresenta un grande problema dal punto di vista catalografico
e bio-bibliografico. Un autore dovrebbe comparire sotto la forma del nome in
cui egli è maggiormente noto e menzionato nella letteratura. Si comprende bene
che la catalogazione in questi casi richieda buone, anzi ottime conoscenze di
storia letteraria (oltre che linguistiche). Per di più, non sempre la forma del
nome registrata nel frontespizio del libro da catalogare è quella che si può
considerare valida, e preferibile per la catalogazione. Un catalogo, infatti,
dovrebbe presentare su schede separate — raggruppate in un'unica serie sotto la
forma corrente del nome dell'autore — tutte le opere di un certo autore
possedute dalla biblioteca, anche se nel frontespizio delle edizioni il nome
dovesse essere dato in maniere difformi (caso particolarmente frequente — per i
motivi appena visti — per gli autori "orientali"). Perciò chi
cataloga dovrebbe saper riconoscere se, sotto forme diverse del nome, si cela
lo stesso personaggio; e dovrebbe saper decidere — anche ricorrendo all'aiuto
di manuali di storia della letteratura, di repertori bio-bibliografici, di
enciclopedie, ecc. — quale sia la forma del nome da preferirsi.
Naturalmente
in tutti i casi dubbi, anche per aiutare chi cerca nel catalogo, il
catalogatore potrebbe redigere delle schede
di rinvio, per rimandare da una forma del nome non considerata pertinente a
quella adottata nel catalogo. Tuttavia un abuso di tale pratica, pur
raccomandabile in questo come in molti altri casi di incertezza, porterebbe
alla costituzione di cataloghi zeppi di schede, che assumerebbero dimensioni
smisurate. Quindi, non sempre chi cerca può fare affidamento sulla presenza di
schede di rinvio.
I.7.2. La trascrizione/traslitterazione in caratteri latini[11]
Le
Regole italiane di catalogazione per
autori forniscono in appendice delle tavole per la traslitterazione di
testi in scritture diverse dalla latina (araba, ebraica, cirillica, ecc.), alle
quali le biblioteche italiane dovrebbero attenersi nella catalogazione delle
opere in lingue "orientali"; e chi cerca in un catalogo dovrebbe
tenerle presenti, per poter reperire agevolmente l'opera che cerca.
Tuttavia,
talvolta gli usi di trascrizione/traslitterazione da determinate lingue invalsi
in campo scientifico differiscono da quello adottato nelle RICA. Perciò può
succedere che in una biblioteca universitaria ― magari per iniziativa di
un docente, abituato a trascrivere/traslitterare altrimenti ― i nomi
degli autori e i titoli delle opere in lingue orientali compaiano in forme
diverse da quella che ci si aspetterebbe. Per questo motivo chi cerca ―
che abbia presenti o meno le tavole delle RICA ― deve cercare sotto tutte
le possibili forme di trascrizione/ traslitterazione, prima di abbandonare il
campo.
Per
esempio, nella traslitterazione da testi in scrittura araba (arabo, (neo)persiano,
turco osmanlı, urdu, ecc.), secondo le RICA si dovrebbe usare il simbolo
"ḫ"
per
la lettera ﺥ. Però è possibile che,
nella scheda del catalogo, questa lettera sia stata traslitterata, anche se
impropriamente, come "kh". Nella tradizione iranistica, poi, per
trascrivere il suono di fricativa uvulare sorda, rappresentato in neopersiano
da questa lettera, è invalso l'uso di ricorrere alla lettera "x",
simbolo che trae origine da una deformazione della chi (χ) dell'alfabeto greco. Per quanto riguarda la
trascrizione delle vocali [12],
inoltre, se si applicano le RICA, le vocali andrebbero trascritte
"all'araba" anche per altre lingue scritte in caratteri arabi, quali
ad esempio il (neo)persiano. Questo tipo di trascrizione però, soprattutto per
i titoli di opere e per i nomi di autori iraniani contemporanei, può sembrare
strano per chi il persiano lo parli davvero, e non lo coltivi soltanto come una
lingua morta; un nazionalista iraniano potrebbe addirittura considerarla
offensiva. Insomma, se cerco le opere del famoso ayatollah Khomeini, dovrei
sapere che ― secondo le RICA ― dovrei cercare sotto "Ḫumaynī";
ma per sicurezza posso cercare anche sotto "Ḫomeyni",
"Khumainī", "Xomeyni", "Xumaynī",
Khomeini, ecc. Nell'esempio in questione, la presenza di schede di rinvio dalle
forme del nome non adottate a quella scelta nel catalogo è quasi obbligatoria,
trattandosi del nome di un personaggio noto attraverso la stampa secondo
trascrizioni non scientifiche. Ma in molti altri casi non è detto che chi cerca
trovi una scheda che lo indirizzi nella sua ricerca, anche perché le
possibilità di traslitterazione/trascrizione sarebbero talmente tante che non
potrebbero essere tutte prese in considerazione.
Per
ordine alfabetico s'intende l'ordine secondo l'alfabeto latino composto di 26
lettere (coincidente dunque con quello che si usa per l'inglese):
a b c d
e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z[13]
Nella ricerca in un catalogo (o in una bibliografia, in un
indice alfabetico dei nomi, ecc.) bisogna ricordare queste regole:
1. i
segni diacritici non si considerano, né si considerano accenti, apostrofi,
segni di punteggiatura. Perciò "š" va cercato come se fosse
"s", "č" come se fosse "c",
"ġ" come se fosse "g", "ż" come se
fosse "z", "ḫ" come se fosse
"h", "ā" come se fosse "a", e così via per
tutti i simboli che servono a trascrivere o a traslitterare testi in lingue
orientali.[14] Nel caso
dell'Umlaut nelle lingue germaniche
ci sono due possibilità: la prima è che ― come tutti i segni ortografici
e diacritici ― esso vada ignorato. Dunque "Müller" andrà
cercato come se fosse "Muller". Altrimenti, può anche trovarsi la
forma alternativa "Mueller", con "ue" al posto di
"ü". Lo stesso vale per "ö" e per "ä", che
possono trovarsi rispettivamente nella forma "oe" e "ae".
2. Nell'ordinamento
alfabetico le parole vanno considerate una per una (e non come costituenti
un'unica stringa), e lo spazio bianco tra esse indica che con la parola
successiva l'ordine alfabetico ricomincia da capo. Perciò in un ordinamento
alfabetico di titoli di opere troverò:
Pe'
loro…
Pe'
vostri…
Per
il decimo anniversario…
Per
il quinto…
Per
la nona ricorrenza…
Per
vostro…
Perù
oggi.
Questo
dovrebbe valere anche nel caso in cui una parola italiana termini con
l'apostrofo, e dopo questo segno non vi sia alcuno spazio, cioè quando
l'apostrofo indichi non il troncamento di una consonante o di una sillaba, ma
l'elisione di una vocale.[15]
Per esempio si troverà:
Sant'Agostino[16]
Sant'Andrea
Sant'Anna,
e
solo molto dopo si troverà la forma "Santagostino" scritta tutta
attaccata. E in un ordine alfabetico di titoli di opere si troverà:
Manuale
d'arredamento
Manuale
d'ostetricia
Manuale
dell'arte culinaria
Manuale
dell'ingegnere
Manuale
dell'usciere
Manuale
della casalinga
Manuale
della segretaria
Manuale
delle Giovani Marmotte
Manuale
delle impiegate
Manuale
dello studente
Manuale
di agricoltura
Manuale
di zoologia.
3. La
regola appena enunciata conosce un'importante eccezione: i "nomi con
prefissi", di cui si è parlato sopra, vanno considerati come se fossero
scritti tutti attaccati. Questo vale sia per i nomi di persona, sia per i nomi
di luogo (in un ordinamento alfabetico "L'Aquila" va considerato come
se fosse scritto "Laquila"). Quindi si avrà:
De
Lucia (= "Delucia")
Derchi
D'Ercole
(= "Dercole")
De
Rosa (= "Derosa"),
e
non, come ci si aspetterebbe in base alla regola 2, prima tutte le
"entrate" che hanno come prima parola soltanto una "d"
― l'apostrofo infatti va ignorato ― ("D'Ercole",
"D'Orazio", ecc.), poi quelle che hanno come prima parola
"da", poi "dall", "de", "dell",
"della", "delle", "dello", "di".
4. Come
si è già accennato sopra, ci sono delle "parole" che nell'ordinamento
alfabetico non si considerano. Queste sono gli articoli nelle lingue europee,
ma solo quando l'articolo si trovi ad essere il primo elemento di un gruppo di
ordinamento (per esempio, la prima parola di un titolo), cioè quando si trovi
nella cosiddetta "entry position";
gli articoli vanno invece considerati quando si trovino all'interno
dell'intestazione [17].
Anche gli articoli arabo ed ebraico nei nomi di persona non vanno considerati
nell'ordinamento alfabetico (vedi sopra).[18]
Oltre
al catalogo alfabetico per autori, e a quello alfabetico per soggetti, esistono
altri tipi di catalogo. Nelle biblioteche italiane normalmente i periodici
(detti anche "riviste"), cioè quel tipo di pubblicazioni di carattere
seriale che escono con cadenze fisse o almeno programmaticamente fisse (una o
più volte l'anno), hanno un catalogo a parte, anche questo per lo più in forma
di schedario: il catalogo dei periodici.[19]
Come si è già detto (par. I.5.), quando si cerca un articolo di un periodico,
non bisogna cercare sotto il nome dell'autore dell'articolo, perché i singoli
articoli dei singoli autori non sono catalogati separatamente. Nel catalogo dei
periodici la ricerca si effettua secondo l'ordine alfabetico del titolo del
periodico. Al proposito, bisogna sempre ricordare che l'articolo iniziale del
titolo va ignorato: la rivista intitolata "La Bibliofilia" va cercata
sotto la lettera "b". Anche nel caso dei periodici, come nel caso
delle cosiddette "monografie", il lettore deve prendere nota della
collocazione. Se il catalogo — come generalmente avviene — fornisce tale
informazione, è anche bene controllare che il volume di cui si ha bisogno sia
effettivamente posseduto dalla biblioteca: può infatti avvenire che una
biblioteca, pur possedendo un periodico, non ne abbia tutti i volumi, o non
abbia — per ciascuna
annata della rivista — tutti i fascicoli che la compongono. In questo
caso, il catalogo dovrebbe indicare le lacune,
cioè i volumi e le annate mancanti. Sul modulo, al momento della richiesta, il
lettore preciserà il numero del volume e l'anno di cui ha bisogno, ed
eventualmente il fascicolo. Se la rivista è in consultazione, sarà egli stesso
ad andare a prendere il volume.
E'
importante sapere che esistono cataloghi collettivi dei periodici conservati
nelle biblioteche di Roma (come ne esistono anche di altre città e regioni), pubblicati
a stampa, in modo che il ricercatore possa trovare la rivista di cui ha
bisogno, senza dover cercare biblioteca per biblioteca, consultandone il
relativo catalogo [20].
Di recente è stato anche pubblicato un catalogo collettivo dei periodici
conservati in biblioteche orientalistiche italiane [21].
Inoltre, l'Università degli Studi di Bologna cura un sito internet che fornisce
informazioni per la localizzazione di periodici italiani e stranieri nelle
biblioteche italiane: http://www.cib.unibo.it.
Esiste
poi un tipo di catalogo, il cosiddetto catalogo
a dizionario, che compendia i tipi già visti: quello alfabetico per autori
e titoli, quello alfabetico per soggetti, e (talvolta) quello dei periodici. In
questo tipo di catalogo si trova, in un'unica serie alfabetica, di tutto: nomi
degli autori (e titoli) per le monografie, titoli dei periodici, soggetti. Un
esempio è rappresentato dal catalogo (schedario) degli stampati della
Biblioteca Vaticana. Qui si trovano, in ordine alfabetico, oltre ai nomi degli
autori, e ai titoli dei periodici, anche i soggetti relativi ai principali
ambiti di studio coperti dalle raccolte librarie della Biblioteca Vaticana:
teologia, missioni, ecc.
Prevalentemente
destinati ad uso interno delle biblioteche sono i cataloghi topografici, nei quali le notizie bibliografiche sono
disposte in base alla collocazione che il libro ha in biblioteca. Un esempio di
catalogo topografico destinato al pubblico è rappresentato dal catalogo dei
microfilm del "Centro nazionale per lo studio del manoscritto" (vedi
sopra), che presenta, per ogni biblioteca di ogni città (in ordine alfabetico),
le schede disposte secondo la segnatura
che identifica i manoscritti, che generalmente corrisponde anche alla disposizione
dei manoscritti negli scaffali della biblioteca.[22]
Cataloghi
di biblioteca ordinati secondo uno schema di classificazione (cataloghi sistematici o classificati)
sono rari. Nella Biblioteca Nazionale di Roma, nell'area destinata ai
cataloghi, vi è uno schedario, per le monografie entrate in biblioteca dopo il
1971 e fino al 1990, organizzato secondo la Classificazione Decimale Universale
(sigla: CDU; vedi sopra). In questo catalogo, l'intestazione della scheda è
rappresentata dal numero che, in base a questo sistema di classificazione,
rappresenta la materia o argomento dell'opera. Conoscendo il numero che
identifica la materia che interessa (per es.: 016) il catalogo permette di
sapere quali opere relative a quell'argomento sono possedute dalla biblioteca,
e la relativa collocazione. Il catalogo in linea della medesima biblioteca, in
cui si trovano i documenti acquisiti dalla biblioteca dopo il 1990, prevede
anche un campo, denominato "Classificazione", che può essere
interrogato digitando il numero corrispondente all'argomento che interessa. Per
esempio: 016 identifica opere di bibliografia speciale.
I.9. Gli OPAC (Online Public Access Catalog)
Ormai
molte biblioteche rendono disponibile anche un catalogo in linea, accessibile
al pubblico, del loro posseduto. Tale tipo di catalogo è chiamato OPAC, dalle
lettere iniziali dell'espressione inglese Online
public access catalog, "catalogo in linea di pubblico accesso".
Va detto subito che uno dei problemi principali nell'uso di
tale tipo di catalogo consiste nel fatto che non sempre è possibile sapere
esattamente quale sia la copertura del catalogo, se cioè tutto il posseduto di
una biblioteca sia accessibile in linea, o — in caso contrario — quali siano i
limiti, cronologici o di altro genere, di validità del catalogo stesso. Infatti
generalmente le biblioteche hanno iniziato — almeno a partire dall'ultimo
decennio — a catalogare in rete le nuove accessioni, man mano che queste
entravano in biblioteca; ma solo lentamente stanno procedendo alla
catalogazione in linea del cosiddetto "pregresso". Di certo, per
quanto riguarda le biblioteche pubbliche italiane, solo una parte del loro
patrimonio librario è accessibile in linea, sia attraverso l'OPAC dell'Indice
SBN — cui, come si è detto, aderiscono biblioteche prevalentemente pubbliche —,
sia attraverso gli OPAC di singole biblioteche.
Per l'Italia, e per Roma in particolare, è utile conoscere
l'esistenza di altri cataloghi collettivi in linea, oltre all'Indice SBN:
quello della rete URBE (Unione Romana Biblioteche Ecclesiastiche), consultabile
dal sito http://mw.urbe.it/, cui aderiscono numerose
biblioteche ecclesiastiche romane, tra cui quelle del Pontificio Istituto
Biblico, del Pontificio Istituto di Studi Orientali, e dell'Università
Gregoriana; e quello della rete URBS (Unione Romana Biblioteche Scientifiche),
consultabile dal sito http://www-urbs.vatlib.it,
cui aderiscono numerose biblioteche di istituti ed enti privati, quali quelle
della American Academy di Roma, della British School a Roma, del Deutsches
Archäologisches Institut, e soprattutto della Biblioteca Apostolica Vaticana.
(Un elenco completo delle biblioteche che fanno parte delle due reti è
consultabile dai rispettivi siti.)
Tutti questi cataloghi collettivi in linea permettono di
effettuare la ricerca su tutte le biblioteche che partecipano al progetto,
oppure di selezionare una o più biblioteche particolari, limitando la ricerca
alle sole biblioteche selezionate.
Presso il sito della "Associazione Italiana
Biblioteche" (sigla: AIB), consultabile all'indirizzo http://www.aib.it,
dal link "Il mondo delle biblioteche in rete", è possibile avere un repertorio
completo dei cataloghi in linea di biblioteche italiane e straniere. Dallo
stesso sito è possibile consultare un'utile guida per l'utilizzo di cataloghi
in linea.[23] E' comunque
utile avere a disposizione l'indirizzo di alcune grandi biblioteche, italiane e
soprattutto straniere, dal quale si può accedere al relativo catalogo in linea:
· Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze: http://www.bncf.firenze.sbn.it
· British
Library: http://www.bl.uk
· Bibliothèque
Nationale de France: http://www.bnf.fr
· Die
Deutsche Bibliothek: http://www.ddb.de
· Österreichische
Nationalbibliothek: http://www.onb.ac.at
· Library
of Congress: http://lcweb.loc.gov
· The
New York Public Library: http://catnyp.nypl.org
La consultazione di un catalogo in linea non presenta
particolari difficoltà. Le schede di un tradizionale catalogo cartaceo sono qui
sostituite dai cosiddetti "record",
ciascuno dei quali individua e descrive un "documento", sia esso una
monografia, un periodico, una raccolta, o una collana o collezione, descritta
nel suo complesso, e con schede o record per i singoli volumi che la
compongono. Ogni record è diviso in campi.
Per esempio nella descrizione di una monografia saranno presenti i campi
"autore"; "titolo" dell'opera; "edizione", in cui
si segnala quale edizione di una pubblicazione sia in concreto posseduta dalla
biblioteca; "pubblicazione", con l'editore, il luogo e la data di
pubblicazione; ecc. Nella descrizione di un periodico, invece, non vi sarà un
campo "autore", ma vi sarà un campo "titolo" del periodico;
come in un catalogo cartaceo o a schede, vi sarà inoltre un campo, chiamato
"consistenza" o "posseduto", che segnala i volumi
effettivamente posseduti dalla biblioteca, e così via.
Generalmente l'interrogazione di un catalogo in linea avviene
per campi, ed è il catalogo stesso che invita a scegliere un campo sul quale
compiere la ricerca. A quel punto, chi cerca deve digitare nel campo
"autore" il nome dell'autore dell'opera cercata; oppure, nel campo
"titolo", deve digitare una o più parole iniziali del titolo,
escludendo — come si sa — gli articoli (ricerca
per liste). In alcuni OPAC basta digitare anche solo qualche parola
contenuta (o che si suppone contenuta) in qualsiasi punto del titolo, per
trovare ciò che si cerca o che può tornare utile (ricerca per parole). In tal modo, la ricerca per titolo può
funzionare anche come ricerca per soggetto. In molti OPAC, poi, è possibile
effettuare la ricerca anche per altri campi, quali quello
"classificazione", cioè secondo un sistema di classificazione (vedi
sopra); quello "editore"; quello "data di pubblicazione",
che per esempio permettere di conoscere quello che la biblioteca o le
biblioteche (nel caso di un OPAC collettivo) possiedono, che sia stato
pubblicato ad esempio nell'anno 2002. L'unico errore che si può commettere, è
quello di digitare i dati nel campo sbagliato. Se per esempio si cerca un'opera
di Umberto Eco, e si digita la parola "eco" nel campo
"titolo" anziché nel campo "autore", il computer mostrerà tutte le opere relative al fenomeno
acustico dell'eco possedute dalla biblioteca (o dalle biblioteche).[24]
Alcuni OPAC, come ad esempio quello della rete URBS (vedi
sopra), permettono di effettuare la ricerca contemporaneamente su qualsiasi
campo, verificando se la parola o le parole inserite dal ricercatore compaiono
in uno qualsiasi dei campi che descrivono un documento. Digitando il nome di un
autore, per esempio, si può vedere non solo se la biblioteca o le biblioteche
possiedono le opere di quell'autore, ma anche quali opere la biblioteca
possiede che parlino di quell'autore, figurando quel nome in un punto qualsiasi
del titolo. Naturalmente questo tipo di ricerca dà risultati tanto più
soddisfacenti, quanto più specifico e poco comune è il termine o la sequenza di
parole attraverso cui si effettua la ricerca. Se viene inserito un termine
troppo generico, si avrà un numero eccessivo di record che risponde alla
richiesta fatta, e la ricerca dovrà essere delimitata meglio attraverso la
scelta di termini meno generici.
Nel digitare la parola o le parole attraverso cui si effettua
la ricerca in un catalogo in linea, bisogna ricordare che:
· normalmente
l'opposizione tra maiuscole e minuscole è irrilevante;
· se
la ricerca è per liste, cioè per esempio attraverso le parole iniziali del
titolo di un'opera, gli articoli non vanno digitati (si digita "promessi
sposi", e non "i promessi sposi");
· segni
di punteggiatura, trattini e apostrofi possono essere digitati, ma vengono
comunque automaticamente ignorati dagli OPAC;
· normalmente
gli accenti e i segni diacritici vengono ignorati, quindi non serve digitarli,
mentre nel caso dell'umlaut si può provare a digitare sia "Muller",
sia "Mueller" (vedi sopra);
· bisogna
fare attenzione a non commettere errori di digitazione, che possono
compromettere la ricerca.
Per
quanto riguarda la fase dello studio, momento centrale e importantissimo
nell'elaborazione della tesi(na), i consigli che si possono dare non sono
molti.
Man mano
che si reperiscono i testi, è bene farne oggetto di una lettura più o meno
veloce, che permetta di capire se il tale articolo o il tale libro è veramente
utile per la ricerca, o se può essere ignorato. Una pubblicazione può essere
ignorata in due casi: se si scopre che non è veramente attinente all'argomento
che interessa; oppure se è di un livello troppo basso, e non rispetta i
requisiti minimi di un lavoro di carattere scientifico (un giudizio del genere,
tuttavia, può essere difficile da formulare, soprattutto per uno studente; e
forse qualcosa di utile può trovarsi ovunque).
Ogni
lavoro — soprattutto quelli più importanti — va letto attentamente, e
all'occorrenza riletto più volte, fino ad essere sicuri di aver capito bene
quello che l'autore intendesse dire. Può essere utile prendere nota — su schede
di lettura, quaderni di appunti, file di computer — dei punti salienti
attraverso i quali si svolge l'argomentazione dell'autore, o anche fare dei
brevi riassunti di ciò che si legge. Questo è utile sia per chiarirsi le idee,
ed assicurarsi di aver capito bene, sia per poter richiamare rapidamente il
contenuto del testo letto, anche a distanza di qualche tempo dalla lettura. E'
comunque di estrema importanza leggere e rileggere più volte i testi più
interessanti e ricchi di informazioni: a ogni nuova lettura si capiranno cose
nuove, e l'argomento verrà "smontato" e interiorizzato; inoltre, se
ne acquisirà il linguaggio.
Già al
momento dell'assegnazione della tesi, e ancor più man mano che si procede nella
lettura dei testi, lo studente — con l'aiuto del docente relatore di tesi(na) —
deve cercare di individuare con chiarezza quali sono gli scopi del suo lavoro,
quali sono le domande, per quanto semplici e poco ambiziose, alle quali la
tesi(na) si propone di rispondere. Soprattutto nelle ricerche più impegnative,
s'instaura un continuo rapporto dialettico tra la fase della lettura della
bibliografia e la fase della riflessione su quanto si viene leggendo, con
continui aggiustamenti circa il piano di lavoro e gli scopi della ricerca.
Può
essere utile cominciare a redigere un ipotetico indice della tesi, che verrà
naturalmente modificato man mano che si procede nel lavoro, e cominciare a
scrivere una traccia dei punti che dovranno essere toccati, specificando come
s'intende trattarli. Però, non conviene cominciare a scrivere prima di avere le
idee assolutamente chiare su quello che si vuole dire. La redazione della tesi
sarà tanto più agevole, quanto più l'argomento sarà stato elaborato
mentalmente. "Forma" e "sostanza" sono strettamente
correlate: una forma contorta e poco chiara è indizio di un'insufficiente
elaborazione della materia trattata. Viceversa, soltanto quando chi scrive
padroneggia l'argomento riuscirà a trovare la forma più semplice e chiara per
esprimere anche contenuti complessi. La semplicità, che aiuta grandemente il
lettore, si ottiene soltanto a prezzo di un grande lavoro da parte dell'autore.
La
redazione di un testo di carattere scientifico, anche se piccolo e di scarse
ambizioni, deve essere concepita come un servizio reso agli altri studiosi. Chi
scrive deve sforzarsi di essere chiaro, di far capire a chi legge ogni
passaggio del suo argomentare, di rendere accessibili e controllabili le fonti
che ha usato, in modo che gli altri studiosi possano verificare le conclusioni
cui egli è giunto.
Soltanto
quando tutto il lavoro di studio e di elaborazione dell'argomento della ricerca
è stato compiuto, e si è pronti a cominciare a scrivere, può essere utile
conoscere le tecniche per la redazione di testi di carattere scientifico.
II. LA REDAZIONE DI UN TESTO DI CARATTERE SCIENTIFICO
II.1. Quindici consigli per aiutare chi scrive e salvare chi legge[25]
1. Cominciare
in modo preciso, senza farla troppo lunga con premesse, giri di parole, dichiarazioni
di intenti e genericità. Enunciare subito lo scopo della tesi, le ipotesi
principali e le idee chiave.
2. Non
comporre periodi troppo lunghi e ingarbugliati. Evitare fumoserie, allusioni
misteriose, definizioni poco chiare, giudizi estetici (se non strettamente
necessario), eccessi metaforici.
3. Non
gonfiare il testo ripetendo sempre gli stessi concetti. La capacità di sintesi
è il più sicuro segno di intelligenza.
4. Non
innamorarsi delle 'belle frasi' e chiedersi sempre: "che cosa significa
esattamente questo?".
5. Rileggere
quanto si è scritto mettendosi nei panni di un lettore che non sa niente
dell’argomento e non ha letto i libri cui si fa riferimento. Se chi legge non
capisce, chi scrive non ha le idee chiare (Leopardi).
6. Evitare
le espressioni del tipo personalmente,
mi sembra che, io credo che, in verità e
simili.
7. Evitare
la prima persona plurale ("vorremmo
analizzare"), così come espressioni del tipo "il poeta ci dice...." o "il Nostro".
8. Fare
attenzione ai tempi verbali. Si può alternare il presente storico con il
passato, ma l’alternanza non deve disturbare. Un eccesso di passati remoti può
risultare fastidioso.
9. Alternare
frasi attive con frasi passive per variare il tono ("il romanzo tratta il
tema della slealtà" oppure "il tema della slealtà è trattato nel
romanzo"). Preferire comunque le frasi attive.
10.
Usare al massimo due aggettivi. Chiedersi di ogni
aggettivo: "è quello più appropriato in questo contesto?". Evitare
aggettivi generici e banali, del tipo bello,
interessante, e simili.
11.
Scegliere oculatamente i sostantivi. Né troppo
aulici e ricercati, né troppo banali e generici. Usare termini stranieri o
tecnici solo se necessari, non per fare fumo.
12.
Evitare neologismi non legittimati
scientificamente, specialmente se di conio giornalistico (valenza invece di valore);
evitare come la SARS locuzioni del tipo: a
livello di, nella misura in cui, al limite, in un certo senso, ecc.
13.
Citare testi critici solo se è strettamente
necessario, sempre a proposito di idee o ipotesi molto precise. Evitare frasi ridicole
del tipo: "come sostiene Auerbach, la letteratura è un fenomeno molto
complesso". Più in generale, evitare di citare critici con nome e cognome
nel testo: sa di piaggeria.
14.
Concludere: a) riassumendo le idee e i dati
fondamentali esposti nella tesina e mettendo in rilievo il proprio punto di
vista coordinante (struttura “a volta”); b) arrivare per gradi a una
conclusione risolutiva che deriva logicamente da tutti i passaggi precedenti
(struttura "a piramide", o poliziesca).
15.
Leggere molto e scrivere poco, ma bene.
II.2. Come strutturare il testo[26]
Una
tesi, ed eventualmente anche una tesina, dovrebbe comporsi delle seguenti
parti, che possono trovarsi anche disposte secondo un ordine leggermente
diverso da quello qui descritto:
· Il
frontespizio, in cui viene data una
serie di indicazioni relative alla tesi stessa. In alto, centrata, in caratteri
maiuscoli, si può riportare la dicitura: "Università degli Studi di Roma
'La Sapienza' - Facoltà di Studi Orientali", e sotto, sempre centrata, l'indicazione
dell'anno accademico durante il quale la tesi viene discussa. Più sotto, al
centro della pagina, il titolo della tesi, seguito dal nome del candidato e dal
suo numero di matricola (facoltativamente può essere indicata la sua
appartenenza al vecchio o al nuovo ordinamento). Infine sul frontespizio deve
figurare il nome del professore relatore di tesi o di tesina, ed eventualmente,
nel caso di tesi del vecchio ordinamento o di tesi di laurea specialistica,
anche il nome del correlatore.
· Un
indice generale, o sommario del contenuto della tesi, posto
preferibilmente all'inizio (altrimenti, alla fine della tesi). Nell'indice
vanno riportati i titoli dei capitoli e delle ulteriori suddivisioni del testo,
con i relativi numeri di pagina (questi saranno aggiunti alla fine, se si
lavora manualmente; altrimenti, i sistemi di videoscrittura prevedono appositi
comandi che permettono di aggiornare automaticamente eventuali variazioni del
numero della pagina con cui inizia il capitolo o il paragrafo). Se le varie
sezioni in cui è suddiviso il testo sono numerate, questa numerazione deve
essere riportata anche nell'indice. Per esempio, all'interno di ogni capitolo
le suddivisioni di primo livello possono essere distinte da numeri progressivi:
"1., 2., 3. …"; all'interno
di ciascuna suddivisione di primo livello, un altro numero progressivo può
indicare le suddivisioni di secondo livello: "1.1., 1.2., 1.3., … 2.1.,
2.2., 2.3. …". E' importante che la gerarchia delle suddivisioni sia
chiara, e venga resa anche visivamente nella redazione dell'indice, mediante
l'uso di rientri o di spaziature verticali differenziati. Alla fine
dell'indice, a seconda del tipo di tesi, può essere necessario inserire anche
un elenco delle illustrazioni, un elenco delle tavole fuori testo e un elenco delle tabelle (se presenti).
· Un'introduzione, in cui viene presentato
succintamente l'argomento della tesi(na), e i suoi scopi (vedi consiglio n° 1
sopra). Qui può venire discussa la situazione degli studi relativi all'argomento
della tesi, anche attraverso una bibliografia ragionata (questo, di per sé, può
essere un lavoro molto oneroso).
· Il
corpo della tesi, diviso in capitoli ed eventualmente in sotto-capitoli.
· Le
conclusioni, alla fine del lavoro
(vedi consiglio n° 14 sopra).
· Eventuali
appendici, in cui sono riportati
tutti i testi estranei alla tesi (documenti ecc.).
· La
bibliografia della tesi (vedi sotto).
La bibliografia può essere preceduta dall'elenco
o lista delle abbreviazioni usate
nella bibliografia stessa. La lista delle abbreviazioni può trovarsi anche
all'inizio della tesi, se se ne fa uso già nel corpo della tesi e nelle note.
· Sarebbe
auspicabile che la tesi prevedesse alla fine anche un indice dei nomi e dei
soggetti (o degli argomenti principali, o delle "cose notevoli"),
o indice analitico, con il relativo
numero di pagina. Questo tipo di indice aiuta il lettore a reperire velocemente
l'informazione cercata, e costituisce un'utile via d'accesso ai temi e ai
contenuti trattati nella tesi. L'indice va redatto alfabeticamente, secondo i
principi già enunciati a suo luogo.
II.3. La redazione del testo[27]
II.3.1 .Come si digita il testo
Prima di
tutto si deve scegliere un carattere (o fonte) chiaramente leggibile (Times New
Roman, Palatino, Helvetica, Arial, Verdana). Quanto alla grandezza (o corpo)
del carattere, è bene scegliere quello di 12 punti.
Nella
formattazione del paragrafo è preferibile scegliere di giustificare il testo:
il testo si presenterà con entrambi i margini, quello di destra e quello di
sinistra, allineati. L'altra possibilità è quella del cosiddetto "testo
sbandierato", cioè del testo allineato solo a sinistra. E' bene scegliere
una spaziatura doppia tra le righe, sia per rendere più leggibile il testo, sia
per permettere al docente di intervenire con eventuali correzioni nel corso
delle diverse stesure della tesi. Ancora migliore è la scelta di una
"spaziatura esatta", per esempio di 22 punti: se nella tesi si
impiegheranno caratteri in lingue orientali, che possono comportare una dilatazione
dello spazio verticale tra le righe, la scelta di una spaziatura esatta
permetterà di mantenere costante la spaziatura.
Quanto
al numero di linee di scrittura per pagina, l'invito è quello di fare delle
pagine "piene", e non disporre il testo su poche linee (18/20), come
si usava per le tesi. Le righe di scrittura non pesano (se sono scritte bene),
ma la carta sì: bisogna evitare di sprecarla e di produrre tesi anche
materialmente pesanti, difficili da portare e da conservare per relatore e
correlatore. Per lo stesso motivo, sarebbe auspicabile stampare o fotocopiare
la tesi in modo da utilizzare entrambe le facciate di ogni foglio, così da
dimezzare la quantità di carta utilizzata. Il valore di una tesi, come di
qualsiasi altra pubblicazione, non si giudica "a peso".
All'interno
di ogni capitolo o sezione della tesi bisogna decidere come organizzare i
paragrafi. Formalmente il paragrafo si definisce come la porzione di testo
compresa tra due ritorni a capo. L'inizio di ogni paragrafo può anche essere
evidenziato con un rientro, che può essere ottenuto digitando il tasto
"tabulazione" (due frecce disposte nelle due diverse direzioni, in
alto a sinistra sulla tastiera); ma spesso i programmi di videoscrittura
producono automaticamente il rientro di paragrafo dopo ogni ritorno a capo.
L'organizzazione
del testo in paragrafi è di estrema importanza; bisogna evitare di andare a
capo senza criterio, in modo casuale, o in continuazione, dopo ogni frase. Chi
scrive deve badare a fare in modo che ogni paragrafo rappresenti per il lettore
un'unità informativa ben percepibile; e che la sequenza dei paragrafi rispecchi
l'ordinata progressione del suo pensiero. Andare a capo è come permettere al
lettore di riprendere fiato durante una salita in montagna: va fatto ogni
tanto, e al momento giusto.
Bisogna
prestare attenzione al modo in cui si digita la punteggiatura. I segni di
punteggiatura (punto, virgola, punto e virgola, due punti, punto esclamativo,
punto interrogativo) vanno digitati "attaccati" al testo che precede,
ma con uno spazio dopo di essi [28].
Le virgolette e le parentesi, invece, aderiscono al testo racchiuso (per il
loro uso, vedi sotto). Il trattino lungo — che va scelto tra i
"simboli" dal menu "inserisci" — è preceduto e seguito da
uno spazio. Il trattino corto, invece, può essere scritto senza spaziatura
prima e dopo (si fa così, senza spazio, nelle sequenze di numeri: "anno
accademico 2003-04", "pp. 56-80"). Inoltre, il punto dopo
un'abbreviazione vale anche come punto fermo alla fine di una frase: ecc. Il
punto va ripetuto se dopo l'abbreviazione si chiudano delle parentesi o delle
virgolette (ecc.). Il punto esclamativo e il punto interrogativo valgono anche
come punto fermo, cioè dopo questi segni non si mette il punto, e la frase
successiva inizia generalmente con l'iniziale maiuscola. Dopo i due punti, e
dopo il punto e virgola, invece, si usa l'iniziale minuscola. Si ricordi che in
italiano l'iniziale maiuscola si usa solo all'inizio di frase, e per i nomi
propri ("gli Italiani", ma: "il popolo italiano"; "gli
Inglesi", ma: "l'inglese, l'arabo, il cinese").
Il
numero progressivo di una nota, che i programmi di videoscrittura producono
automaticamente dal menu "inserisci", o cliccando su una particolare
icona, può essere inserito prima o, preferibilmente, dopo il segno di
punteggiatura (in genere il punto fermo che chiude una frase). L'importante è
fare sempre allo stesso modo.
Bisogna
infine ricordarsi, utilizzando sempre l'apposito comando dal menu
"inserisci", di inserire i numeri di pagina, che in genere vengono
disposti al centro del margine inferiore della pagina (la prima pagina di ogni
capitolo generalmente non si numera).
II.3.2. Breviario di
punteggiatura[29]
· La
virgola di norma si usa per separare la proposizione principale dalla
secondaria ("se siete studenti, siete intelligenti")
· proibito
usare la virgola dopo il soggetto ("gli studenti, sono tutti
intelligenti": NO!)
· obbligatoria
la virgola per delimitare incisi ("gli studenti, eccezion fatta per gli
stupidi, sono intelligenti")
· obbligatoria
la virgola per delimitare subordinate ("gli studenti, benché siano
intelligenti, a volte sono stupidi")
· obbligatoria
la virgola nelle enumerazioni; da evitare di norma prima di e ("gli studenti, i docenti e i
presidi sono intelligenti")
· si
usa il punto e virgola (o il punto fermo) per separare due frasi totalmente
indipendenti ("gli studenti sono intelligenti; i docenti appartengono a
tutt’altra categoria")
· si
usano i due punti per introdurre una frase di spiegazione o ampliamento
("gli studenti sono intelligenti: capiscono sempre tutto"); i due
punti sostituiscono egregiamente cioè,
perché, infatti, quindi.
L’accento
è obbligatorio su monosillabi che potrebbero confondersi con altri omografi.
Casi più frequenti:
· dà (verbo)
/ da (preposizione)
· là
(avverbio) / la (articolo)
· sì
(avverbio) / si (pronome)
· sé
(pronome tronco) / se (congiunzione o
pronome atono)
Non si
mette l’accento su: do (verbo), fa (verbo), su (preposizione).
Bisogna
distinguere l’accento dall’apostrofo. Questo va usato nei troncamenti
irregolari (es.: un po’) o negli
imperativi (es.: va’).
L’apostrofo
si usa normalmente nell'elisione, non nel troncamento. Es.: un’ora, ma fra Cristoforo.
Si
ricordi che un non è seguito da
apostrofo (es. un altro).
Attenzione:
qual è, qual altro.
Si
impiegano le d eufoniche in ed, ad,
od solo quando la parola che segue
inizia rispettivamente con e, a, o.
Si può fare eccezione per locuzioni entrate nell’uso, come ad opera, ad un(a), ad esso, ad ogni. Si preferisce per
esempio a ad esempio.
Il
corsivo è il carattere, o meglio la variante dei caratteri di un certo stile,
usato per eccellenza come elemento distintivo all'interno del testo. Esso è
usato:
· per
il titoli dei libri o anche — se si sceglie un certo stile di citazione
bibliografica (vedi sotto) — degli articoli;
· per
riportare parole straniere (ma non nomi propri, di persona o di luogo, né
parole straniere acquisite o di uso corrente in italiano), e in particolare per
riportare parole o frasi in trascrizione scientifica;
· per
evidenziare o "sottolineare" una o più parole nel testo.
Il
corsivo può essere scelto, inoltre, come stile dei titoli delle varie sezioni
della tesi, o titoli di secondo livello. (Per i titoli di primo livello si
possono usare i caratteri maiuscoli.)
Circa il
sottolineato, è opportuno citare l'opinione del collega Angelo Arioli:
Bandirei da ora e per sempre in tutti i tipi di
testi redatti tramite computer il sottolineato, che tranne rarissimi
casi non ha motivo di esistere e infatti non esiste in alcuna pubblicazione.
Ricordo, soprattutto ai più giovani, che prima dell'avvento della
video-scrittura, si sottolineavano le parole per indicare al tipografo che le
medesime dovevano essere composte in corsivo
o italico […]. Ora corsivi, grassetti, apici, pedici, e via elencando si
trovano in ogni programma di video-scrittura. Basta con le sottolineature (!).[30]
Si
ricordi infine che, se nel testo originale che viene riportato in corsivo (per
esempio il titolo di un libro) compaiono caratteri corsivi, questi ultimi vanno
riportati in tondo, cioè nel carattere normale in cui è composto il testo. Per
esempio: "Gilbert Lazard, Les prépositions pa(d) et bē (ō) en persan et en pehlevi, […]".
II.3.6. Le virgolette e le
parentesi
Le
virgolette possono essere singole o apici ('…'), o doppie. Queste ultime
possono essere alte o inglesi ("…"), e basse o francesi o
"caporali" («…»).[31]
Generalmente in un testo si usano le une o le altre, quelle doppie alte o
quelle basse, evitando di alternarne l'uso. Può essere preferibile scegliere i
cosiddetti "caporali" se nei testi da citare compaiono già segni (di
trascrizione o di traslitterazione) che possano essere confusi con le
virgolette alte; per esempio è preferibile scrivere «‘Ulamā'», per evitare
il pasticcio grafico "‘Ulamā'".
Le
virgolette doppie, alte o basse che siano, servono principalmente a riportare
citazioni. Si possono usare le virgolette doppie anche per riportare una parola
in un'accezione particolare (per esempio: i cosiddetti "caporali"; in
quest'uso, alcuni autori preferiscono le virgolette singole o apici); per
citare una parola o un termine (per esempio: il termine "fonema"; in
quest'uso, in alternativa alle virgolette, si può ricorrere al corsivo); o per
far seguire a una parola o a una frase straniera la traduzione italiana (per
esempio: l'arabo kitāb,
"libro", …).
Gli
apici, invece, possono essere usati tutte le volte in cui si ha bisogno di
ricorrere all'uso delle virgolette all'interno di un testo già
"virgolettato" (es.: "l'arabo kitāb, 'libro', …"), o per citazioni all'interno di altre
citazioni.
Le parentesi possono essere tonde (…), quadre
[…], uncinate <…>, e graffe {…}. Le parentesi tonde indicano un inciso
(di commento, di spiegazione, o di ampliamento) all'interno del discorso, più
marcato di quello introdotto dalla virgola. Sono usate particolarmente per
introdurre nel testo principale, e talvolta nelle note, rinvii di carattere
bibliografico ad altri testi, o rinvii ad altre parti del testo della tesi
(es.: vedi sopra).
Le
parentesi quadre, invece, sono usate per segnalare che chi scrive sta
intervenendo nel testo. Per esempio sono usate quando, in una citazione, chi
scrive tralascia delle parti all'interno del testo citato […] [32];
oppure quando chi scrive vuole prendere le distanze da quello che egli
considera un errore dovuto all'autore citato, segnalando tale presa di distanza
per mezzo dell'espressione latina [sic],
"così", racchiusa tra parentesi quadre (sulla questione, vedi anche
sotto); oppure quando, sempre in una citazione, chi scrive integra una o più
parole (per esempio il soggetto sottinteso nella frase citata) necessarie alla
comprensione del brano estrapolato dal suo contesto. Infine, si usano le
parentesi quadre, al posto delle tonde, all'interno di un testo già racchiuso
entro parentesi tonde, come nell'esempio: "Il saggio di Franco Moretti
citato più avanti (Il romanzo di
formazione [1986]) è fondamentale …".[33]
Nelle
citazioni bibliografiche (per cui vedi sotto) le parentesi quadre, inoltre, si
possono usare per introdurre qualsiasi indicazione "supplementare",
non estrapolata dall'edizione dell'opera stessa: per esempio quando, al titolo
di un'opera in una lingua orientale o
poco nota, si voglia far seguire la traduzione italiana di esso:
Akimuškin, O.F., Persidskaja
rukopisnaja kniga [Il libro manoscritto persiano], in Rukopisnaja kniga v kul'ture Narodov Vostoka [Il libro manoscritto
nella cultura del Vicino Oriente], vol. I, Moskva 1987, pp. 330-406;
oppure quando si voglia
segnalare l'esistenza della traduzione italiana di un'opera, citata
nell'edizione nella lingua originale:
Lennenberg, E.H., Biological
Foundations of Language, New York, Wiley, 1967 [trad. it. Fondamenti biologici del linguaggio,
Torino, Boringhieri, 1971];[34]
oppure quando si voglia
segnalare l'esistenza di una ristampa di un'opera citata:
Grundriss
der iranischen Philologie,
herausgegeben von W. Geiger und
E. Kuhn, Strassburg, Karl J.
Trübner, 1895-1904, 2 voll. [ristampa anastatica: Berlin - New York, Walter de
Gruyter, 1974].
Nell'ambito
della filologia testuale, parentesi quadre e parentesi uncinate vengono usate
con un significato preciso: le prime racchiudono una parte di testo che
l'editore intende espungere; le seconde, invece, sono usate per introdurre
un'integrazione al testo da parte dell'editore.[35]
Claudia Ciancaglini precisa: "Tuttavia, nelle edizioni di epigrafi latine
e greche spesso si usa fare l'inverso (le uncinate per le espunzioni, le quadre
per le integrazioni)". E in generale, sebbene l'uso descritto sia
tradizionale, non mancano casi di usi diversi.
Lasciando
da parte le parentesi graffe, il cui uso è piuttosto raro nei testi di
carattere umanistico [36],
vanno infine ricordati alcuni usi particolari delle parentesi invalsi in ambito
linguistico: le parentesi quadre sono usate per citare — in trascrizione
fonetica[37] — suoni o
foni (per es.: "la nasale [ŋ]"); i fonemi di una lingua, invece,
si citano tra due barre ("il fonema /δ/ dell'inglese"); le
parentesi uncinate si usano per fare riferimento a "grafemi" o unità
grafiche o lettere (es.: "nei testi giudeo-persiani, <p> rappresenta
sia l'occlusiva, sia la fricativa labiale sorda"), e per citare parole o
brani in traslitterazione (come si è già detto, per la trascrizione, almeno per
numerose lingue vicino e medio-orientali, si usa normalmente il corsivo).
Se le
parentesi sono inserite all'interno di una frase (questo è il caso più
frequente), il segno di punteggiatura richiesto dalla frase in cui è inserito
l'inciso viene posto dopo la parentesi (vedi gli esempi contenuti in questo
stesso periodo). (Diverso è il caso di una frase, o di un periodo, posti per
intero tra parentesi, come in questo caso.) Solo se l'inciso posto tra
parentesi si conclude con un punto esclamativo o con un punto interrogativo,
questi segni precedono (come è ovvio!) la chiusura della parentesi.
Quando
si deve riportare una citazione, questa può essere data nel corpo della tesi,
racchiusa — come si è già detto — tra virgolette doppie. Altrimenti,
soprattutto se si tratta di una citazione lunga, essa può essere separata dal
testo principale, e riportata — possibilmente con margini verticali rientrati
rispetto a quelli del testo della tesi, e anche redatta con un carattere di
corpo più piccolo — fra due spaziature verticali (come nell'esempio dato nel
paragrafo 3.5., "L'uso del corsivo") . In quest'ultimo caso, il testo
citato non va racchiuso tra virgolette, perché la collocazione separata dal
testo già indica che si tratta di una citazione. Si può anche scegliere per le
citazioni un doppio regime, collocando quelle brevi nel testo, e quelle lunghe
fuori.
Tutte le volte che si cita, bisogna fornire l'indicazione
esatta del testo e della pagina o delle pagine da cui si cita. Questo si può
fare facendo seguire al testo della citazione una nota, che contenga il
riferimento bibliografico in questione, o anche fornendo il riferimento in
forma abbreviata tra parentesi, dopo la citazione stessa (circa i modi di
riferimento bibliografico, vedi sotto).
Quando si cita, bisogna fare attenzione a non alterare il
testo citato, perfino nel caso in cui vi siano evidenti errori ortografici,
grammaticali, o di contenuto (diverso è il caso di banali errori di stampa, che
vanno corretti). Chi cita può prendere le distanze da tali eventuali errori
inserendo, tra parentesi quadre, l'avverbio latino sic, "così", seguito o meno dal punto esclamativo [sic!]. Con tale espressione, chi scrive
indica che è così nel testo citato. Autori di tendenze moderniste preferiscono
segnalare la loro presa di distanze — particolarmente in riferimento ai
contenuti espressi da un altro autore — soltanto con il punto esclamativo,
sempre tra parentesi quadre: [!]. L'unica libertà che chi cita può prendersi
nei riguardi del testo citato concerne la possibilità di sostituire l'iniziale
maiuscola alla minuscola nella prima parola della citazione, nel caso in cui il
brano citato non cominci dopo un punto fermo. L'uso di puntini di sospensione
racchiusi entro parentesi quadre, che segnalano tagli nella citazione, è
superfluo all'inizio e alla fine del brano citato (sulla questione vedi sopra,
par. II.3.6.).
Le citazioni da testi in lingue europee vanno preferibilmente
lasciati nella lingua originale. Invece, le citazioni da testi in lingue
orientali vanno tradotte; il testo originale può essere fornito accanto alla
traduzione — in grafia originale o in trascrizione/traslitterazione — nel testo
o in nota.
Una diversa e più fondamentale questione riguarda la scelta
dei brani da riprodurre in citazione. Chi cita deve porre attenzione nello
scegliere i punti salienti e più significativi del testo da cui cita, e nel
collocarli nel punto giusto del proprio discorso. Bisogna evitare di
appesantire il testo della tesi con citazioni troppo frequenti e troppo lunghe,
e soprattutto immotivate.
Dopo le citazioni, soprattutto quelle di una certa lunghezza
inserite nel testo, è opportuno andare a capo (circa le citazioni disposte
fuori testo, precedute e seguite da spaziatura verticale, vedi sopra).
II.4. Abbreviazioni e termini usati nella redazione di testi scientifici
Nella
redazione di testi scientifici si usano alcuni termini caratteristici del
linguaggio scientifico, spesso mutuati dal latino, e alcune abbreviazioni
entrate nell'uso:
· p.
"pagina". Si usa nelle citazioni bibliografiche, seguito dal numero
della pagina, se si fa riferimento a una sola pagina del testo citato o
indicato. Da evitare "pag.".
· pp.
"pagine". Si usa, seguito dai numeri relativi all'intervallo di
pagine in questione, se si fa riferimento a più pagine; o, in bibliografia, per
indicare gli estremi delle pagine occupate da un articolo. Per esempio:
"pp. 5-14". Circa l'indicazione dei numeri, esistono due scuole di
pensiero: quella — cui appartiene chi scrive — secondo la quale i numeri vanno
riportati sempre per esteso (es.: "pp. 20-25", "pp.
344-347"); e quella che, per evitare ridondanze, sottintende le decine, le
centinaia, ecc., se sono le stesse (es.: "pp. 20-5", "pp.
344-7"; ma: "pp. 344-57", se solo la cifra delle centinaia resta
la stessa). Se c'è bisogno di fare riferimento a più intervalli di pagine,
questi si separano con la virgola o con il punto e virgola (si raccomanda di
fare sempre allo stesso modo): "pp. 20-25; 344-347". Se si fa
riferimento a più pagine singole del testo richiamato, i numeri relativi alle
pagine possono essere separati dalla virgola o dal punto e virgola, e
l'abbreviazione può essere al singolare (p.) o al plurale (pp.). Per es.:
"p. 56; 48; 90", oppure "pp. 46, 48, 90". Anche in questo
caso, si raccomanda la coerenza. Particolarmente con il "sistema
autore-data", ma anche nella citazione bibliografica tradizionale, le
abbreviazioni "p." o "pp.", davanti al numero di pagina,
possono essere omesse, perché si capisce dalla "sintassi" della
citazione che i numeri in questione indicano le pagine.
· f.
"folio/foglio" (oppure c.
"carta") si usa per fare riferimento alle "pagine" dei
codici manoscritti. Nei libri manoscritti la numerazione non è data per pagine
(paginazione), ma per fogli (foliazione o foliotazione), generalmente apposta
sul recto di ogni foglio o carta,
cioè quella facciata che appare per prima seguendo il senso di lettura del
testo [38].
Per distinguere le facciate, si fa seguire al numero del foglio l'abbreviazione
r (recto) o v (verso), in apice o meno. Per esempio: "f. 24r", "f.
24v". Da evitare l'uso delle lettere a
e b per fare riferimento
rispettivamente al recto e al verso del foglio: "f. 24a",
anziché: "f. 24r".
· vol.
"volume". Si usa per introdurre il numero del volume di un'opera in
più volumi da cui si cita, o cui si fa riferimento. Il numero del volume in
genere è dato in numeri romani, ed è seguito dal numero della pagina o delle
pagine citate. Anche in questo caso, come già si è detto a proposito delle
abbreviazioni relative alle pagine, l'abbreviazione "vol." può
mancare. Per es.: "Cfr. Grundriss
der iranischen Philologie, I,2, 28", significa volume I, tomo 2°,
pagina 28.
· voll.
"volumi". Nella citazione di un'opera in bibliografia, se
quest'ultima è in più volumi, l'abbreviazione "voll.", preceduta dal
numero arabico, introduce l'indicazione del numero totale di volumi che
compongono l'opera: "3 voll.". In inglese, e anche in francese, si
abbrevia "vols.".
· col.
"colonna", coll. "colonne" (in inglese e in francese:
"cols."). Queste abbreviazioni si usano quando il riferimento è non
alle pagine, ma alle colonne di un'opera impaginata su più colonne, e numerate
autonomamente (questo avviene talvolta per le enciclopedie o per i dizionari).
Altrimenti, se l'opera impaginata su colonne non presenta una numerazione per
colonne, ma per pagine, e se chi cita vuole fare riferimento a una colonna
precisa, la colonna può essere indicata con una lettera, minuscola o maiuscola;
per esempio: "cfr. p. 48a".
· par.
"paragrafo". In alternativa, il riferimento a un particolare
paragrafo di un'opera può essere introdotto dal simbolo § (o §§, se si fa
riferimento a più paragrafi), seguito dal numero del paragrafo. La citazione
del numero del paragrafo non esime dal dover citare anche la pagina o le
pagine. Per es. "Cfr. §. 8, pp. 12-15".
· cap.
"capitolo".
· supra
"sopra". Per il suo uso, vedi "cfr.".
· infra
"sotto". Per il suo uso, vedi "cfr.".
· v.
"vedi". Per il suo uso, vedi "cfr.". In contesti in cui si
parli di poesia, può essere l'abbreviazione di "verso", plurale
"vv.".
· cfr.
(o soltanto cf.; quest'ultima forma è usata nei testi in lingua inglese, meno
usata se si scrive in italiano) confer,
"reca insieme, confronta (imperativo)". Si usa in nota, o nel testo,
se il riferimento è introdotto con il "sistema autore-data" (vedi
oltre, par. II.5.4.), quando il riferimento bibliografico serve ad appoggiare,
a giustificare o a chiarire un'affermazione fatta da chi scrive, e facoltativamente
a rinviare al testo da cui è tratta una citazione. Per rinvii ad altre parti
del testo della tesi, cioè per rinvii interni, invece, si preferisce usare
l'imperativo "vedi", anche abbreviato (v.): "Vedi cap. 3".
Per rinviare a ciò che è stato già trattato nel testo della tesi(na), o a ciò
che segue, si scrive rispettivamente: "vedi sopra (o supra, in latino)", e "vedi sotto (o infra)". Al posto di "sotto", si può anche dire:
"oltre".
· ed.
(o edd., al plurale, inglese eds.): è l'abbreviazione che introduce o segue il
nome dell'editore scientifico, o curatore, di un volume, cioè lo studioso o gli
studiosi che si fanno carico della raccolta e della pubblicazione di scritti di
altri studiosi (atti di convegni; scritti composti per una qualche occasione o
relativi a un certo argomento, ecc.), assumendosene la responsabilità
scientifica. L'editore scientifico o curatore non va perciò confuso con
l'editore commerciale, o casa editrice. In italiano il nome dell'editore
scientifico è generalmente introdotto nel frontespizio del libro dalla formula
"a cura di …"; in inglese da: "edited by …"; in tedesco da:
"herausgegeben von …". L'abbreviazione "ed." può sostituire
la formula del frontespizio, quale che sia la lingua in cui esso è espresso.
L'abbreviazione "ed." può anche rappresentare l'abbreviazione della
parola "edizione" (es.: 3a ed.).
· Eadem/Ead.,
latino "la stessa". Vedi "Idem".
· Eiusdem,
latino "dello/-a stesso/-a". Vedi "Idem".
· Idem,
latino "lo stesso, il medesimo" (abbreviato Id.). Si usa al posto del
nome dell'autore, quando, in una bibliografia o in nota, si citano due o più
opere di uno stesso autore, per evitare di ripetere il nome stesso. Se l'autore
è una donna, è bene usare il femminile del pronome latino, sempre al nominativo:
Eadem, "la stessa" (abbreviato Ead.). L'uso del pronome al genitivo,
Eiusdem, o nella variante grafica Ejusdem, "dello/-a stesso/-a", è
anche possibile, anche se appare alquanto pedante. Se, come in genere si
raccomanda di fare, i nomi degli autori sono dati in maiuscolo o in
maiuscoletto, anche Idem/Id. e Eadem/Ead. vanno nello stesso formato.
· ibidem, latino
"lì stesso", abbreviato ibid.
Si usa quando, in due note consecutive, si cita sempre dalla stessa opera, per
non ripetere il riferimento bibliografico. Ibidem
può essere usato sia per fare riferimento alla stessa opera precedentemente
citata, anche se la pagina cui si fa riferimento è diversa (in tal caso si fa
seguire il numero della nuova pagina: Ibidem,
p. 49); sia per indicare un'identità completa (stessa opera già citata, e anche
stessa pagina).
· ivi
"lì, in quel luogo": è usato con lo stesso valore di ibidem, per rinviare a un passo
precedentemente citato. Il collega D'Intino segnala: "Alcuni editori (tra
cui Salerno) richiedono 'ivi' per la stessa pagina, e 'ibidem' per un'altra
pagina nella stessa opera". Quindi, ci si può attenere a questa norma. Si
deve invece evitare di usare nella tesi(na) entrambi i termini
"ibidem" e "ivi", se questi vengono usati con lo stesso valore.
Si scelga o l'uno, o l'altro.
· op. cit.,
vedi "cit.".
· cit.
"citato/-a". Si può mettere dopo il titolo di un'opera dato in forma
ridotta o abbreviata, per avvertire che l'opera è stata già citata in forma
estesa in una nota precedente. Per es.: "Cfr. Thiesen, A Manual of
Classical Persian Prosody, cit. (oppure: cit. a nota 6)". Da evitare
l'abbreviazione op. cit., dal latino opere citato, "nell'opera
citata" (in corsivo perché in latino, e perché sostituisce
un titolo), troppo generica, perché non permette di identificare con qualche
certezza di quale opera già citata si stia parlando.
· passim, latino
"sparsamente, qui e là". Si usa, sempre in corsivo, trattandosi di
una parola non italiana, quando nella citazione bibliografica non si può fare
riferimento a una o più pagine precise, perché l'argomento è trattato a più
riprese, in più punti del testo citato.
· n.s.
(o anche N.S.) "nuova serie". Nella pubblicazione di un periodico, la
numerazione dei volumi può, a partire da un certo anno, ricominciare da capo,
iniziandosi così una nuova serie. Nella citazione bibliografica si fornisce il
numero del volume secondo la nuova numerazione, preceduto dall'abbreviazione
n.s., ed accompagnato — se il frontespizio lo riporta — anche dal numero del
volume secondo la vecchia numerazione: 81, n.s. 20 (2001).
· s.l.
"sine loco/senza luogo". In
una citazione bibliografica, si usa quando dal frontespizio, o da altri luoghi
dell'edizione citata, non si può desumere quale sia il luogo di pubblicazione.
Nella "sintassi" della citazione, si mette al posto del luogo di
pubblicazione (vedi oltre).
· s.d.
"sine data/senza data". In
una citazione bibliografica, si usa quando dal frontespizio, o da altri luoghi
dell'edizione citata, non si può desumere quale sia la data di pubblicazione.
Nella "sintassi" della citazione, si mette al posto dell'anno di
pubblicazione.
· s.n.t.
"senza note tipografiche", o note di pubblicazione, cioè senza
indicazioni di luogo e di data di pubblicazione, né di editore (o di tipografo,
per i libri antichi).
· s.v.
(l'abbreviazione può anche essere data in corsivo, trattandosi
dell'abbreviazione di un'espressione latina) "sub voce". Si usa quando si cita o si fa riferimento a una
voce particolare di un'enciclopedia o di un dizionario. Per esempio (a
proposito di una determinata parola persiana discussa nel testo): "Cfr. F.
Steingass, A Comprehensive Persian-English Dictionary, New Delhi, Second
Indian edition, 1981, s. v.".
· AA.VV.,
vedi et alii.
· et alii, anche
abbreviato et al. "e
altri". Si usa, nei riferimenti bibliografici, quando si tralascia di
riportare i nomi di tutti i curatori di una pubblicazione, se sono più di due.
In questo caso, si dà solo il primo nome che compare nel frontespizio, seguito
dall'abbreviazione et al., o dalla forma
per esteso et alii, generalmente in
corsivo. Questa espressione, posta dopo il primo nome menzionato nel
frontespizio dell'edizione, può anche essere usata, nella citazione
bibliografica, quando si cita un'opera dovuta a più di tre autori. In questo caso,
tuttavia, l'opera può essere citata sotto il titolo. Da evitare l'uso
dell'acronimo AA.VV. "autori vari".
· ms.
manoscritto (plurale: mss.). Si usa seguito dalla segnatura del manoscritto o
dei manoscritti in questione (per il termine "segnatura", vedi sopra,
par. I.8).
Altre abbreviazioni che
possono trovarsi usate in testi di carattere scientifico sono: e.g.=exempli gratia "per
esempio"; i.e. (anche in corsivo)=id
est "cioè"; sc. o scil.=scilicet "vale a dire, cioè"; loc. cit.=loco citato,
"nel luogo citato", che però è meglio non usare, essendo oggi
un'espressione obsoleta, e di significato ambiguo (così come l'abbreviazione op. cit., per cui vedi sopra); a.a.O.=am angeführten Ort, "nel luogo
citato", usato solo in testi in tedesco, e di significato equivalente a loc. cit.
II.5. Le note e la bibliografia
Le note
(o più esattamente le note al testo) e la bibliografia rappresentano due
costituenti essenziali di una tesi o tesina, come di qualsiasi lavoro di
carattere scientifico, perché rappresentano le vie attraverso le quali chi
legge può esercitare un controllo e una verifica circa ciò che viene affermato
dall'autore. Tra questi due elementi vi è spesso un rapporto di
complementarità; perciò vengono trattati insieme.
Circa il
modo d'impostare le note e la bibliografia non si possono dare norme troppo
rigide: tutto dipende dal tipo di tesi o tesina assegnata; dal tipo di testi
sui quali si lavora (testi antichi, testi moderni) e dal tipo di bibliografia
consultata; e dalle esigenze imposte dal tipo di ricerca svolta.
Ci sono due tipi di note: le note di riferimento, e le note
di contenuto. Le prime servono a riportare un riferimento di carattere
bibliografico, che può essere dato in forma estesa o abbreviata; le seconde
servono a introdurre chiarimenti, commenti o ampliamenti del testo.[39]
Esiste poi il caso, in realtà molto frequente, di note che adempiono ad
entrambe queste funzioni, di riferimento bibliografico e di contenuto allo
stesso tempo.
In generale è bene non eccedere nell'uso delle note, per
evitare che chi legge debba continuamente passare dal testo alle note, perdendo
il filo del discorso. Perfino delle note di riferimento bibliografico, che in
determinati casi sono assolutamente necessarie (come ad esempio dopo una
citazione), bisogna fare un uso oculato. Sarebbe erroneo ritenere che la
scientificità di un lavoro si misuri sulla base del numero e della lunghezza
delle note; la presenza di note zeppe di riferimenti bibliografici inutili,
recati solo per pompa, è spia piuttosto della debolezza come studioso di chi
scrive, ed è un fastidio per chi legge.
Quanto alle cosiddette "note di contenuto", il
consiglio di non abusarne è ancora più risoluto. La presenza di un numero
eccessivo di note contenenti ampliamenti e commenti al testo è sintomo di
un'insufficiente elaborazione della materia trattata, e altera l'equilibrio tra
testo e note. Infatti, se il discorso della tesi è costruito sapientemente, non
dovrebbe esserci bisogno di questo tipo di note: quello che è importante va nel
testo, trattato nel punto più opportuno; quello che non lo è può essere
taciuto. In nota si possono semmai riportare informazioni accessorie e
collaterali rispetto al discorso svolto nel testo, ma sempre cercando di
evitare note troppo lunghe. Nelle note è bene evitare di andare a capo, anche
perché non dovrebbe essercene bisogno.
Le note possono essere riportate a piè di pagina, o raccolte
in un elenco finale. La prima soluzione è preferibile, perché facilita chi
legge.
La bibliografia alla fine della tesi (come quella fornita
alla fine di un articolo) dovrebbe — a parere di chi scrive — riportare solo i
testi che sono stati effettivamente utilizzati e citati nel corpo della tesi.
La bibliografia serve infatti a raccogliere — nell'ordine alfabetico del
cognome dell'autore delle opere citate — tutti i riferimenti bibliografici dati
in forma estesa o abbreviata nel corso della tesi, per permettere a chi legge
di reperire agevolmente le informazioni relative, e di farsi velocemente
un'idea di quali siano i testi e la letteratura critica consultata. Se le
informazioni bibliografiche sono già state date per esteso nelle note, la
bibliografia finale potrebbe perfino essere non necessaria (e nella redazione di
brevi articoli, infatti, può essere omessa).
La presenza in bibliografia di un'opera cui non si sia fatto
riferimento in precedenza è criticabile: o l'opera non si è rivelata attinente
all'argomento trattato o interessante ai fini della ricerca svolta, e allora è
inutile citarla in bibliografia (d'altra parte, un'opera può essere anche
citata, nel testo o in nota, in modo critico); oppure la sua presenza in
bibliografia, senza che essa appaia essere stata utilizzata nella redazione del
testo e citata nelle note, indica che chi scrive non ha saputo farne buon uso,
e che non ne ha tratto alcuna indicazione utile. In questo caso, la sua
inclusione nella bibliografia equivale all'inclusione di un'opera che non sia
stata effettivamente consultata, cosa che non si dovrebbe fare.[40]
La bibliografia
finale, dunque, non dovrebbe essere intesa come una ricerca di carattere
bibliografico fine a se stessa. Un saggio bibliografico che completasse la tesi
costituirebbe un lavoro di grande utilità; ma sarebbe cosa diversa dalla
bibliografia finale di una tesi.
E'
inoltre opportuno escludere dalla bibliografia quelle opere cui si sia fatto
riferimento nel corpo della tesi, ma che non abbiano un'attinenza diretta con
l'argomento di essa. Se per esempio in una tesi di dialettologia araba per
qualche curioso motivo volessi citare un'opera, o un passo di un'opera di
Freud, dando in nota il relativo riferimento bibliografico, non per questo
dovrei sentirmi in dovere di riportare l'opera in bibliografia. (Nella
composizione di una tesi sarebbe comunque meglio non divagare.) Così pure, se
volessi fare riferimento a un canto della Divina
Commedia in generale, non ci sarebbe bisogno di citare alcuna edizione di
essa, né in nota, né in bibliografia.
Infine, in bibliografia normalmente non si cita la
"letteratura secondaria" (manuali, enciclopedie, dizionari, repertori
bibliografici), se tali testi sono citati in quanto tali. Si dà cioè per
scontato che chi ha redatto la tesi abbia consultato gli strumenti di base
della ricerca in quel settore. Diverso è il caso in cui si debba citare un
particolare capitolo di un manuale o una particolare voce di un'enciclopedia o
di un dizionario. Per esempio:
TISSERANT, Eugène, s.v. Nestorienne (L’Église), in Dictionnaire de théologie catholique, vol.
XI, Paris 1931, coll. 157-323.
II.5.3. I riferimenti
bibliografici in nota
Tutte le
volte che, nel corpo della tesi(na), si citi un testo, oppure si riferiscano
― anche senza citare la lettera del testo ― il pensiero o le informazioni
date da un altro autore, e in generale tutte le volte che si faccia qualsiasi
affermazione che richieda di essere sostenuta e corroborata dal rinvio a
un'altra opera, bisogna fornire in nota il riferimento bibliografico relativo.
I
riferimenti bibliografici necessari nella stesura della tesi vengono
generalmente forniti una prima volta in nota, dove cade acconcio citarli, e poi
riportati nella bibliografia. Lo stile della citazione bibliografica (su cui
vedi oltre) è lo stesso, con la differenza che in nota il nome, per intero o
puntato, precede il cognome, senza la virgola tra nome e cognome; mentre in
bibliografia — dato che le varie "entrate" vanno disposte nell'ordine
alfabetico del cognome dell'autore — è preferibile che il cognome preceda il
nome, separato da questo con una virgola.[41]
In nota, inoltre, non basta fornire l'indicazione bibliografica in astratto (a
meno che non si voglia fare riferimento a un'opera in generale), ma bisogna
fornire anche l'indicazione precisa del volume (nel caso di un'opera in più
volumi) e della pagina o delle pagine da cui si cita, o cui si rinvia.
In nota,
il riferimento può essere dato in forma estesa la prima volta che esso occorre,
e in forma abbreviata se capita di dover citare di nuovo la stessa opera; oppure
scegliendo fin dall'inizio di darlo in forma abbreviata, e rinviando alla
bibliografia, o ad una apposita lista delle sigle e delle abbreviazioni
bibliografiche, la forma completa di esso. Si può anche scegliere un regime
misto, citando in forma abbreviata o attraverso delle sigle (sciolte nella
lista delle sigle e delle abbreviazioni) le opere cui si fa riferimento più
spesso nella tesi, e in forma estesa le altre opere.
I modi per dare in nota un riferimento bibliografico in forma
abbreviata o ridotta sono vari:
a) fornire
il solo cognome dell'autore (in genere — come si vedrà — in caratteri maiuscoli
o in maiuscoletto), seguito dalle prime parole del titolo, o dal titolo senza
eventuali sottotitoli (in corsivo):
3 Cfr. Thiesen,
A Manual of Classical Persian Prosody,
p. 36.
Se
l'opera in questione è stata già citata in forma estesa, si può — per aiutare
il lettore — rinviarlo al luogo in cui l'opera è stata citata per la prima
volta, per esteso:
3 Cfr. Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody
cit. a nota 1, p. 36.
Questo
tuttavia non è necessario, perché il lettore che non ricordasse dove l'opera è
stata citata per esteso troverebbe comunque in bibliografia l'indicazione
completa:
Thiesen, Finn, A
Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and
Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.
b) fare
uso di vere e proprie abbreviazioni, come per esempio una sola parola del
titolo di un'opera, senza neanche il cognome dell'autore:
3 Cfr. Prosody,
p. 36.
oppure
fare uso di sigle, come ad esempio l'acronimo, cioè le lettere iniziali, del
titolo di un'opera:
3 Cfr. GIPh,
vol. I,2, pp. 28-29.
In
questo caso, naturalmente, la lista delle sigle e delle abbreviazioni bibliografiche,
con la forma completa del riferimento bibliografico, è obbligatoria.[42]
Il simbolo "=", oppure i due punti, introducono lo scioglimento della
sigla:
SIGLE E
ABBREVIAZIONI
GIPh = Grundriss der iranischen Philologie,
herausgegeben von W. Geiger und
E. Kuhn, Strassburg, Karl J.
Trübner, 1895-1904, 2 voll. (vol. I in
2 tomi + una appendice; vol. II in 2 tomi) [ristampa anastatica: Berlin - New
York, Walter de Gruyter, 1974].
Prosody = Finn Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu,
Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.
II.5.4. Il "sistema
autore-data"
Vi è un
particolare modo di riferimento bibliografico, il cosiddetto "sistema
autore-data", con il quale un'opera è identificata esclusivamente dal
cognome dell'autore e dalla data in cui essa è stata pubblicata. Questo sistema
permette di richiamare direttamente nel testo, tra parentesi tonde, una
pubblicazione, evitando l'uso di note di riferimento. Per esempio: "Secondo
Thiesen (1982, p. 45), …";
oppure: "Le parole terminanti in -a
(cfr. Thiesen 1982, p.
50)…". Come si è visto sopra, a proposito delle parentesi, si usano le
parentesi quadre se il riferimento è a sua volta compreso tra parentesi tonde.
Per esempio: "… (diverso è il parere di Thiesen
[1982, pp. 26-30] sulla questione)".[43]
Naturalmente,
la bibliografia finale si presenterà con il nome dell'autore (sempre
nell'ordine alfabetico del cognome) seguito immediatamente dall'anno di
pubblicazione:
Thiesen, Finn 1982: A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu,
Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz.[44]
Se di un autore sono citate più opere, queste nella
bibliografia verranno riportate in ordine cronologico, da quella pubblicata
prima a quella più recente. Se poi dello stesso autore sono citate più opere
pubblicate nello stesso anno, queste verranno distinte per mezzo di una lettera
dell'alfabeto che segue immediatamente l'anno. Per esempio: "Secondo Lazard (1968a, p. 79), …". Queste
lettere devono distinguere le pubblicazioni anche nella bibliografia:
Lazard, Gilbert 1957: Grammaire du persan contemporain, Paris, Klincksieck.
Lazard, Gilbert 1963: La langue des plus anciens monuments de la prose persane, Paris,
Klincksieck.
Lazard, Gilbert 1968: Les prépositions pa(d) et bē
(ō) en persan et en pehlevi, in Studia grammatica Iranica. Festschrift für
Helmut Humbach, München, pp. 245-255.
Lazard, Gilbert 1968a: La dialectologie du judéo-persan, “Studies in Bibliography and Booklore”,
8, pp. 77-98.
Il
sistema di riferimento bibliografico "autore-data", oggi molto
diffuso, è indicato particolarmente per ricerche che utilizzino esclusivamente
bibliografia recente (sarebbe strano fare riferimento in questo modo a edizioni
di opere antiche) e per fare riferimento alla letteratura critica (meno
indicato è questo tipo di riferimento per citare fonti storiche o letterarie,
opere cioè che abbiano tante e diverse edizioni).
Un modo
per utilizzare questo tipo di sistema di riferimento bibliografico anche in una
tesi che citi fonti e testi antichi, sarebbe quello di dividere la bibliografia
in due sezioni: quella delle "fonti", e quella della
"letteratura critica". Si potrebbe così decidere di richiamare, in
nota o nel testo, le opere contenute nella prima sezione secondo uno dei modi
di riferimento bibliografico già descritti (per esteso, o in forma ridotta o
abbreviata); e le opere contenute nella sezione della letteratura critica con
il "sistema autore-data".[45]
II.6. La grammatica bibliografica (Bruno Lo Turco)*
La
grammatica bibliografica, che qui sotto descriveremo assai sinteticamente, si
occupa di come redigere le notizie che servono a rappresentare e identificare
il documento.
La
citazione bibliografica differisce da quella catalografica, ossia da quella
utilizzata nei cataloghi delle biblioteche: è più sintetica e non è sottoposta
a regole altrettanto rigide.
Non esiste un solo stile di citazione
bibliografica. I diversi stili e modi di citazione bibliografica possono
variare a seconda del numero degli elementi forniti per descrivere una
pubblicazione, dell'ordine con cui questi sono presentati, e dello stile
redazionale con cui sono offerti (corsivo, virgolette, ecc.); e a seconda del
maggiore o minore grado di fedeltà al frontespizio. E' possibile infatti
riportare per esteso la lettera del frontespizio, con eventuali sottotitoli e
indicazioni aggiuntive; oppure limitarsi ai dati essenziali, ed eventualmente
fornire in maniera sintetica e "formalizzata" le ulteriori
informazioni. Anche un medesimo autore, a
distanza di tempo, può cambiare stile di citazione.
Nella
citazione bibliografica sono indicati gli elementi atti a permettere al
fruitore l’identificazione certa di un documento; per esempio nel caso di un
libro: nome dell’autore, titolo, luogo di pubblicazione, casa editrice, data di
pubblicazione, serie o collana.
In
una bibliografia va rispettato assolutamente il criterio dell’uniformità: ogni
singola citazione bibliografica deve essere composta rispettando una sintassi,
ossia un ordine stabilito. È da tenere presente che nell’ambito di quest’ordine
la punteggiatura ha un significato preciso.
Nel
caso che la bibliografia finale sia divisa in due sezioni: quella delle
"fonti" e quella della "letteratura critica" (vedi sopra,
par. II.5.4.), si possono scegliere due stili di citazione diversi per i
documenti compresi nelle due sezioni. Se per esempio la prima sezione include
libri antichi, per questi ultimi si può adottare uno stile di citazione che
riproduca fedelmente perfino le caratteristiche ortografiche (abbreviazioni,
uso delle maiuscole, ortografia storica) e tipografiche (disposizione delle
linee e ritorni a capo) del frontespizio.
Qui
di seguito si descrivono alcuni tra i possibili stili, i più usuali, della
citazione bibliografica.
Per
reperire i dati necessari alla compilazione della citazione si faccia
innanzitutto riferimento al frontespizio.
La citazione bibliografica è composta di
elementi, quali il nome dell’autore, il titolo del libro, la data di
pubblicazione, ecc.
Generalmente, nel caso di monografie, gli
elementi della citazione si dispongono nell’ordine che segue: cognome, nome
dell’autore (o dell'editore scientifico) nel caso di citazione in una
bibliografia (nome e cognome nel caso di citazione in nota), titolo, luogo di
pubblicazione, casa editrice (omessa nelle bibliografie di genere più
sintetico), anno di pubblicazione, numero dei volumi, numero complessivo delle
pagine (omesso nelle bibliografie sintetiche), collana (se il documento
appartiene a una collana o serie). L'indicazione della collana può essere data
anche dopo il titolo.
Per separare un elemento della citazione
dall’altro si usa la virgola (in alternativa è possibile impiegare il punto
alla fine del titolo). La virgola può essere omessa tra luogo e anno di
pubblicazione (nel caso si ometta la casa editrice). La virgola inoltre — come
qualsiasi altro segno di punteggiatura — è omessa prima dell'apertura di una
parentesi; in certi stili di citazione bibliografica, la virgola può essere
omessa anche dopo la chiusura della parentesi. Qui di seguito saranno date tra
l’altro alcune indicazioni di base sul trattamento degli elementi, tra cui
quelle che riguardano la presentazione tipografica (o design).
David Gordon White,
The Alchemical Body, Chicago 1996.
D. Nuehrmann, Il libro dei componenti elettronici, Padova 1980 (Manuali di
elettronica applicata 32).
Bucknell, R.S., Sanskrit
Manual. A Quick-reference Guide to the Phonology and Grammar of Classical
Sanskrit, Delhi, Motilal Banarsidass, 1994, 262 pp.
Nel caso di
adozione del sistema autore-data (vedi sopra, par. II.5.4.), nella bibliografia
finale l’anno di pubblicazione seguirà immediatamente il nome dell’autore e
precederà il titolo. Potrà essere tra parentesi tonde, oppure tra virgole o,
ancora, seguito da due punti.
Bucknell, R.S. (1994) Sanskrit
Manual. A Quick-reference Guide to the Phonology and Grammar
of Classical Sanskrit, Delhi.
Potter, K.H., 1995, Encyclopaedia
of Indian Philosophies, vol. I: Bibliography, 3rd ed., Delhi.
Lanza, Antonio 1992: Norme grafiche. Un prezioso sussidio per laureandi e giovani studiosi, Anzio, De
Rubeis.
Potrà inoltre
essere evidenziato graficamente come segue:
Martinucci, Andrea
1994 Guida
alla bibliografia internazionale. Milano, Editrice bibliografica.
Per separare serie paritarie, come per
esempio diverse serie di numeri di pagina, si usa il punto e virgola.
Nell’esempio che segue, il libro è dotato di due serie di numeri di pagine: una
di 22 pagine (numerate con numeri romani) e una di 327 pagine (numerate con
numeri arabi):
K.H. Potter, 1995, Encyclopaedia
of Indian Philosophies, vol. I: Bibliography, 3rd ed., Delhi, XXII; 327 pp.
L'autore
Il
nome dell’autore sarà generalmente in maiuscoletto, e mai in corsivo. Se il
documento ha più di un autore, nella citazione i nomi si dispongono nello
stesso ordine con cui compaiono sul frontespizio, separati dalla virgola, o da
un trattino corto preceduto e seguito da spaziatura. Talora il documento può
essere citato sotto il nome dell’editore scientifico (o curatore). La
presentazione tipografica del nome dell’editore scientifico è identica a quella
dell’autore. Unica differenza è che il nome dell’editore scientifico si fa
seguire da "(ed.)". L’editore scientifico può essere più di uno; in
questo caso i nomi si fanno seguire da "(edd.)", o da
"(eds.)" se il testo cui la bibliografia si riferisce è in inglese.
Altrimenti, l'indicazione del curatore può essere data per esteso così come
appare nel frontespizio dell'opera: la formula desunta dal frontespizio viene
in questo caso riportata in tondo, dopo il titolo, preceduta dal punto o dalla
virgola. Esempi:
Cordasco, F. (ed.) (1992) Theodore
Besterman, Bibliographer and Editor. A Selection of Representative Texts,
Metuchen (N.J.).
Crowley, R.T., Sheppard, H.E. (edd.) (1985) International Acronyms, Initialism &
Abbreviations Dictionary. A Guide to Over 90.000 Foreign and International Acronyms,
Detroit.
Scribes et manuscrits du Moyen-Orient, sous la direction de François Déroche et Francis Richard, Paris, Bibliothèque Nationale
de France, 1997.
Il
documento sarà citato sotto il nome dell’editore scientifico nei seguenti casi:
il documento è una poligrafia (o
raccolta miscellanea); il frontespizio non riporta il nome di un autore; sul
frontespizio sono menzionati più di tre autori; il nome dell’autore è parte del
titolo. Se gli autori sono più di tre, ma non è noto il nome dell’editore scientifico,
si riporta solo il nome del primo autore seguito dall’indicazione et al.; indicazioni del genere AA.VV.
sono da evitare assolutamente. In alternativa, in tutti questi casi il
documento si può citare sotto il titolo; anche se l'indicizzazione sotto il
titolo, come pure quella sotto il nome di un eventuale "ente autore"
(vedi sopra, par. I.7.1.1.), usuali in ambito bibliotecario e catalografico,
sono meno usate nelle bibliografie.
Il
titolo
Il titolo sarà in corsivo. L’uso delle
maiuscole nei titoli segue le convenzioni proprie della lingua dei titoli
stessi (nei titoli inglesi, generalmente, si usano le iniziali maiuscole per
tutte le parole, esclusi articoli, preposizioni e congiunzioni). La
punteggiatura è sempre in tondo, con l’eccezione delle virgole che possono
apparire nel corso di un titolo e che ne fanno parte integrante.
Il
titolo primario può essere separato con un punto dal titolo secondario (anche
se il frontespizio stesso riporta i due punti o altri segni di punteggiatura o
nessun segno di punteggiatura). Altrimenti, si mantiene la punteggiatura del
frontespizio. Indicazioni aggiuntive date dal frontespizio dopo il titolo (es.:
Giornate di studio sul tema …; Atti del convegno …, con il luogo e la data in
cui un certo convegno si è svolto) possono essere omesse, oppure riportate in
tondo dopo il titolo vero e proprio. Esempi:
Fragner, Bert G. et alii (edd.), Proceedings
of the Second European Conference of Iranian Studies, held in Bamberg, 30th
September to 4th October 1991 by the Societas Iranologica Europaea,
Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1995 (Serie Orientale
Roma, vol. LXXIII).
oppure:
Fragner, Bert G. et alii (edd.), Proceedings
of the Second European Conference of Iranian Studies, Roma, Istituto
Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1995 (Serie Orientale Roma, vol.
LXXIII).
L'indicazione di edizione
Se
il documento che si descrive non fornisce diversa indicazione, si deve
intendere che quel documento è una prima edizione. In questo caso l’indicazione
di edizione si omette. Altrimenti, l'indicazione di edizione può essere data in
tondo, dopo il titolo, in forma sintetica (es.: "3a ed."),
o per esteso, così come è data nel documento:
Pensato, R. (1995)
Corso di bibliografia,
3a ed., Milano (Bibliografia e biblioteconomia 28).
Catalogo
dei periodici esistenti in biblioteche di Roma, Terza edizione accresciuta, Roma 1985.
L’indicazione
di edizione può essere posta in forma di esponente dopo l’anno di
pubblicazione. Per esempio, l’indicazione 19832 fa riferimento alla
seconda edizione, pubblicata nell’anno 1983, di una determinata opera:
R. Pensato, Corso
di bibliografia, Milano,
19953 (Bibliografia e biblioteconomia 28).
Se
l’indicazione d’edizione si trova nel frontespizio ed entra a far parte del
titolo, sarà parte del titolo anche nella citazione:
Battaglini, M., Novelli,
T. (edd.) Codice di procedura civile e
leggi complementari con il commento della giurisprudenza della Cassazione. Settima edizione, aggiornata con la
giurisprudenza al 31 luglio 1984 e con la legislazione al 31 dicembre 1984,
Milano, A. Giuffrè, 1985.
È
necessario distinguere tra edizione e ristampa. Un’edizione successiva di una
determinata opera comporta generalmente una revisione, un aggiornamento o,
comunque, qualche tipo di modifica del contenuto; se il contenuto di un’opera
rimane identico, siamo di fronte a una ristampa. Si noti che allorché le case
editrici affermano che una certa opera è giunta alla terza o quarta edizione,
ciò va inteso nel senso di terza o quarta ristampa (si veda per esempio
l’elenco dei volumi pubblicati nella collana Biblioteca Adelphi alla fine di
ciascun volume appartenente alla collana stessa). Mentre l’indicazione di
edizione è sempre presente in una citazione bibliografica (giacché se la si omette,
in effetti si fa riferimento a una prima edizione), le informazioni sulla
ristampa sono generalmente taciute poiché non
rilevanti in relazione all’identificazione di un determinato documento
stampato. Talora può però essere opportuno riportare alcune informazioni
relative alla ristampa di cui l’autore della bibliografia ha fatto uso, per
esempio quando una ristampa implichi una paginazione differente da quella della
stampa originale: in questo caso infatti i rimandi alle pagine del documento
non sarebbero più necessariamente validi per il fruitore della bibliografia. Si
indicheranno allora, tra parentesi quadre, quale ultimo elemento della
citazione e preceduti dall’indicazione "ristampa:", luogo, casa
editrice (se tale indicazione è prevista dalla bibliografia) e anno della
ristampa alla quale si fa riferimento, in aggiunta ai dati relativi alla stampa
originale.
Halbfass, W. (1988) India and Europe. An Essay in Philosophical Understanding, Albany, State University
of New York [ristampa: Delhi, Motilal Banarsidass, 1990].
Opere in traduzione
Nel
caso in cui un'opera sia stata consultata non in un'edizione nella lingua
originale, ma in una traduzione, nella citazione bibliografica è bene fare
riferimento all'edizione effettivamente utilizzata, dando tra parentesi quadre
le informazioni relative all'edizione nella lingua originale. Queste in genere
possono essere desunte dal frontespizio o da altri luoghi della pubblicazione
stessa. Il nome del traduttore è dato tra parentesi tonde dopo il titolo. Se il
traduttore si è limitato a tradurre, e non gli si deve anche un'importante
introduzione, oppure se la traduzione non riveste un particolare valore
(scientifico o letterario), il nome del traduttore può anche essere omesso.
Viceversa, esso va indicato se è messo in evidenza nel frontespizio stesso
dell'edizione che si cita. Per esempio:
Pedersen, Johannes, The Arabic Book. Translated by Geoffrey French. Edited with an Introduction by Robert Hillenbrand, Princeton, New Jersey,
Princeton University Press, 1984 (Modern Classics in Near Eastern Studies) [ed.
originale: Den Arabiske Bog,
Copenhagen 1946].
Said, Edward W., Orientalismo (traduzione italiana di Stefano Galli), Torino,
Bollati Boringhieri, 1991 [ed. originale: Orientalism,
New York 1978].
oppure:
Said, Edward W., Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 [ed. originale: Orientalism, New York 1978].
Se
si è invece usata un'edizione nella lingua originale, ma si vuole fornire
l'informazione supplementare che dell'opera in questione esiste anche una traduzione
italiana, nella citazione bibliografica si fa riferimento all'edizione
effettivamente usata, dando l'indicazione della traduzione tra parentesi
quadre:
A.
De Botton, How Proust Can Change Your Life, New
York, Wiley, 1997 [trad. it. Come Proust può cambiarvi la vita, Parma, Guanda, 2003].
Note di pubblicazione: luogo,
editore, data
Il
luogo di pubblicazione sarà citato in tondo e nella lingua del libro. Se i
luoghi di pubblicazione sono più d’uno, può essere citato soltanto il primo;
altrimenti si citano tutti, separati da virgola, da trattino corto, o da barra
obliqua.
L’indicazione
relativa alla casa editrice può essere tralasciata (come avviene di solito
nelle bibliografie date in forma sintetica) o riportata; l’importante è
adottare un criterio preciso e seguirlo.
Nel
caso di poligrafie (riviste, atti di convegni, enciclopedie, Festschriften) la
casa editrice è generalmente omessa. Quest’ultima, o meglio, lo stampatore,
viene indicato solo nel caso di bibliografie particolari (libri antichi, ecc.)
La collana
La
collana o serie si segnala tra parentesi tonde (ed eventualmente anche tra
virgolette, oppure in corsivo) quale ultimo elemento della citazione, oppure
dopo il titolo e l’eventuale indicazione di edizione.
Articoli
Nel
caso di articoli contenuti in periodici, bisogna distinguere due possibili
modelli di citazione: 'anglosassone' e 'continentale'.
Il
modello anglosassone stabilisce che, dopo il nome dell’autore, si riporti il
titolo dell’articolo in tondo e tra virgolette, quindi il titolo del periodico
in corsivo. Si specificherà poi l’annata, generalmente in cifre arabe, ma non
il numero di fascicolo. Quest’ultimo si riporta, preceduto da barra obliqua
(/), solo allorché la paginazione ricominci da capo a ogni fascicolo che entra
a far parte dell’annata. Se la paginazione è continua attraverso i fascicoli
non vi sarà infatti necessità di specificare il numero di fascicolo. Sarà
riportato obbligatoriamente l’intervallo di pagine occupato dall’articolo che
si cita, preceduto da "pp." (qualche autore usa invece i due punti):
Balsamo, L. (1994) “Alle radici di un progetto
bibliografico europeo”, Bollettino AIB 34/1: 53-60.
Egan, M., Shera, J.H., “Foundation of a Theory of
Bibliography”, Library Quarterly 22
(1952), pp. 125-137.
Il
modello continentale richiede che, dopo il nome dell’autore, si riporti il
titolo dell’articolo in corsivo, quindi il titolo del periodico in tondo e tra
virgolette; viene poi l’annata, in questo caso generalmente in numeri romani;
segue una virgola (anziché la parentesi), e quindi l’anno; l’eventuale
indicazione del numero di fascicolo può essere in questo caso preceduta
dall’abbreviazione "fasc."; in ultimo si ha l’abbreviazione
"pp." seguita dall’intervallo di pagine (si noti che "pp."
segue l’indicazione del numero di pagine allorché si tratta del numero di
pagine complessivo di un documento, ma lo precede allorché stiamo individuando
l’intervallo di pagine occupato da un certo articolo).
M. Egan, J.H. Shera,
Foundation of a Theory of Bibliography,
“Library Quarterly”, XXII, 1952, pp. 125-137.
Bisogna
specificare sia l’annata sia l’anno, che non sempre hanno una corrispondenza
fissa, giacché spesso sopravvengono intervalli nella pubblicazione dei
periodici. Le citazioni devono essere uniformi: si usino per esempio sempre
cifre arabe o sempre numeri romani, indipendentemente da come l’annata è
indicata sulla rivista stessa.
Si
ricordi che nel caso di articoli contenuti in periodici l’indicazione
"in" è da omettere; titolo dell’articolo e titolo della rivista vanno
separati solo mediante la virgola. Per gli articoli contenuti in periodici
generalmente non si dà né l’editore commerciale né il luogo d’edizione.
Nel
caso di articoli contenuti in poligrafie (miscellanee, dizionari, enciclopedie,
dizionari biografici, Festschriften, scritti in onore di… etc.), si citano
l’autore, e il titolo dell’articolo in corsivo (oppure in tondo, tra
virgolette); quindi si dà l’indicazione "in" (seguita o meno dai due
punti), e il titolo complessivo dell’opera in corsivo. Può essere opportuno
citare, prima del titolo complessivo dell’opera, il nome dell’editore
scientifico della poligrafia (se noto). Si segnala quindi la città, seguita
dall’anno di pubblicazione (la casa editrice può essere omessa). Di nuovo, non
si indica il numero complessivo delle pagine dell’opera, ma solo le pagine in
cui è compreso l’articolo citato.
Clapp, V. (1957) Bibliography, in The Encyclopedia Americana, vol. III, New York, pp. 674-677.
D. Danesi, "Classificazione e indicizzazione speciali",
in: M. Guerrini (ed.), Biblioteche
speciali. Atti del convegno di studio “La biblioteca speciale e
specializzata”, Vinci, Biblioteca Leonardiana, 3-4 ottobre 1985, Milano, 1986,
pp. 328-360.
Se, d’altro canto, si cita tutta la
poligrafia (e non un solo scritto contenuto in essa), allora essa sarà trattata
secondo le regole della monografia:
M. Guerrini
(ed.), Biblioteche speciali. Atti del
convegno di studio “La biblioteca speciale e specializzata”, Vinci, Biblioteca
Leonardiana, 3-4 ottobre 1985, Milano, 1986.
Citazioni dal Web
Le
citazioni dal World Wide Web o, più in generale, dall’Internet sono, per quanto
possibile, da evitare. A causa dell’estrema instabilità dei siti, le pagine
citate possono divenire per sempre inaccessibili da un giorno all’altro.
Qualora dovesse essere assolutamente necessario citare un documento presente
sul web, la citazione conterrà
almeno, nell’ordine, i seguenti elementi: autore o curatore (in maiuscoletto),
titolo (in corsivo), anno di pubblicazione o, in mancanza di quest’ultimo, anno
di copyright, URL (o indirizzo) completo, data d’accesso, e, se presente, la
data della pagina.
Usberti, Marina, La citazione bibliografica delle risorse elettroniche remote, 2002,
http://www.burioni.it/forum/usb-cit0.htm,
22-9-2003.
Appendice I
Quadro
riassuntivo dei modi di citazione bibliografica
Dei vari stili e modi di citazione bibliografica descritti
nel par. II.6. se ne scelgono alcuni come consigliati. Negli esempi si adotta
un tipo di citazione che fornisca un massimo di informazione per
l'identificazione del documento, e che riporti il maggior numero possibile di
dati: nome di battesimo per esteso (a meno che esso non appaia puntato nel
frontespizio); titolo con eventuali sottotitoli per esteso; altre eventuali
indicazioni date dal frontespizio; indicazione della casa editrice; indicazione
della "collana". Ma, se si preferisce usare uno stile di citazione
più "leggero", molte di queste indicazioni — come si è visto —
possono essere omesse. Ciò che conta è scegliere uno stile di citazione e
seguirlo in modo costante nel corso della tesi(na).
MONOGRAFIE
(nella bibliografia finale)
Cardona, Giorgio Raimondo, Storia universale della scrittura, Milano, Mondadori, 1986.
Maniaci,
Marilena, Archeologia del manoscritto.
Metodi, problemi, bibliografia recente, con contributi di Carlo Federici e
di Ezio Ornato, Roma, Viella, 2002 (I libri di Viella, 34).
Pedersen, Johannes, The Arabic Book. Translated by Geoffrey French. Edited with an Introduction by Robert Hillenbrand, Princeton, New Jersey,
Princeton University Press, 1984 (Modern Classics in Near Eastern Studies) [ed.
originale: Den Arabiske Bog,
Copenhagen 1946].
(citazione per esteso in nota, con riferimento a un passo particolare)
Cfr. Giorgio Raimondo Cardona, Storia
universale della scrittura, Milano, Mondadori, 1986, pp. 76-78 (cap. V: La scrittura sugli oggetti).
Cfr. Robert Hillenbrand,
Introduction, in J. Pedersen, The Arabic Book. Translated by G. French,
Princeton, Princeton University Press, 1984, p. xiv.
® In questo caso, per non appesantire troppo
la nota, si è scelto di omettere qualche elemento della citazione bibliografica
completa, che viene comunque fornita nella bibliografia finale.
OPERE
DI CARATTERE MONOGRAFICO COMPOSTE DA PIU' AUTORI / OPERE IN PIU' VOLUMI /
RACCOLTE MISCELLANEE (vedi sopra, par. I.5.)
Nella grande maggioranza dei casi, in una tesi(na) si avrà bisogno di
citare, in nota o in bibliografia, singoli contributi contenuti in questi
"volumi contenitore", e meno spesso ci sarà bisogno di fare
riferimento alle opere in generale. Tuttavia, si danno ugualmente degli esempi
di citazione di questo tipo di opere.
(nella bibliografia finale)
The Cambridge History of Iran, Cambridge, Cambridge University
Press, 1968-1991, 7 voll. (vol. III in due tomi).
® La Cambridge History of Iran
è una monografia in più volumi. Come spesso accade, ogni singolo volume ha un
sottotitolo proprio (es.: Vol. I: The
Land of Iran; Vol. II: The Median and
Achemenian Periods; ecc.) ed ha uno o più curatori. Nella citazione
generale, si omettono i titoli dei singoli volumi e le relative indicazioni di
responsabilità scientifica. Come per tutte le opere in più volumi, inoltre, se
i volumi sono usciti in anni diversi, si dà solo il primo e l'ultimo anno di
pubblicazione dell'opera (e non le date di pubblicazione di tutti i singoli
volumi), e il numero totale di volumi. Nell'ordinamento alfabetico questa
entrata va ordinata sotto la lettera "c", perché - come si è visto
(par. I.7.3.) - si considera come primo elemento dell'ordinamento alfabetico la
prima parola ("Cambridge") dopo l'articolo.
Gallotta, Aldo - Marazzi,
Ugo (edd.), La
conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX,
Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984-1985, 2 voll. (Collana
"Matteo Ripa", III).
oppure:
La
conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, a cura di Aldo Gallotta e Ugo Marazzi,
Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984-1985, 2 voll. (Collana
"Matteo Ripa", III).
® Secondo le norme già viste relative all'ordinamento alfabetico,
questa "entrata" dovrebbe essere inserita nella bibliografia finale
sotto la lettera "c" (l'articolo va ignorato). Proprio per evitare
simili casi di dubbio, tuttavia, nelle citazioni bibliografiche - a differenza
che nei cataloghi - si preferisce la prima soluzione, con l'ordinamento sotto
il nome del curatore o editore scientifico (nei casi in cui esso sia presente).
Se si adotta questo stile di citazione, esso va seguito anche tutte le volte
che la stessa opera viene citata in nota, e in tutti i casi simili.
(citazione in bibliografia di un contributo particolare da questo tipo
di pubblicazioni)
Bosworth, C.E., The
Early Ghaznavids, in The Cambridge History
of Iran, Vol. IV: The Period from the
Arab Invasion to the Saljuqs, ed. by R.N. Frye,
Cambridge, Cambridge University Press, 1975, pp. 162-197.
® In questo caso, a differenza che nella citazione generale dell'opera
(vedi sopra), si danno tutte le informazioni relative al solo volume IV (in cui
è contenuto il contributo di Bosworth che interessa), che viene trattato alla
stregua di una raccolta miscellanea.
Gallotta, Aldo, I
manoscritti turchi della Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli,
in Aldo Gallotta - Ugo Marazzi (edd.), La conoscenza
dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, vol. II, Napoli,
Istituto Universitario Orientale, 1985, pp. 141-175.
® Si noti che l'indicazione che l'articolo citato si trova nel vol. II
della raccolta precede le note di pubblicazione (anno, editore, data di
pubblicazione).
(citazione per esteso in nota)
Cfr. Aldo Gallotta,
I manoscritti turchi della Biblioteca
Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli, in Aldo Gallotta - Ugo Marazzi (edd.), La conoscenza dell'Asia e dell'Africa in
Italia nei secoli XVIII e XIX, vol. II, Napoli, Istituto Universitario
Orientale, 1985, pp. 141-175 (pp. 150-155).
® L'indicazione delle pagine alla fine tra parentesi significa che si fa
riferimento a quelle pagine particolari dell'articolo in questione. Si può
anche scrivere: "(cfr. in particolare pp. 150-155)".
ATTI DI CONVEGNI (si
citano come le raccolte miscellanee)
(in bibliografia)
Fragner, Bert G. et
alii (edd.), Proceedings of the
Second European Conference of Iranian Studies, held in Bamberg, 30th
September to 4th October 1991 by the Societas Iranologica Europaea,
Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1995 (Serie Orientale
Roma, vol. LXXIII).
Paul, Ludwig (ed.), Persian
Origins. Early Judaeo-Persian and the Emergence of New Persian, Collected
Papers of the Symposium, Göttingen 1999, Wiesbaden, Harrassowitz, 2003
(Iranica, 6).
(citazione in bibliografia di un contributo particolare)
Maggi, Mauro, New
Persian Glosses in East Syriac Texts of the Eighth to Tenth Centuries, in Paul, Ludwig (ed.), Persian Origins. Early Judaeo-Persian and
the Emergence of New Persian, Collected Papers of the Symposium, Göttingen
1999, Wiesbaden, Harrassowitz, 2003, pp. 111-145.
FESTSCHRIFTEN, SCRITTI IN
ONORE, ecc. (si citano come le raccolte miscellanee)
(nella bibliografia finale)
Scarcia Amoretti,
Biancamaria - Lucia Rostagno (edd.), Yād-nāma in memoria di Alessandro Bausani, Roma, Bardi,
1991, 2 voll. (Università di Roma "La Sapienza", "Studi
Orientali", X).
® Si noti che il nome del secondo editor,
non dovendo essere ordinato alfabeticamente nella bibliografia, può anche
essere dato nell'ordine normale del nome seguito dal cognome.
ARTICOLI DI PERIODICI
(in bibliografia)
Arioli, Angelo, L'introduzione del Tadwīn:
testo arabo, "Rivista degli Studi Orientali", 69 (1995), pp.
51-121.
oppure:
Arioli, Angelo, "L'introduzione del Tadwīn: testo arabo", Rivista degli Studi Orientali, 69
(1995), pp. 51-121.
(citazione per esteso in nota, scegliendo uno dei due stili di
citazione proposti)
Cfr. Angelo Arioli,
L'introduzione del Tadwīn: testo arabo, "Rivista degli Studi
Orientali", 69 (1995), pp. 51-121 (p. 93).
® p. 93 racchiuso tra parentesi rappresenta la pagina particolare cui
si fa riferimento, o da cui si cita.
SUPPLEMENTI DI PERIODICI
Molte riviste pubblicano, una o più volte all'anno, dei supplementi,
che possono ospitare scritti di carattere monografico composti da uno o più
autori, oppure raccolte di articoli, atti di convegni, ecc. A seconda dei casi,
questi supplementi saranno trattati come monografie o come raccolte
miscellanee. Il supplemento può essere indicato come se fosse un volume
pubblicato all'interno di una collana; dalla citazione deve però risultare
chiaramente il numero della rivista del quale il volume in questione è un
supplemento.
(in bibliografia)
Casari, Mario, Alessandro e Utopia nei romanzi persiani medievali, Roma, Bardi,
1999 (Supplemento N° 1 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 72).
® Il supplemento è trattato come una monografia facente parte di una
collana.
Galletti, Mirella, Le relazioni tra Italia e Kurdistan, Roma, Istituto per l'Oriente
C.A. Nallino, 2002 (Quaderni di Oriente Moderno, 81, n.s. 20, 2001).
® Si noti che l'anno di pubblicazione può essere diverso dall'anno che
figura come anno della rivista. L'abbreviazione n.s. significa nuova serie
(vedi sopra, par. II.4.).
In memoria di Francesco Gabrieli (1904-1996), Roma, Bardi, 1997
(Supplemento N° 2 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 71).
® Il supplemento è trattato come una raccolta miscellanea pubblicata
all'interno di una collana. Nel caso esemplificato, non figura il nome di un
curatore del volume. La citazione del volume perciò va sotto il titolo, oppure
sotto il nome del primo dei contributori al volume, seguito dall'espressione
"et alii", anche abbreviata
(et al.):
Alfieri, Bianca Maria et
alii, In memoria di Francesco
Gabrieli (1904-1996), Roma, Bardi, 1997 (Supplemento N° 2 alla Rivista
degli Studi Orientali, vol. 71).
(citazione di un contributo particolare contenuto nel volume appena
citato)
Lancioni, Giuliano, Sull'ordinamento
dei dizionari arabi classici, in In
memoria di Francesco Gabrieli (1904-1996), Roma, Bardi, 1997 (Supplemento
N° 2 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 71), pp. 113-125.
NUMERI MONOGRAFICI DI
PERIODICI
Talvolta un numero di una rivista può essere pubblicato in forma di
volume monografico, cioè dedicato ad un argomento particolare, e fornito di un
titolo proprio. Chi cita, in questi casi complicati, può scegliere la soluzione
che ritiene più opportuna. Per esempio:
(in bibliografia, in un testo in italiano)
Iranian
Studies in Europe, Edited
by Rudi Matthee and Nikki Keddie (numero monografico della
rivista "Iranian Studies", 20/2-4, 1987).
oppure:
Matthee, Rudi - Keddie,
Nikki (edd.), Iranian
Studies in Europe, New York, The Society for Iranian Studies, 1988
(="Iranian Studies", 20/2-4, 1987).
® Nel secondo modello di citazione il volume è trattato come una
monografia, di cui si danno anno, casa editrice o editore commerciale, e luogo
di pubblicazione; l'indicazione che il volume costituisce un numero di una
rivista è data come se si trattasse di un volume di una collana. Si noti che
l'anno di pubblicazione può essere diverso dall'anno che figura come anno della
rivista.
(citazione in bibliografia di un articolo contenuto in un numero
monografico di una rivista)
Piemontese, Angelo, Italian Scholarship on Iran (An
Outline, 1557-1987), "Iranian Studies", 20/2-4 (1987), pp.
99-130.
® In questo tipo di citazione il titolo particolare del volume
monografico è ignorato, e l'articolo è citato come si fa normalmente con gli
articoli di riviste. Si noti che il nome dell'autore, dato in maniera
incompleta nella pubblicazione, viene lasciato così (sarebbe da integrare in Piemontese, Angelo <Michele>, ma
questa integrazione rappresenterebbe un'eccessiva pignoleria).
oppure:
Piemontese, Angelo, Italian Scholarship on Iran (An
Outline, 1557-1987), "Iranian Studies", 20/2-4, 1987 (=Iranian Studies in Europe and Japan),
pp. 99-130.
oppure:
Piemontese, Angelo, Italian Scholarship on Iran (An
Outline, 1557-1987), in Rudi Matthee
- Nikki Keddie (edd.), Iranian Studies in Europe, numero
monografico della rivista "Iranian Studies", 20/2-4 (1987), pp.
99-130.
® In quest'ultimo tipo di citazione, invece, l'articolo è presentato
principalmente come parte di un volume
indipendente di contenuto monografico.
VOLUMI APPARTENENTI A
PUBBLICAZIONI SERIALI con piano
prestabilito (vedi sopra, par. I.5.)
Nella citazione dei singoli volumi appartenenti alla serie, il titolo
generale della serie figura come l'elemento più importante, e utile
all'identificazione del "documento". Titolo ed eventuali autori di
volumi appartenenti alla serie vanno dati dopo il titolo generale.
(citazione del volume in bibliografia)
Handbuch
der Orientalistik, Erste
Abteilung, Band IV: Iranistik, 1.
Abschnitt: Linguistik, Leiden - Köln,
1958.
® Questa citazione si riferisce ad un volume appartenente alla serie (o
collezione, o collana in senso stretto; vedi sopra, par. I.5.) intitolata Handbuch der Orientalistik. Il volume in
questione rappresenta il primo tomo (Abschnitt),
intitolato Linguistik, di quello che
— nel piano generale dell'opera — costituisce il quarto volume, intitolato Iranistik, della prima sezione. Nella
citazione bibliografica, si va dal "generale" al
"particolare".
(citazione di un contributo particolare nel volume in questione)
Henning, Walter Bruno, Mitteliranisch, in Handbuch
der Orientalistik, I/4: Iranistik,
1: Linguistik, Leiden – Köln, pp.
20-130.
RECENSIONI
(citazione nella bibliografia finale)
Cereti, Carlo G., rec. a Charles Melville (ed.), Proceedings of the Third European Conference of Iranian Studies,
held in Cambridge, 11th to 15th September, Part 2: Mediaeval and Modern Persian Studies,
Wiesbaden, Reichert, 1999, "Rivista degli Studi orientali", 75
(2001), pp. 284-291.
VOCI DI ENCICLOPEDIA
(citazione nella bibliografia finale)
TISSERANT, Eugène, s.v. Nestorienne (L’Église), in Dictionnaire de théologie catholique,
vol. XI, Paris 1931, coll. 157-323.
® L'abreviazione s.v., sub voce,
può anche essere omessa, e la voce essere citata come un qualsiasi contributo
contenuto in una raccolta miscellanea, o in un'opera collettiva in più volumi.
ARTICOLI DI QUOTIDIANI
Cfr. Nello Ajello,
Prezzolini. Ultime provocazioni,
"La Repubblica", 29 gennaio 1999, p. 41.
® L'articolo di giornale è un articolo di un periodico, e come tale va
citato; con la differenza che nel caso di un quotidiano non si dà il numero del
volume e l'anno, ma la data (giorno, mese e anno) di pubblicazione.
LIBRI ANTICHI
Possono essere citati riproducendo in maniera più o meno fedele il
frontespizio. Nella citazione più ampia e più fedele, si dà una trascrizione
diplomatica del frontespizio, cioè tale da riprodurre tutte le particolarità
ortografiche (uso delle maiuscole; abbreviazioni; particolarità ortografiche e
ortografia storica, per es. u al
posto di v, e viceversa); inoltre, si
segnala con barre oblique la fine di ogni linea di scrittura, in modo che chi
legge abbia davanti a sé quasi la fotografia del frontespizio del libro. Questo
tipo di trascrizione del frontespizio è utile particolarmente nelle ricerche di
bibliografia analitica, per permettere l'identificazione precisa dell'edizione
del libro; ed è particolarmente usata per i libri a stampa più antichi, o
incunaboli. Le abbreviazioni possono essere sciolte tra parentesi tonde.
De ratione / communi omnium lin/guarum & literarũ
com/mentarius Theodori / Bibliandri./ Tiguri, C. Frosch., 1548.
Mithridates. De Diffe/rentiis lingua/rum tvm vetervm / tum
quae hodie apud diuersas natio/nes in toto orbe terraru(m) in usu sunt, /
Conradi Gesneri / Tigurini Obseruationes. / Anno / M.D.LV./ Tigvri excudebat /
Froschovervs.
Altrimenti, i libri antichi si citano come se fossero libri moderni,
eventualmente decidendo se lasciare il nome dell'autore e il luogo di
pubblicazione nella forma latina data dal frontespizio, o nella forma
originale:
Bibliander (Buchmann), Theodor, De ratione communi omnium linguarum et literarum commentarius,
Tiguri (Zurigo), C. Frosch, 1548.
Gesner, Conrad, De differentiis linguarum tum veterum tum quae hodie apud diversas
nationes in toto orbe terrarum in usu sunt […] observationes, Tiguri
(Zurigo), C. Frosch, 1555.
MANOSCRITTI
I manoscritti si citano indicando la città e il nome della biblioteca
in cui sono conservati, e la segnatura (in corsivo).
Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Fondi Minori 69 (S. Maria
della Scala 42).
(Parigi), Bibliothèque Nationale de France, ms. Supplément persan 519.
(Città del Vaticano), Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Borg. pers. 15.
Firenze, Biblioteca Medicea-Laurenziana, ms. Orientale 117.
Quadro
riassuntivo dei modi per introdurre un riferimento bibliografico in nota
1. Se
l'opera è citata una sola volta nel corso della tesi, il riferimento
bibliografico in nota è dato per esteso (attenzione: il nome precede il
cognome; deve essere data l'indicazione precisa della pagina o delle pagine cui
si fa riferimento, o da cui si cita). L'opera si riporta anche nella
bibliografia. Per i modi di citazione bibliografica, vedi sopra, par. II.6. e
Appendice I.
2. Se
l'opera è citata più volte, la citazione bibliografica si può dare per esteso la
prima volta, e in forma ridotta le volte successive. L'opera viene riportata
anche nella bibliografia. Es.:
1 Cfr. Finn Thiesen,
A Manual of Classical Persian Prosody,
with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto
Harrassowitz, 1982, p. 36.
4 Cfr. Thiesen,
A Manual of Classical Persian Prosody
cit., p. 36.
oppure:
4 Cfr. Thiesen,
A Manual of Classical Persian Prosody
cit. a nota 1, p. 36.
BIBLIOGRAFIA
Thiesen, Finn, A
Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and
Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.
3. Si
sceglie fin dall'inizio un'abbreviazione o una sigla per riferirsi alle opere
cui occorre fare riferimento ripetutamente nel corso della tesi. In questo
caso, la sigla o l'abbreviazione, con il riferimento bibliografico in forma
estesa, va dato in un'apposita LISTA
DELLE SIGLE E ABBREVIAZIONI, posta prima della bibliografia
finale, oppure nelle pagine iniziali della tesi, dopo l'indice generale (vedi
sopra, par. II.2.):
1 Cfr. Prosody,
p. 36.
2 Cfr. C.E. Bosworth,
The Early Ghaznavids, in CHI, vol. IV, p. 178.
3 Cfr. P. Horn,
Neupersische Schriftsprache, in GIPh, I,2, p. 28.
LISTA DELLE SIGLE E ABBREVIAZIONI
CHI
= The Cambridge History of Iran, Cambridge, Cambridge University
Press, 1968-1991, 7 voll. (vol. III in due tomi).
GIPh = Grundriss
der iranischen Philologie, herausgegeben von W. Geiger und E. Kuhn,
Strassburg, Karl J. Trübner, 1895-1904, 2 voll. (vol. I in 2 tomi + una appendice; vol. II in 2 tomi) [ristampa
anastatica: Berlin - New York, Walter de Gruyter, 1974].
Prosody = Finn Thiesen,
A Manual of Classical Persian Prosody,
with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto
Harrassowitz, 1982.
Tutti i
riferimenti bibliografici che non compaiono nella lista delle abbreviazioni
devono essere riportati in forma estesa in bibliografia:
BIBLIOGRAFIA
Bosworth, C.E., The
Early Ghaznavids, in CHI, Vol.
IV: The Period fron the Arab Invasion to
the Saljuqs, ed. by R.N. Frye,
Cambridge, Cambridge University Press, 1975, pp. 162-197.
Horn, Paul, Neupersische
Schriftsprache, in GIPh, I. Band,
2. Abteilung, Strassburg, Karl J. Trübner, 1898-1901, pp. 1-199.
4. Si
usa il "sistema autore-data" (vedi par. II.5.4.).
[1] Tradizionalmente si
usavano i termini, ormai desueti, "in-folio",
"in-quarto", "in-octavo", ecc., per designare
rispettivamente il formato grande, medio, piccolo.
[2] Le discipline che
studiano l'aspetto materiale del libro, manoscritto e a stampa, sono
rispettivamente la codicologia (o meglio: archeologia del manoscritto) e la
bibliologia, accanto a quella branca della bibliografia denominata
"bibliografia analitica". E' evidente tuttavia che nozioni di
carattere codicologico o bibliologico sono utili per chiunque conduca ricerca
su testi.
[3] Il catalogo collettivo in linea o indice SBN è consultabile all'indirizzo http://opac.sbn.it, o da un apposito link dal sito della nostra facoltà.
[4] The National Union Catalog. Pre-1956 Imprints, London-Chicago, Mansell-The American Library Association, 1968-1981,
voll. 1-754 (i voll. 686-754 sono di supplementi).
[5] Il termine
"monografia" ha almeno due accezioni diverse: in senso stretto indica
quelle opere che vertono su un solo argomento, siano esse in uno, o in più
volumi, composte da uno, o da più autori. In senso lato, invece,
"monografia" è usato per indicare tutte quelle pubblicazioni,
comprese quelle seriali, che non abbiano carattere periodico, cioè che non
escano con una cadenza fissa. In questo senso nelle biblioteche italiane si
parla spesso di "catalogo delle monografie", in opposizione a
"catalogo dei periodici".
[6] Istituto Centrale per
il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni
Bibliografiche, Regole italiane di
catalogazione per autori, Roma, ICCU, 1995 [ristampa anastatica dell'ed.
1979]. L'Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e
per le Informazioni Bibliografiche (sigla: ICCU), che è l'ente autore delle Regole in questione, ha sede all'ultimo
piano dell'edificio della Biblioteca Nazionale di Roma. A questo istituto ci si
può rivolgere per avere un aiuto a localizzare opere che non si riescono a
trovare nelle biblioteche romane, soprattutto se la ricerca sull'indice SBN
(vedi sopra) non ha dato alcun esito.
[7] Regole italiane di catalogazione per autori, pp. 72-73.
[8] Regole italiane di catalogazione per autori, p. 82.
[9] Sulla questione degli
usi nazionali cfr. International Federation of Library Associations and
Institutions, Names of Persons: National
Usages for Entry in Catalogues, 4th revised edition, München, K.
G. Saur, 1996 (UBCIM Publications - New Series 16).
[10] Regole italiane di catalogazione per autori, pp. 86-87. A proposito del prefisso Mac, nella ricerca alfabetica
bisognerebbe considerare che esso sia formulato secondo tale grafia anche nei
casi in cui compare nella forma Mc.
[11] Su queste due diverse
operazioni, vedi la sezione apposita in preparazione.
[12] Le RICA
impropriamente parlano anche in questo caso di "traslitterazione".
[13] In alcuni cataloghi,
le due lettere "i" e "j" possono trovarsi fuse insieme.
[14] Nelle parole
spagnole, "ch", "ll" e "ñ" sono invece ordinati
rispettivamente dopo "c", "l" e "n".
[15] L'apostrofo non si
considera, e la parola è considerata come se fosse scritta tutta attaccata,
solo quando esso indica la caduta di una o più lettere all'interno di una
parola; per es. "don't"
vale come se fosse scritto "dont".
[16] Nell'esempio in questione si ipotizza un cognome "Sant'Agostino". Il famoso Padre della Chiesa