Indice

I. LA RICERCA

I.1.  L'inizio della ricerca

I.2.  Libro, testo, opera, edizione

I.3.  Le bibliografie

I.4.  I cataloghi

I.5.  Cataloghi alfabetici per autore e per soggetto

I.6.  Le biblioteche

I.7.  Problemi di ricerca nel catalogo per autori

I.7.1. Qual è il nome dell'autore?

I.7.1.1. Chi è l'autore?

I.7.1.2. L'intestazione della scheda

I.7.1.3. I nomi con prefisso

I.7.1.4. Autori antichi o "orientali"

I.7.2. La trascrizione/traslitterazione in caratteri latini

I.7.3. L'ordine alfabetico

I.8.  I cataloghi dei periodici. Altri tipi di catalogo

I.9.  Gli OPAC (Online Public Access Catalog)

I.10. Lo studio

 

II. LA REDAZIONE DI UN TESTO DI CARATTERE SCIENTIFICO

II.1. Quindici consigli per aiutare chi scrive e salvare chi legge (F. D'Intino)

II.2. Come strutturare il testo

II.3. La redazione del testo

II.3.1.   Come si digita il testo

II.3.2.   Breviario di punteggiatura (F. D'Intino)

II.3.3.   Accento e apostrofo (F. D'Intino)

II.3.4.   Consonante eufonica (F. D'Intino)

II.3.5.   L'uso del corsivo

II.3.6.   Le virgolette e le parentesi

II.3.7.   Le citazioni

 

II.4. Abbreviazioni e termini usati nella redazione di testi scientifici

II.5. Le note e la bibliografia

II.5.1.   Le note

II.5.2.   La bibliografia

II.5.3.   I riferimenti bibliografici in nota

II.5.4.   Il "sistema autore-data"

II.6. La "grammatica bibliografica" (B. Lo Turco)

II.6.1.   Norme generali

II.6.2.   La sintassi bibliografica

 

APPENDICI

            Appendice I:

Quadro riassuntivo dei modi di citazione bibliografica

Appendice II

Quadro riassuntivo dei modi per introdurre un riferimento bibliografico in nota o nel testo

 

 

 


I. LA RICERCA

 

 

I.1.   L'inizio della ricerca

Stabilito con il docente l'argomento della tesi(na), lo studente si trova di fronte al problema di reperire bibliografia su quel determinato argomento. Il problema successivo sarà quello di localizzare e procurarsi i testi (libri, saggi, articoli) di cui ha bisogno. Per queste due esigenze sono di aiuto due strumenti fondamentali della ricerca: le bibliografie (o repertori bibliografici) e i cataloghi.

Dal punto di vista teorico una distinzione netta tra bibliografie e cataloghi non ha ragione di esistere: in entrambi i casi, infatti, si ha a che fare con un elenco e con una descrizione ― disposta secondo un ordine e sulla base di criteri determinati ― di libri o di opere. Semplificando un po', però, si può affermare che una bibliografia serve, per chi la consulta, a sapere quali opere esistono su un determinato argomento; mentre un catalogo serve a localizzare e a reperire tali opere in una particolare biblioteca.

Ogni settore disciplinare possiede degli strumenti bibliografici che lo studioso di quel settore deve conoscere e saper utilizzare. Il docente dunque, al momento dell'assegnazione di una tesi(na), indicherà allo studente quali repertori bibliografici consultare per raccogliere la bibliografia necessaria.

Prima ancora di fare ricorso ai repertori bibliografici, lo studente può avvalersi di altri strumenti che rientrano ― come le bibliografie e i cataloghi ― nel novero della cosiddetta "letteratura secondaria", termine con il quale si designa quel genere di pubblicazioni che si basano su altre pubblicazioni, indicizzandole o rendendone più facilmente fruibili i contenuti, senza costituire opera di ricerca "di prima mano". Si tratta dei manuali e delle enciclopedie. Infatti, partendo da un buon manuale ― possibilmente di recente pubblicazione o aggiornato ― di storia, di storia della letteratura, ecc., si può ottenere un primo orientamento bibliografico (oltre che di contenuto) circa l'argomento che interessa. Lo stesso si può fare partendo da un'enciclopedia, individuando una voce che abbia attinenza con l'argomento in questione.

La distinzione tra "letteratura primaria", che presenterebbe i risultati di ricerche "di prima mano" (monografie; articoli su riviste, o in raccolte e volumi miscellanei) e "letteratura secondaria" si presta, come spesso le classificazioni scolastiche, a numerose critiche. Vi sono opere classificabili come "letteratura secondaria" che rivestono grande valore scientifico, e non di rado rappresentano anche, per certi aspetti, il frutto di un lavoro originale.

La raccolta della bibliografia, una volta iniziata, procede facilmente e quasi da sola. Quando si è trovato un libro o un articolo che concerne l'argomento che interessa, le opere che vi sono citate vengono ad aggiungersi alla bibliografia da consultare per la redazione della tesi(na). L'unica difficoltà concerne il reperimento della bibliografia più recente (libri e articoli appena pubblicati), che non è ancora segnalata nella letteratura secondaria, né citata nella letteratura primaria. Sarà dunque compito del docente quello di segnalare allo studente almeno la bibliografia più recente.

Naturalmente, man mano che si raccoglie la bibliografia è opportuno procurarsi i testi  e cominciare a leggere, per capire che cosa è veramente utile per la ricerca, e che cosa non lo è.

 

I.2.   Libro, testo, opera, edizione

Quando ci si occupa di questioni di carattere bibliografico, e quando si lavora su testi, è bene riflettere sui termini che si usano in riferimento all'oggetto di studio (libro, opera, ecc.), per evitare confusioni. Ogni libro, infatti, può essere considerato innanzi tutto come un oggetto fisico, prodotto secondo una certa tecnica, e caratterizzato da un certo numero di pagine, da un certo formato,[1] ecc. L'aspetto materiale del libro, che può essere manoscritto o a stampa, interessa soprattutto il codicologo e il bibliografo.[2] Ma un libro è anche ― e per lo studioso è soprattutto ― il veicolo di un testo e la materializzazione di un'opera. Perciò è bene non confondere il libro, in quanto oggetto materiale, con il testo, inteso come realtà linguistica rappresentata nel libro, e con l'opera, intesa come realtà concettuale. Una cosa è infatti parlare in astratto del canzoniere di un poeta, inteso come opera dell'universo letterario, altra cosa è parlare di un certo manoscritto o di una certa edizione di quest'opera, che ci presenta un testo, inteso come realtà linguistica concreta, che può variare anche notevolmente da manoscritto a manoscritto, e da edizione a edizione. Solo nel caso di opere pubblicate una volta sola, in un'unica edizione — come sono per lo più le opere di ricerca, la cosiddetta "letteratura scientifica" — opera e edizione possono identificarsi. (Nelle pagine che seguono si parla talvolta di opera, anziché di edizione, in questo senso.)

Anche la parola "libro", usata in riferimento a una realtà materiale, deve essere precisata. Nell'uso bibliotecario essa è per molti aspetti insoddisfacente. Il bibliotecario ha infatti a che fare con una vasta gamma di "oggetti" che non sono sempre definibili come libri, dalle pubblicazioni in uno, o in più volumi (quali i periodici o riviste, le enciclopedie, le pubblicazioni seriali), alle tesi di laurea inedite (che una biblioteca acquisisce e rende disponibili per il pubblico), ai cd-rom (contenenti testi letterari o di altro genere). Perciò si preferisce usare il termine "documento" per riferirsi a qualsiasi oggetto, quale ne sia la forma o il supporto, in cui siano registrate delle informazioni, e che dunque costituisca oggetto d'interesse bibliografico.

 

I.3.   Le bibliografie

Esistono tipi diversi di bibliografie, innanzi tutto in base al criterio che presiede alla scelta del materiale segnalato. Accanto alle bibliografie generali, in cui non sono pertinenti distinzioni di contenuto o disciplinari o di altro genere, e che aspirano a segnalare — ma si tratta di un'aspirazione soltanto teorica — tutto ciò che si pubblica in tutti i campi del sapere e in tutte le lingue (bibliografie universali), o che segnalano tutto ciò che si pubblica in un determinato paese e/o in una certa lingua (bibliografie nazionali), esistono bibliografie speciali o specializzate, nelle quali il materiale bibliografico è segnalato in base a un determinato criterio, che presiede alla selezione del materiale e alla sua inclusione nel repertorio.

Qualsiasi carattere del libro, interno (il contenuto dell'opera), o esterno (relativo cioè a un aspetto del libro in quanto oggetto materiale), può essere individuato come criterio che presiede alla selezione. Esistono bibliografie che segnalano solo le pubblicazioni attinenti a una singola disciplina, o a un determinato ambito, più o meno ristretto, del sapere; oppure bibliografie in cui il criterio che presiede alla scelta del materiale bibliografico e alla sua inclusione nel repertorio è rappresentato da un aspetto diverso dal contenuto dell'opera, come ad esempio l'editore, o l'anno di pubblicazione. Se dunque normalmente uno studioso consulta una bibliografia per sapere quali opere esistono relativamente ad un certo argomento, esistono anche bibliografie ― utili in determinati campi di ricerca ― che per esempio segnalano tutte le edizioni di una certa opera, oppure tutte le opere pubblicate in un certo arco di tempo, o tutte le opere pubblicate da un certo editore. Oppure, in base alla forma del documento, si possono avere bibliografie che segnalano solo articoli, che siano pubblicati su periodici, in volumi miscellanei, o in atti di convegni; per il dominio degli studi sul mondo islamico l'Index Islamicus ne è un esempio. Quest'ultimo tipo di bibliografie è particolarmente utile, dato che gli articoli ― una delle principali forme attraverso le quali la ricerca scientifica presenta i suoi risultati ― non sono catalogati separatamente nelle biblioteche, e possono facilmente sfuggire all'attenzione degli studiosi.

L'ordinamento del materiale in una bibliografia varia a seconda degli scopi della bibliografia stessa, e del criterio che presiede alla scelta del materiale segnalato. I repertori che hanno per scopo quello di segnalare le opere in base al loro contenuto sono generalmente organizzati in maniera sistematica, cioè secondo uno schema di classi e sottoclassi di argomenti, che normalmente si trova rappresentato in forma di indice generale nelle pagine iniziali della bibliografia stessa. All'interno di ogni partizione, poi, le descrizioni bibliografiche possono essere date secondo l'ordine alfabetico del nome dell'autore, oppure in ordine cronologico, secondo la data di pubblicazione. Vari indici alla fine del repertorio aiutano il ricercatore a trovare le informazioni di cui ha bisogno. La bibliografia delle edizioni di una certa opera sarà invece organizzata cronologicamente, per esempio dalle edizioni più antiche a quelle più recenti; e così via.

Si parla di bibliografia corrente se il materiale bibliografico vi è segnalato man mano che viene pubblicato; tali repertori si presentano per lo più con carattere di periodico, essendo pubblicati con una certa cadenza, a intervalli regolari (una volta l'anno, oppure due volte l'anno, e così via). Si parla invece di bibliografia retrospettiva quando il materiale bibliografico segnalato è relativo a un arco di tempo chiuso e determinato.

Se poi, nella scelta se includere o no un'opera o un articolo nel repertorio, entra anche in gioco un giudizio sul valore dell'opera stessa, si parla di bibliografia selettiva, in opposizione a bibliografia di registrazione. A seconda del livello di maggiore o minore approfondimento della descrizione bibliografica, si parla di bibliografie soltanto segnaletiche, descrittive, analitiche, e infine critiche o ragionate, se la descrizione è accompagnata da un resoconto e da una valutazione critica del contenuto dell'opera.

 A proposito delle distinzioni cui si è accennato, bisogna sempre tenere presente che si tratta di classificazioni teoriche e un po' scolastiche, dal momento che ogni repertorio bibliografico può appartenere contemporaneamente ― a seconda dei punti di vista ― a tipologie diverse; e che non c'è un completo accordo tra gli studiosi nell'uso terminologico e nelle definizioni. Dal punto di vista pratico, quello che conta è saper usare questi strumenti per estrarne tutte le informazioni necessarie. Se non altro a questo scopo, è bene avere le idee chiare circa il tipo di repertorio che si sta consultando.

 

I.4.   I cataloghi

I cataloghi, che segnalano il patrimonio librario posseduto da una, o da più biblioteche (in quest'ultimo caso si parla di catalogo collettivo; in inglese: union catalog), servono a localizzare l'opera desiderata, servono cioè a sapere se l'opera che si sta cercando è posseduta o no dalla biblioteca o dalle biblioteche in questione.

        I cataloghi possono essere relativi a materiale diverso: cataloghi di manoscritti; di stampati (cioè delle opere a stampa); di periodici o riviste; di microfilm; di carte geografiche; di spartiti musicali; ecc. I cataloghi, inoltre, possono presentarsi in forme e su supporti diversi: cataloghi a stampa (in forma di libro); cataloghi a schede o schedari; cataloghi su microfiches o su cd-rom; cataloghi consultabili in linea.

        I cataloghi consultabili in linea sono i più comodi per un utente, perché possono essere consultati da qualsiasi computer collegato in rete. Negli ultimi anni molte biblioteche hanno iniziato a catalogare le nuove accessioni, cioè il nuovo materiale bibliografico che entra in biblioteca, in modo che esso sia consultabile in linea (sui cataloghi in linea, o OPAC, vedi sotto). Va inoltre ricordato, per l'Italia, il Sistema Bibliotecario Nazionale (sigla: SBN), catalogo collettivo in linea che rende accessibile il posseduto delle biblioteche pubbliche (statali, di enti locali, universitarie), ed anche di alcune accademie e istituzioni pubbliche e private, che aderiscono al progetto.[3] Tuttavia questo nuovo tipo di catalogo (sia gli OPAC, sia l'indice SBN) copre una porzione ancora esigua del posseduto delle biblioteche; e la consultazione dello schedario di una biblioteca ― attuabile, purtroppo, soltanto in loco ― resta ancora un momento essenziale della ricerca.

        I cataloghi delle opere a stampa possedute da una biblioteca si presentano normalmente in forma di schedario, cioè sono costituiti da una serie di schede di cartoncino disposte secondo un certo ordine (in genere alfabetico) in base all'intestazione della scheda, entro cassetti metallici o, anticamente, di legno. Solo poche grandi biblioteche hanno pubblicato il catalogo dei loro stampati: la Biblioteca Nazionale di Parigi (ora: di Francia); la British Library di Londra. E' inoltre importante conoscere l'esistenza del National Union Catalog (sigla: NUC), catalogo collettivo della Library of Congress di Washington, e di altre biblioteche degli Stati Uniti e del Canada; nei suoi 754 volumi, pubblicati tra il 1968 e il 1981, consultabili per esempio nell'area destinata ai cataloghi nella Biblioteca Nazionale di Roma, sono riprodotte le schede relative alle opere possedute dalle biblioteche americane e canadesi pubblicate fino al 1956.[4]

Questi cataloghi di grandi raccolte librarie sono utili per diversi motivi: per verificare l'esattezza dei dati di carattere bibliografico di cui siamo in possesso: esiste davvero l'opera che sto inutilmente cercando nelle biblioteche della mia città? sono corretti i dati in mio possesso relativi al nome dell'autore, al titolo dell'opera, alla data e al luogo di edizione? Tali cataloghi, inoltre, essendo relativi a grandi raccolte librarie, possono essere usati come dei repertori di bibliografia generale: quali altre opere ha composto un certo autore? quali e quante edizioni di un'opera esistono? Nei casi disperati, infine, quando un testo importante per le nostre ricerche è irreperibile a Roma, si può tentare di procurarselo, in fotocopia, o tramite prestito internazionale, da Parigi o da Londra.

I cataloghi di manoscritti, a differenza dei cataloghi di stampati, sono per lo più a stampa, e dunque consultabili presso qualsiasi biblioteca possieda una copia del catalogo stesso. Soprattutto in Italia però, particolarmente per i manoscritti in lingue orientali, non è raro il caso di cataloghi di manoscritti che restano inediti, in forma manoscritta o dattiloscritta, e che dunque sono consultabili solo nella biblioteca che conserva la raccolta di manoscritti in questione.

Nelle biblioteche italiane normalmente i periodici, detti anche "riviste", possiedono un catalogo a parte, distinto da quello delle cosiddette "monografie" (sui cataloghi dei periodici, vedi oltre).[5]

Circa i microfilm, va ricordato il catalogo dei microfilm del "Centro nazionale per lo studio del manoscritto", ospitato in una sala della Biblioteca Nazionale di Roma. Presso questo centro sono raccolti i microfilm di tutti i manoscritti conservati nelle biblioteche statali italiane (molti sono in lingue orientali). Il relativo catalogo, in forma di schedario, si trova nella stessa sala del centro.

Tipologicamente, i cataloghi si differenziano a seconda dell'elemento che funge da chiave di accesso (nei cataloghi a schede si parla — come si è detto — di intestazione della scheda) per il reperimento del documento: il nome dell'autore e/o il titolo dell'opera; oppure il contenuto dell'opera stessa (nei cataloghi per soggetto); oppure la collocazione del libro in biblioteca (nei cataloghi topografici); e si differenziano inoltre a seconda del principio in base al quale tali elementi sono ordinati: alfabetico; sistematico o classificato; topografico (vedi sotto). Nei cataloghi informatizzati qualsiasi elemento della descrizione bibliografica (il nome dell'autore, il titolo dell'opera, il soggetto di essa, una serie di parole contenute nel titolo) può rappresentare una chiave di accesso alla notizia bibliografica cercata. Il loro uso è dunque molto più semplice di quello dei cataloghi tradizionali. Nei cataloghi a schede, o nei cataloghi a stampa, invece, solo uno degli elementi della descrizione bibliografica può costituire la chiave di accesso alla notizia cercata (sui "cataloghi a dizionario", che presentano in un'unica serie alfabetica dati eterogenei, vedi sotto). Tali elementi sono rappresentati principalmente dal nome dell'autore, e dal contenuto dell'opera.

 

I.5.   Cataloghi alfabetici per autore e per soggetto

I cataloghi, dunque, servono a reperire un libro in una biblioteca. Essi forniscono la risposta a due possibili domande formulate dall'utente: esiste in questa biblioteca la tale opera del tale autore? quali opere ci sono in biblioteca circa l'argomento che m'interessa? A queste due diverse domande danno risposta due diversi tipi di catalogo: quello alfabetico per autori, e quello alfabetico per soggetti.

Il catalogo alfabetico per autori è presente in tutte le biblioteche italiane. Chi lo consulta già conosce l'esistenza di una certa opera di un certo autore, e vuole sapere se quella determinata biblioteca la possiede. Il catalogo è ordinato alfabeticamente in base al cognome dell'autore. Nel caso di autori con lo stesso cognome, entra in gioco l'ordine alfabetico del nome, che nell'intestazione della scheda segue il cognome, separato da una virgola ("Rossi, Mario" verrà dopo "Rossi, Donatella"). Nel caso in cui la biblioteca possieda più opere di uno stesso autore, per il quale ovviamente cognome e nome sono identici, si avranno più schede, ordinate in base all'ordine alfabetico del titolo (si ricordi che gli articoli, determinativi o indeterminativi ― quando si trovano all'inizio di un'intestazione ― vanno ignorati; quindi l'ordine alfabetico sarà quello della prima parola dopo l'articolo). Nel caso poi che la biblioteca possieda più edizioni di una stessa opera, queste verranno elencate in ordine cronologico.

Quando un'opera è anonima, o è dovuta a più di tre autori, essa va cercata sotto il titolo. Perciò questo tipo di catalogo va più propriamente definito catalogo alfabetico per autori e titoli.

Vanno cercate sotto il titolo (o anche — in quasi tutti i casi di seguito descritti —  sotto il nome del curatore o editore scientifico dell'opera, inglese: editor):

a)     le monografie (cioè le opere che vertono su un unico argomento) di cui non sia noto l'autore, e quelle monografie cui abbiano contribuito più di tre autori, siano esse in uno, o in più volumi (come per esempio The Cambridge History of Iran);

b)     le raccolte miscellanee, cioè quelle pubblicazioni che raccolgono articoli, composti da diversi autori, concernenti argomenti diversi o collegati da una tematica più o meno comune (le raccolte di diversi articoli di uno stesso autore, invece, si cercano sotto il nome dell'autore). Tra le raccolte miscellanee vanno in particolare ricordati:

·       gli atti di convegni, che possono essere cercati — oltre che sotto il titolo del volume, e sotto il nome del curatore — anche sotto il nome dell'eventuale ente che ha patrocinato il convegno, che può figurare come "ente autore" (vedi sotto);

·       i Festschriften, cioè gli scritti raccolti per una qualche occasione, come gli scritti in onore di qualche studioso in occasione del suo compleanno, o per il conferimento di un titolo accademico; o gli scritti in memoria di uno studioso scomparso.

E' importante ricordare che, quando si cerca un articolo contenuto in un volume miscellaneo, non bisogna cercare nello schedario sotto il nome dell'autore dell'articolo, ma bisogna cercare sotto il titolo del volume "contenitore". Gli articoli, infatti, non sono catalogati separatamente nelle biblioteche (questo vale anche per gli articoli di periodici, o riviste; vedi sotto);

c)     quelle opere di carattere seriale (cioè la cui pubblicazione è scaglionata nel tempo) costituite da un certo numero di opere indipendenti, pubblicate però secondo un piano prestabilito e sotto un titolo comune. Un esempio di questo tipo di pubblicazioni è lo Handbuch der Orientalistik, che nel catalogo della nostra biblioteca del Dipartimento di Studi Orientali è schedato appunto sotto il titolo generale Handbuch der Orientalistik, senza che i singoli volumi siano catalogati indipendentemente sotto il nome di ciascun autore; altre biblioteche, però, potrebbero regolarsi diversamente. Questo tipo di pubblicazioni, infatti, definibile come collana o collezione in senso stretto, è spesso confuso con quelle che comunemente sono dette "collane", cioè le serie editoriali o opere progressive, che — a differenza del primo tipo di pubblicazioni seriali — non hanno un piano prestabilito. Un esempio di questo secondo tipo di opere seriali è rappresentato dalla collana "Studi e testi" edita dalla Biblioteca Vaticana; o dalla collana "I Coralli" di Einaudi. I volumi che compongono questo secondo tipo di "collana" sono naturalmente catalogati separatamente, sotto il nome degli autori dei singoli volumi, considerati come opere del tutto indipendenti;

d)     le enciclopedie.

 

L'altro tipo di catalogo, talvolta presente nelle biblioteche italiane, è quello alfabetico per soggetto. La sua consultazione non è del tutto agevole, e chi lo consulta è costretto a compiere diversi tentativi, prima di concludere che la biblioteca non possieda  nulla che interessi le sue ricerche. Se per esempio si sta conducendo una ricerca su un certo viaggiatore che visitò la Cina, si può provare a formulare il soggetto che interessa in questo modo: "Cina - Viaggi", oppure "Cina - Descrizioni di viaggio", esprimendo in lingua italiana (in Francia si userà il francese, e così via), l'argomento che interessa, dal generale al particolare, e poi cercando quella formulazione in ordine alfabetico nel catalogo. Ma, se non si trova nulla, si può provare a fare il contrario, e cercare "Viaggiatori - Cina", e andare avanti per tentativi. Prima di arrendersi, e di considerare negativo l'esito della ricerca, si può naturalmente chiedere l'aiuto di un bibliotecario, che ha maggiore esperienza e competenza nel formulare correttamente il soggetto.

Ogni volta che si inizia una ricerca su un catalogo — sia esso per autori, per soggetti, o altro — bisogna fare attenzione alle eventuali avvertenze relative alla copertura del catalogo stesso: se esso copra tutto il posseduto della biblioteca (comprese le nuove accessioni), oppure registri solo le opere entrate in biblioteca in un determinato arco di tempo (a partire da un certo anno, o fino a un certo anno). Non è raro infatti il caso che le biblioteche  possiedano più cataloghi, per le opere e le edizioni entrate in biblioteca in periodi diversi. Per esempio, la biblioteca del Dipartimento di Studi Orientali ha due schedari: uno, quello più antico, per le opere acquisite dalla biblioteca fino al 1950; l'altro, per le opere acquisite a partire da quella data. Quindi, se l'opera cercata è stata pubblicata dopo il 1950, si consulterà direttamente il nuovo catalogo, perché l'opera non può essere stata acquisita dalla biblioteca anteriormente alla data della sua pubblicazione. Se poi nel nuovo catalogo l'opera non si trova, per scrupolo — soprattutto se essa è stata pubblicata negli anni immediatamente successivi al 1950 — si può anche consultare il vecchio catalogo: mi è capitato di trovare un'opera pubblicata nel 1957 schedata solo nel vecchio catalogo. Se viceversa si tratta di un'opera pubblicata prima del 1950, essa va cercata in entrambi i cataloghi, dato che la biblioteca può averla acquisita anche diversi anni dopo la sua pubblicazione, o può averne acquisito una ristampa o una nuova edizione.

Quale che sia il tipo di catalogo consultato, se la ricerca ha dato esito positivo con il reperimento di una scheda che indichi la presenza in biblioteca dell'opera cercata, in alto a destra nella scheda del catalogo si troverà scritta una sequenza di numeri, o di lettere, o di numeri e di lettere insieme, che rappresenta la collocazione del libro (per esempio, nella nostra biblioteca, Pers.C.25; Ar.A.14, ecc.). La collocazione è la formula che permette il reperimento del libro in biblioteca, è come il suo indirizzo. Conoscendo la collocazione, si può inoltrare la richiesta del libro compilando un apposito modulo; oppure ― se si tratta di un libro che si trova nelle sale di  consultazione (vedi sotto) ― esso può essere preso direttamente e portato al proprio tavolo. Quando si prende un libro che si trova in consultazione, è buona norma lasciare al posto del libro un cartoncino appositamente predisposto, in modo che un altro eventuale lettore che cerchi lo stesso libro sia avvisato che esso è in lettura.

Alla fine della consultazione, se il libro è stato preso da uno scaffale delle sale di consultazione, esso deve essere lasciato sul tavolo (sarà ricollocato al posto dal personale di biblioteca). Se invece il libro è stato richiesto al bancone, esso va restituito. Se il lettore non ha terminato la consultazione, e intende tornare in biblioteca nei giorni successivi, può chiedere che il libro sia lasciato in lettura (o in deposito, come anche si dice), in modo da non dover ripetere la richiesta, e da non dover attendere il tempo necessario (in genere una mezz'ora) perché il libro gli sia nuovamente consegnato.

 

I.6.   Le biblioteche

Nelle biblioteche italiane tradizionalmente il patrimonio librario è collocato in depositi o magazzini librari, inaccessibili al pubblico, in cui i libri si dispongono in base all'ordine di arrivo in biblioteca, e in base al formato (le pubblicazioni seriali, come ad esempio i periodici, hanno naturalmente delle collocazioni speciali, che salvaguardano il carattere unitario della pubblicazione stessa). Solo una parte dei libri è direttamente accessibile al pubblico nelle sale di consultazione, dove si trovano innanzi tutto gli strumenti indispensabili per la ricerca: enciclopedie, dizionari, bibliografie, cataloghi di altre biblioteche. Ugualmente in consultazione si troveranno le opere che risultano di particolare interesse per i lettori di quella determinata biblioteca, disposte per lo più secondo un certo ordine di classificazione, cioè per classi di argomenti. Per esempio, in una biblioteca collegata a un dipartimento o a un istituto universitario di italianistica, si troveranno in consultazione le grandi opere della letteratura italiana, e una serie di strumenti (manuali, trattati, saggi) relativi a discipline connesse con quell'ambito di studi: teoria della letteratura, linguistica, critica letteraria, filologia testuale. Uno studioso, anche senza consultare il catalogo, può percorrere gli scaffali finché non trova il libro che cerca, oppure finché non trova un libro ― di cui magari ignorava l'esistenza ― che risulti utile per la sua ricerca. Aggirarsi tra gli scaffali di una biblioteca specializzata equivale alla consultazione di una bibliografia specializzata in una determinata disciplina: con il vantaggio che lo studioso può immediatamente prendere e scorrere il libro per vedere se davvero è interessante per la sua ricerca.

Nelle biblioteche di tradizione anglosassone (particolarmente nelle biblioteche di pubblica lettura e in quelle universitarie), a differenza di quanto avviene nelle biblioteche italiane, tutti i libri sono generalmente accessibili al pubblico, disposti secondo uno schema di classificazione; si tratta delle cosiddette "biblioteche a scaffale aperto".

Naturalmente, le differenze nella disposizione dei libri, e nella maggiore o minore accessibilità del materiale librario al pubblico, dipendono in gran parte dal tipo di biblioteca, e dai suoi scopi. Una biblioteca che possieda ingenti raccolte librarie, oppure che possieda fondi storici (per esempio, raccolte di libri appartenuti a qualche importante personaggio), fondi che non si accrescono più, e che spesso hanno grande valore antiquario, sarà soprattutto una biblioteca di conservazione, interessata in primo luogo alla tutela del patrimonio librario, con i libri custoditi in depositi o magazzini inaccessibili al pubblico. Questo tipo di biblioteche sono numerosissime in Italia. Viceversa, una biblioteca universitaria o di ricerca, che ha scopi eminentemente pratici, dovrebbe mettere il suo patrimonio librario a portata di mano senza barriere di sorta; in questo tipo di biblioteca la disposizione dei libri secondo uno schema di classificazione (cioè secondo l'argomento, il contenuto dei libri) è l'ideale.

Ogni biblioteca che scelga di disporre il materiale librario secondo uno schema di contenuto, può ― a seconda delle sue necessità ― disporre i libri secondo l'ordine che ritiene più opportuno. Esistono poi degli schemi di classificazione universali, elaborati in sede di classificazione delle scienze (moderno tentativo di ricomporre un'unità del sapere, dissoltasi in epoca moderna), che possono essere adottati da grandi biblioteche. Uno di questi è la Classificazione Decimale Universale (sigla: CDU). Secondo questa classificazione, i libri sono collocati negli scaffali e portano delle collocazioni in base al seguente schema: 0. Generalità (opere di bibliografia, cataloghi, ecc.); 1. Filosofia; 2. Religione. Teologia; 3. Scienze sociali; 4. vacante (per accogliere nuovi sviluppi delle scienze); 5. Matematica. Scienze naturali; 6. Scienze applicate (medicina, ingegneria, ecc.); 7. Arti. Architettura. Fotografia. Musica. Sport; 8. Linguistica. Filologia. Letteratura; 9. Geografia. Biografia. Storia. All'interno di queste classi, le varie materie sono contraddistinte da numeri che si aggiungono a quello designante la classe, che permettono di individuare con esattezza l'argomento di un'opera. Per esempio: 016 indica opere di bibliografia speciale.

 

I.7.   Problemi di ricerca nel catalogo per autori

La ricerca di un'opera sul catalogo per autori non è un'operazione del tutto semplice, ed è ancora più complessa per chi si occupi di testi in lingue orientali. In questo campo, la massima dell'amico e collega Mauro Maggi, secondo il quale "Le biblioteche vanno usate con fantasia", acquista un particolare valore di verità. I problemi nascono da diversi ordini di fattori:

1.    l'accertamento della forma del nome che compare come intestazione della scheda, e l'identificazione dell'elemento del nome che deve comparire come primo elemento (inglese: entry, o  entry element) nell'intestazione;

2.    i problemi della trascrizione/traslitterazione in caratteri latini da testi in lingue orientali;

3.    l'ordinamento alfabetico.

 

I.7.1. Qual è il nome dell'autore?

Le Regole italiane di catalogazione per autori (sigla: RICA)[6] enunciano una serie di regole cui i bibliotecari italiani dovrebbero attenersi nella catalogazione del materiale bibliografico, e che un utente dovrebbe conoscere per muoversi più sicuramente in una biblioteca.

 

I.7.1.1. Chi è l'autore?

Per autore s'intende chi ha la responsabilità di un testo. Non dovrebbero essere considerati autori (e quindi figurare come intestazione della scheda) traduttori, curatori, prefatori, ecc. Al nome di questi si possono intestare schede secondarie, che rimandano a una scheda principale. Tuttavia, possono esserci casi limite: per esempio chi cura un'antologia, scegliendo i testi e magari traducendoli, è a tutti gli effetti considerato come l'autore di quell'antologia. E spesso il curatore, o editore scientifico di un'opera (per es. una raccolta miscellanea, un'opera di carattere monografico composta da più autori, ecc.; vedi anche sopra, par. I.5.), viene considerato alla stregua di un autore.

Nel caso di alcune pubblicazioni non vi è un autore personale, ma è considerato autore un ente, un'istituzione, che figura come intestazione della scheda (in questo caso si parla di "ente autore", o di "autore editore"). Un esempio è rappresentato dalle Regole italiane di catalogazione per autori appena citate, che possono trovarsi schedate sotto il nome dell'ente autore, o sotto il titolo dell'opera, se il catalogatore l'ha equiparata a un'opera anonima.

Infine, si è già detto che, se gli autori di una pubblicazione sono più di tre, la scheda va intestata sotto il titolo. Se gli autori sono due o tre, si troverà  una scheda principale sotto il nome dell'autore menzionato per primo nel frontespizio, e schede secondarie sotto il nome degli altri autori.

 

 

I.7.1.2. L'intestazione della scheda

L'intestazione sotto il nome di un autore può rivelarsi un'operazione controversa, per esempio nei casi in cui vi sia una discrepanza tra il nome reale e il nome fittizio (pseudonimo, nome d'arte, ecc.) di un autore. Le Regole dicono che: "Un autore si scheda sotto il nome con cui è prevalentemente identificato nelle edizioni delle sue opere nel testo originale". E poi aggiungono: "Il nome costantemente usato nelle pubblicazioni è da preferire anche se non si tratti del nome reale o nella forma originale". Perciò si dovrà cercare "Trilussa" e non "Salustri, Carlo Alberto"; "Moravia, Alberto" e non "Pincherle, Alberto"; "Chagall, Marc" e non "Šagal, Mark".[7]

Nella scelta della parola d'ordine — cioè dell'elemento che costituisce l'accesso formale alla notizia bibliografica — per gli autori moderni vanno seguiti gli usi nazionali.[8] Questo significa che per l'Italia e per i paesi europei la parola d'ordine sarà il cognome.

Ci sono dei casi, tuttavia, in cui non è del tutto agevole sapere quale sia il cognome. Se per esempio si cerca un'opera del famoso orientalista francese dell'Ottocento Silvestre de Sacy (così citato nella maggior parte degli studi), bisogna sapere che questo era per intero il suo cognome (il nome era Abraham Isac); e quindi nel catalogo bisogna cercare sotto "Silvestre …", non sotto "Sacy" o "de Sacy".

La ricerca in un catalogo presuppone dunque qualche nozione di carattere storico, storico-letterario, biografico. Questo naturalmente vale sia per chi consulta il catalogo, sia — a maggior ragione — per chi cataloga. Errori di catalogazione sono sempre possibili, anzi sono piuttosto frequenti. Per questo motivo chi cerca in un catalogo deve fare tutti i possibili tentativi prima di concludere che l'opera di un certo autore non è posseduta dalla biblioteca. Se sotto "Silvestre" non si è trovato niente, prima di abbandonare il campo si può vedere anche sotto "Sacy" o sotto "de Sacy".

I titoli (Sir, Marchese, Seyyed, San …) vanno ignorati, e non fanno parte della forma del nome da ordinare alfabeticamente. Nella scheda possono trovarsi tra parentesi alla fine del nome.

Quando un ente è considerato come autore di una pubblicazione, l'intestazione della scheda sarà costituita dalla sigla o dall'acronimo dell'ente, nel caso in cui si tratti di una sigla o di un acronimo di uso comune. Dunque se l'UNESCO è l'ente autore di una pubblicazione, cercherò sotto la forma ben nota "UNESCO", e non sotto "United Nations Educational, Scientific, and Cultural Organization". Cercherò invece le Regole italiane di catalogazione per autori (RICA) non sotto la sigla dell'istituto che ne è autore: ICCU, nota a pochi, ma sotto "Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche"; oppure direttamente sotto il titolo.

 

I.7.1.3. I nomi con prefisso

C'è poi il problema dei cosiddetti "nomi con prefisso". Nei nomi italiani, i "prefissi" (articoli e preposizioni) vengono considerati come parte integrante del cognome; i prefissi perciò rappresentano la parola d'ordine, il primo elemento che figura nell'intestazione della scheda, e quello da prendere in considerazione nell'ordinamento alfabetico (in inglese: entry element). Quindi Giovan Battista De Rossi si cerca sotto la lettera "d" (sotto "De Rossi"), e sempre sotto la "d" si cerca Franco D'Intino; mentre Bruno Lo Turco si cerca sotto la "l". Per i nomi di personaggi anteriori al secolo XIX, formati con i prefissi degli, de', dei, de li, ecc., invece, si adotta di solito come parola d'ordine quella che segue il prefisso. Quindi Lorenzino de' Medici si cerca sotto la "m", e l'intestazione della scheda sarà: "Medici, Lorenzino de'".

Nei nomi francesi solo de o d' vengono posposti; gli altri "prefissi" (l'articolo: Le, L', La, Les, o una forma contratta della preposizione seguita dall'articolo: Du, Des) sono considerati come entry element, cioè costituiscono la parola d'ordine per la ricerca nel catalogo. Quindi nello schedario si dovrà cercare "Aubigné, Agrippa d'", "Musset, Alfred de"; ma "Des Cloizeaux, Jacques", "Du Bellay, Joachim", "La Fontaine, Jean de", "Le Cordier, Roland", "L'Herbier, Marcel".

Nei nomi tedeschi, van, von, von der, sono posposti. Quindi si cercherà "Beethoven, Ludwig van". Friedrich von der Hagen dovrà essere cercato nella forma "Hagen, Friedrich von de". Diverso è il trattamento dell'articolo nei cognomi di origine romanza: Gertrud von le Fort si cercherà sotto la forma "Lefort, Gertrud von".

Anche nei cognomi olandesi i prefissi (articolo, preposizione, o una combinazione di entrambi: de, de ter, de van der, der, den, uit, van, van de, van het, vanden, ecc.) vanno posposti e scritti con l'iniziale minuscola: George van den Bergh si cerca sotto "Bergh, George van den". Fanno eccezione Ver, e tutti i "prefissi" di origine straniera che possono trovarsi nei cognomi olandesi (Des, Du, La, Le, Les, Mac, Saint, ecc.), che vanno considerati come entry element, cioè occupano la prima posizione nell'intestazione della scheda.

Gli articoli arabi ed ebraici non si pospongono, ma si danno con l'iniziale minuscola per indicare che non vanno considerati nell'ordinamento alfabetico. Perciò, al-Fārābī si cerca sotto la "f", e l'intestazione della scheda sarà: "al-Fārābī, Abū Nasr Muhammad".[9]

A proposito del trattamento dei "nomi con prefisso", bisogna considerare che, se è vero che nella ricerca di questi nomi in un catalogo, come pure nell'ordinamento di essi in una bibliografia o in un indice analitico, bisognerebbe attenersi agli usi nazionali ora descritti, è anche vero che possono aversi numerosi casi d'interferenza: in Italia, per esempio, dato che i prefissi vanno preposti, e fanno parte della forma da ordinare alfabeticamente, si tenderà a preporre i prefissi anche nei cognomi stranieri; viceversa, in un catalogo di una biblioteca olandese, dato che il prefisso "de" nei nomi olandesi si pospone, si troverà posposto (e magari scritto con l'iniziale minuscola) anche nel cognome italiano De Luca; e Alessandro De Luca si dovrà cercare per sicurezza anche sotto "Luca, Alessandro de".

Sempre ricordando che, per i nomi moderni, si deve seguire l'uso nazionale di ogni paese, come regola generale vale il fatto che i prefissi che non siano costituiti da articoli o da preposizioni, e in particolare i prefissi che in origine designano rapporti di parentela, prendono la prima posizione nell'intestazione della scheda. Quindi si troverà: "Abū Zahrah, Muhammad", "Bar-Hillel, Yehošua", "Ben Gurion, David", FitzGerald, Edward", "MacCarthy, John".[10]

E' importante ricordare che queste regole dovrebbero valere anche nel caso in cui i nomi debbano figurare in un qualsiasi indice alfabetico: bibliografie alfabetiche per autore, indice dei nomi alla fine di un libro, ecc.

 

I.7.1.4. Autori antichi o "orientali"

Per gli autori antichi, e particolarmente per gli autori che appartengono a culture extra-europee, l'individuazione della forma del nome che costituisce la via di accesso per il reperimento della notizia è molto più complessa. Nelle varie tradizioni culturali i nomi delle persone potevano essere costituiti da elementi diversi, nessuno dei quali può essere assimilato al "cognome" della tradizione moderna. Di qui nascono numerose incertezze nell'individuazione dell'elemento che debba comparire come parola d'ordine in un catalogo per autori.

Per esempio, nel mondo di tradizione islamica il nome di una persona era formato almeno da cinque elementi — cui potevano aggiungersi titoli e appellativi facoltativi — non tutti usati contemporaneamente e costantemente; una persona — da viva — poteva essere designata con l'uno o l'altro di questi nomi a seconda dei diversi momenti della sua vita, delle circostanze, e della concreta situazione comunicativa. Per esempio la kunya si usava nell'apostrofe, cioè quando ci si rivolgeva direttamente a una persona, usando un particolare livello di cortesia; ma quando si parlava della persona in sua assenza, alla terza persona, altre parti del nome erano usate. Si può dire che i personaggi importanti (letterati, filosofi, scienziati) ricevevano soltanto dopo morti la forma definitiva del loro nome, quella sotto la quale venivano ricordati e menzionati; sicché essi diventavano famosi sotto uno o sotto l'altro degli elementi che componevano il loro nome, anche a seconda delle "mode"  biografiche e onomastiche caratteristiche delle diverse epoche. Qualcuno ha voluto sostenere che — nel mondo arabo-islamico — il biografo è l'autore del nome.

Il nome arabo, di grande interesse dal punto di vista culturale ed etnolinguistico, rappresenta un grande problema dal punto di vista catalografico e bio-bibliografico. Un autore dovrebbe comparire sotto la forma del nome in cui egli è maggiormente noto e menzionato nella letteratura. Si comprende bene che la catalogazione in questi casi richieda buone, anzi ottime conoscenze di storia letteraria (oltre che linguistiche). Per di più, non sempre la forma del nome registrata nel frontespizio del libro da catalogare è quella che si può considerare valida, e preferibile per la catalogazione. Un catalogo, infatti, dovrebbe presentare su schede separate — raggruppate in un'unica serie sotto la forma corrente del nome dell'autore — tutte le opere di un certo autore possedute dalla biblioteca, anche se nel frontespizio delle edizioni il nome dovesse essere dato in maniere difformi (caso particolarmente frequente — per i motivi appena visti — per gli autori "orientali"). Perciò chi cataloga dovrebbe saper riconoscere se, sotto forme diverse del nome, si cela lo stesso personaggio; e dovrebbe saper decidere — anche ricorrendo all'aiuto di manuali di storia della letteratura, di repertori bio-bibliografici, di enciclopedie, ecc. — quale sia la forma del nome da preferirsi.

Naturalmente in tutti i casi dubbi, anche per aiutare chi cerca nel catalogo, il catalogatore potrebbe redigere delle schede di rinvio, per rimandare da una forma del nome non considerata pertinente a quella adottata nel catalogo. Tuttavia un abuso di tale pratica, pur raccomandabile in questo come in molti altri casi di incertezza, porterebbe alla costituzione di cataloghi zeppi di schede, che assumerebbero dimensioni smisurate. Quindi, non sempre chi cerca può fare affidamento sulla presenza di schede di rinvio.

 

I.7.2. La trascrizione/traslitterazione in caratteri latini[11]

Le Regole italiane di catalogazione per autori forniscono in appendice delle tavole per la traslitterazione di testi in scritture diverse dalla latina (araba, ebraica, cirillica, ecc.), alle quali le biblioteche italiane dovrebbero attenersi nella catalogazione delle opere in lingue "orientali"; e chi cerca in un catalogo dovrebbe tenerle presenti, per poter reperire agevolmente l'opera che cerca.

Tuttavia, talvolta gli usi di trascrizione/traslitterazione da determinate lingue invalsi in campo scientifico differiscono da quello adottato nelle RICA. Perciò può succedere che in una biblioteca universitaria ― magari per iniziativa di un docente, abituato a trascrivere/traslitterare altrimenti ― i nomi degli autori e i titoli delle opere in lingue orientali compaiano in forme diverse da quella che ci si aspetterebbe. Per questo motivo chi cerca ― che abbia presenti o meno le tavole delle RICA ― deve cercare sotto tutte le possibili forme di trascrizione/ traslitterazione, prima di abbandonare il campo.

Per esempio, nella traslitterazione da testi in scrittura araba (arabo, (neo)persiano, turco osmanlı, urdu, ecc.), secondo le RICA si dovrebbe usare il simbolo "" per la lettera . Però è possibile che, nella scheda del catalogo, questa lettera sia stata traslitterata, anche se impropriamente, come "kh". Nella tradizione iranistica, poi, per trascrivere il suono di fricativa uvulare sorda, rappresentato in neopersiano da questa lettera, è invalso l'uso di ricorrere alla lettera "x", simbolo che trae origine da una deformazione della chi (χ) dell'alfabeto greco. Per quanto riguarda la trascrizione delle vocali [12], inoltre, se si applicano le RICA, le vocali andrebbero trascritte "all'araba" anche per altre lingue scritte in caratteri arabi, quali ad esempio il (neo)persiano. Questo tipo di trascrizione però, soprattutto per i titoli di opere e per i nomi di autori iraniani contemporanei, può sembrare strano per chi il persiano lo parli davvero, e non lo coltivi soltanto come una lingua morta; un nazionalista iraniano potrebbe addirittura considerarla offensiva. Insomma, se cerco le opere del famoso ayatollah Khomeini, dovrei sapere che ― secondo le RICA ― dovrei cercare sotto "umaynī"; ma per sicurezza posso cercare anche sotto "omeyni", "Khumainī", "Xomeyni", "Xumaynī", Khomeini, ecc. Nell'esempio in questione, la presenza di schede di rinvio dalle forme del nome non adottate a quella scelta nel catalogo è quasi obbligatoria, trattandosi del nome di un personaggio noto attraverso la stampa secondo trascrizioni non scientifiche. Ma in molti altri casi non è detto che chi cerca trovi una scheda che lo indirizzi nella sua ricerca, anche perché le possibilità di traslitterazione/trascrizione sarebbero talmente tante che non potrebbero essere tutte prese in considerazione.

 

I.7.3. L'ordine alfabetico

Per ordine alfabetico s'intende l'ordine secondo l'alfabeto latino composto di 26 lettere (coincidente dunque con quello che si usa per l'inglese):

a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z[13]

        Nella ricerca in un catalogo (o in una bibliografia, in un indice alfabetico dei nomi, ecc.) bisogna ricordare queste regole:

1.      i segni diacritici non si considerano, né si considerano accenti, apostrofi, segni di punteggiatura. Perciò "š" va cercato come se fosse "s", "č" come se fosse "c", "ġ" come se fosse "g", "ż" come se fosse "z", "" come se fosse "h", "ā" come se fosse "a", e così via per tutti i simboli che servono a trascrivere o a traslitterare testi in lingue orientali.[14] Nel caso dell'Umlaut nelle lingue germaniche ci sono due possibilità: la prima è che ― come tutti i segni ortografici e diacritici ― esso vada ignorato. Dunque "Müller" andrà cercato come se fosse "Muller". Altrimenti, può anche trovarsi la forma alternativa "Mueller", con "ue" al posto di "ü". Lo stesso vale per "ö" e per "ä", che possono trovarsi rispettivamente nella forma "oe" e "ae".

2.    Nell'ordinamento alfabetico le parole vanno considerate una per una (e non come costituenti un'unica stringa), e lo spazio bianco tra esse indica che con la parola successiva l'ordine alfabetico ricomincia da capo. Perciò in un ordinamento alfabetico di titoli di opere troverò:

Pe' loro…

Pe' vostri…

Per il decimo anniversario…

Per il quinto…

Per la nona ricorrenza…

Per vostro…

Perù oggi.

Questo dovrebbe valere anche nel caso in cui una parola italiana termini con l'apostrofo, e dopo questo segno non vi sia alcuno spazio, cioè quando l'apostrofo indichi non il troncamento di una consonante o di una sillaba, ma l'elisione di una vocale.[15] Per esempio si  troverà:

Sant'Agostino[16]

Sant'Andrea

Sant'Anna,

e solo molto dopo si troverà la forma "Santagostino" scritta tutta attaccata. E in un ordine alfabetico di titoli di opere si troverà:

Manuale d'arredamento

Manuale d'ostetricia

Manuale dell'arte culinaria

Manuale dell'ingegnere

Manuale dell'usciere

Manuale della casalinga

Manuale della segretaria

Manuale delle Giovani Marmotte

Manuale delle impiegate

Manuale dello studente

Manuale di agricoltura

Manuale di zoologia.

3.    La regola appena enunciata conosce un'importante eccezione: i "nomi con prefissi", di cui si è parlato sopra, vanno considerati come se fossero scritti tutti attaccati. Questo vale sia per i nomi di persona, sia per i nomi di luogo (in un ordinamento alfabetico "L'Aquila" va considerato come se fosse scritto "Laquila"). Quindi si avrà:

De Lucia (= "Delucia")

Derchi

D'Ercole (= "Dercole")

De Rosa (= "Derosa"),

e non, come ci si aspetterebbe in base alla regola 2, prima tutte le "entrate" che hanno come prima parola soltanto una "d" ― l'apostrofo infatti va ignorato ― ("D'Ercole", "D'Orazio", ecc.), poi quelle che hanno come prima parola "da", poi "dall", "de", "dell", "della", "delle", "dello", "di".

4.    Come si è già accennato sopra, ci sono delle "parole" che nell'ordinamento alfabetico non si considerano. Queste sono gli articoli nelle lingue europee, ma solo quando l'articolo si trovi ad essere il primo elemento di un gruppo di ordinamento (per esempio, la prima parola di un titolo), cioè quando si trovi nella cosiddetta "entry position"; gli articoli vanno invece considerati quando si trovino all'interno dell'intestazione [17]. Anche gli articoli arabo ed ebraico nei nomi di persona non vanno considerati nell'ordinamento alfabetico (vedi sopra).[18]

 

I.8.       Altri tipi di catalogo

Oltre al catalogo alfabetico per autori, e a quello alfabetico per soggetti, esistono altri tipi di catalogo. Nelle biblioteche italiane normalmente i periodici (detti anche "riviste"), cioè quel tipo di pubblicazioni di carattere seriale che escono con cadenze fisse o almeno programmaticamente fisse (una o più volte l'anno), hanno un catalogo a parte, anche questo per lo più in forma di schedario: il catalogo dei periodici.[19] Come si è già detto (par. I.5.), quando si cerca un articolo di un periodico, non bisogna cercare sotto il nome dell'autore dell'articolo, perché i singoli articoli dei singoli autori non sono catalogati separatamente. Nel catalogo dei periodici la ricerca si effettua secondo l'ordine alfabetico del titolo del periodico. Al proposito, bisogna sempre ricordare che l'articolo iniziale del titolo va ignorato: la rivista intitolata "La Bibliofilia" va cercata sotto la lettera "b". Anche nel caso dei periodici, come nel caso delle cosiddette "monografie", il lettore deve prendere nota della collocazione. Se il catalogo — come generalmente avviene — fornisce tale informazione, è anche bene controllare che il volume di cui si ha bisogno sia effettivamente posseduto dalla biblioteca: può infatti avvenire che una biblioteca, pur possedendo un periodico, non ne abbia tutti i volumi, o non abbia — per ciascuna annata della rivista — tutti i fascicoli che la compongono. In questo caso, il catalogo dovrebbe indicare le lacune, cioè i volumi e le annate mancanti. Sul modulo, al momento della richiesta, il lettore preciserà il numero del volume e l'anno di cui ha bisogno, ed eventualmente il fascicolo. Se la rivista è in consultazione, sarà egli stesso ad andare a prendere il volume.

E' importante sapere che esistono cataloghi collettivi dei periodici conservati nelle biblioteche di Roma (come ne esistono anche di altre città e regioni), pubblicati a stampa, in modo che il ricercatore possa trovare la rivista di cui ha bisogno, senza dover cercare biblioteca per biblioteca, consultandone il relativo catalogo [20]. Di recente è stato anche pubblicato un catalogo collettivo dei periodici conservati in biblioteche orientalistiche italiane [21]. Inoltre, l'Università degli Studi di Bologna cura un sito internet che fornisce informazioni per la localizzazione di periodici italiani e stranieri nelle biblioteche italiane: http://www.cib.unibo.it.

Esiste poi un tipo di catalogo, il cosiddetto catalogo a dizionario, che compendia i tipi già visti: quello alfabetico per autori e titoli, quello alfabetico per soggetti, e (talvolta) quello dei periodici. In questo tipo di catalogo si trova, in un'unica serie alfabetica, di tutto: nomi degli autori (e titoli) per le monografie, titoli dei periodici, soggetti. Un esempio è rappresentato dal catalogo (schedario) degli stampati della Biblioteca Vaticana. Qui si trovano, in ordine alfabetico, oltre ai nomi degli autori, e ai titoli dei periodici, anche i soggetti relativi ai principali ambiti di studio coperti dalle raccolte librarie della Biblioteca Vaticana: teologia, missioni, ecc.

Prevalentemente destinati ad uso interno delle biblioteche sono i cataloghi topografici, nei quali le notizie bibliografiche sono disposte in base alla collocazione che il libro ha in biblioteca. Un esempio di catalogo topografico destinato al pubblico è rappresentato dal catalogo dei microfilm del "Centro nazionale per lo studio del manoscritto" (vedi sopra), che presenta, per ogni biblioteca di ogni città (in ordine alfabetico), le schede disposte secondo la segnatura che identifica i manoscritti, che generalmente corrisponde anche alla disposizione dei manoscritti negli scaffali della biblioteca.[22]

Cataloghi di biblioteca ordinati secondo uno schema di classificazione (cataloghi sistematici o classificati) sono rari. Nella Biblioteca Nazionale di Roma, nell'area destinata ai cataloghi, vi è uno schedario, per le monografie entrate in biblioteca dopo il 1971 e fino al 1990, organizzato secondo la Classificazione Decimale Universale (sigla: CDU; vedi sopra). In questo catalogo, l'intestazione della scheda è rappresentata dal numero che, in base a questo sistema di classificazione, rappresenta la materia o argomento dell'opera. Conoscendo il numero che identifica la materia che interessa (per es.: 016) il catalogo permette di sapere quali opere relative a quell'argomento sono possedute dalla biblioteca, e la relativa collocazione. Il catalogo in linea della medesima biblioteca, in cui si trovano i documenti acquisiti dalla biblioteca dopo il 1990, prevede anche un campo, denominato "Classificazione", che può essere interrogato digitando il numero corrispondente all'argomento che interessa. Per esempio: 016 identifica opere di bibliografia speciale.

 

I.9.   Gli OPAC (Online Public Access Catalog)

Ormai molte biblioteche rendono disponibile anche un catalogo in linea, accessibile al pubblico, del loro posseduto. Tale tipo di catalogo è chiamato OPAC, dalle lettere iniziali dell'espressione inglese Online public access catalog, "catalogo in linea di pubblico accesso".

        Va detto subito che uno dei problemi principali nell'uso di tale tipo di catalogo consiste nel fatto che non sempre è possibile sapere esattamente quale sia la copertura del catalogo, se cioè tutto il posseduto di una biblioteca sia accessibile in linea, o — in caso contrario — quali siano i limiti, cronologici o di altro genere, di validità del catalogo stesso. Infatti generalmente le biblioteche hanno iniziato — almeno a partire dall'ultimo decennio — a catalogare in rete le nuove accessioni, man mano che queste entravano in biblioteca; ma solo lentamente stanno procedendo alla catalogazione in linea del cosiddetto "pregresso". Di certo, per quanto riguarda le biblioteche pubbliche italiane, solo una parte del loro patrimonio librario è accessibile in linea, sia attraverso l'OPAC dell'Indice SBN — cui, come si è detto, aderiscono biblioteche prevalentemente pubbliche —, sia attraverso gli OPAC di singole biblioteche.

        Per l'Italia, e per Roma in particolare, è utile conoscere l'esistenza di altri cataloghi collettivi in linea, oltre all'Indice SBN: quello della rete URBE (Unione Romana Biblioteche Ecclesiastiche), consultabile dal sito http://mw.urbe.it/, cui aderiscono numerose biblioteche ecclesiastiche romane, tra cui quelle del Pontificio Istituto Biblico, del Pontificio Istituto di Studi Orientali, e dell'Università Gregoriana; e quello della rete URBS (Unione Romana Biblioteche Scientifiche), consultabile dal sito http://www-urbs.vatlib.it, cui aderiscono numerose biblioteche di istituti ed enti privati, quali quelle della American Academy di Roma, della British School a Roma, del Deutsches Archäologisches Institut, e soprattutto della Biblioteca Apostolica Vaticana. (Un elenco completo delle biblioteche che fanno parte delle due reti è consultabile dai rispettivi siti.)

        Tutti questi cataloghi collettivi in linea permettono di effettuare la ricerca su tutte le biblioteche che partecipano al progetto, oppure di selezionare una o più biblioteche particolari, limitando la ricerca alle sole biblioteche selezionate.

        Presso il sito della "Associazione Italiana Biblioteche" (sigla: AIB), consultabile all'indirizzo http://www.aib.it, dal link "Il mondo delle biblioteche in rete", è possibile avere un repertorio completo dei cataloghi in linea di biblioteche italiane e straniere. Dallo stesso sito è possibile consultare un'utile guida per l'utilizzo di cataloghi in linea.[23] E' comunque utile avere a disposizione l'indirizzo di alcune grandi biblioteche, italiane e soprattutto straniere, dal quale si può accedere al relativo catalogo in linea:

 

·       Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: http://www.bncf.firenze.sbn.it

·       British Library: http://www.bl.uk

·       Bibliothèque Nationale de France: http://www.bnf.fr

·       Die Deutsche Bibliothek: http://www.ddb.de

·       Österreichische Nationalbibliothek: http://www.onb.ac.at

·       Library of Congress: http://lcweb.loc.gov

·       The New York Public Library: http://catnyp.nypl.org

 

        La consultazione di un catalogo in linea non presenta particolari difficoltà. Le schede di un tradizionale catalogo cartaceo sono qui sostituite dai cosiddetti "record", ciascuno dei quali individua e descrive un "documento", sia esso una monografia, un periodico, una raccolta, o una collana o collezione, descritta nel suo complesso, e con schede o record per i singoli volumi che la compongono. Ogni record è diviso in campi. Per esempio nella descrizione di una monografia saranno presenti i campi "autore"; "titolo" dell'opera; "edizione", in cui si segnala quale edizione di una pubblicazione sia in concreto posseduta dalla biblioteca; "pubblicazione", con l'editore, il luogo e la data di pubblicazione; ecc. Nella descrizione di un periodico, invece, non vi sarà un campo "autore", ma vi sarà un campo "titolo" del periodico; come in un catalogo cartaceo o a schede, vi sarà inoltre un campo, chiamato "consistenza" o "posseduto", che segnala i volumi effettivamente posseduti dalla biblioteca, e così via.

        Generalmente l'interrogazione di un catalogo in linea avviene per campi, ed è il catalogo stesso che invita a scegliere un campo sul quale compiere la ricerca. A quel punto, chi cerca deve digitare nel campo "autore" il nome dell'autore dell'opera cercata; oppure, nel campo "titolo", deve digitare una o più parole iniziali del titolo, escludendo — come si sa — gli articoli (ricerca per liste). In alcuni OPAC basta digitare anche solo qualche parola contenuta (o che si suppone contenuta) in qualsiasi punto del titolo, per trovare ciò che si cerca o che può tornare utile (ricerca per parole). In tal modo, la ricerca per titolo può funzionare anche come ricerca per soggetto. In molti OPAC, poi, è possibile effettuare la ricerca anche per altri campi, quali quello "classificazione", cioè secondo un sistema di classificazione (vedi sopra); quello "editore"; quello "data di pubblicazione", che per esempio permettere di conoscere quello che la biblioteca o le biblioteche (nel caso di un OPAC collettivo) possiedono, che sia stato pubblicato ad esempio nell'anno 2002. L'unico errore che si può commettere, è quello di digitare i dati nel campo sbagliato. Se per esempio si cerca un'opera di Umberto Eco, e si digita la parola "eco" nel campo "titolo" anziché nel campo "autore", il computer  mostrerà tutte le opere relative al fenomeno acustico dell'eco possedute dalla biblioteca (o dalle biblioteche).[24]

        Alcuni OPAC, come ad esempio quello della rete URBS (vedi sopra), permettono di effettuare la ricerca contemporaneamente su qualsiasi campo, verificando se la parola o le parole inserite dal ricercatore compaiono in uno qualsiasi dei campi che descrivono un documento. Digitando il nome di un autore, per esempio, si può vedere non solo se la biblioteca o le biblioteche possiedono le opere di quell'autore, ma anche quali opere la biblioteca possiede che parlino di quell'autore, figurando quel nome in un punto qualsiasi del titolo. Naturalmente questo tipo di ricerca dà risultati tanto più soddisfacenti, quanto più specifico e poco comune è il termine o la sequenza di parole attraverso cui si effettua la ricerca. Se viene inserito un termine troppo generico, si avrà un numero eccessivo di record che risponde alla richiesta fatta, e la ricerca dovrà essere delimitata meglio attraverso la scelta di termini meno generici.

        Nel digitare la parola o le parole attraverso cui si effettua la ricerca in un catalogo in linea, bisogna ricordare che:

·       normalmente l'opposizione tra maiuscole e minuscole è irrilevante;

·       se la ricerca è per liste, cioè per esempio attraverso le parole iniziali del titolo di un'opera, gli articoli non vanno digitati (si digita "promessi sposi", e non "i promessi sposi");

·       segni di punteggiatura, trattini e apostrofi possono essere digitati, ma vengono comunque automaticamente ignorati dagli OPAC;

·       normalmente gli accenti e i segni diacritici vengono ignorati, quindi non serve digitarli, mentre nel caso dell'umlaut si può provare a digitare sia "Muller", sia "Mueller" (vedi sopra);

·       bisogna fare attenzione a non commettere errori di digitazione, che possono compromettere la ricerca.

 

I.10.  Lo studio

Per quanto riguarda la fase dello studio, momento centrale e importantissimo nell'elaborazione della tesi(na), i consigli che si possono dare non sono molti.

Man mano che si reperiscono i testi, è bene farne oggetto di una lettura più o meno veloce, che permetta di capire se il tale articolo o il tale libro è veramente utile per la ricerca, o se può essere ignorato. Una pubblicazione può essere ignorata in due casi: se si scopre che non è veramente attinente all'argomento che interessa; oppure se è di un livello troppo basso, e non rispetta i requisiti minimi di un lavoro di carattere scientifico (un giudizio del genere, tuttavia, può essere difficile da formulare, soprattutto per uno studente; e forse qualcosa di utile può trovarsi ovunque).

Ogni lavoro — soprattutto quelli più importanti — va letto attentamente, e all'occorrenza riletto più volte, fino ad essere sicuri di aver capito bene quello che l'autore intendesse dire. Può essere utile prendere nota — su schede di lettura, quaderni di appunti, file di computer — dei punti salienti attraverso i quali si svolge l'argomentazione dell'autore, o anche fare dei brevi riassunti di ciò che si legge. Questo è utile sia per chiarirsi le idee, ed assicurarsi di aver capito bene, sia per poter richiamare rapidamente il contenuto del testo letto, anche a distanza di qualche tempo dalla lettura. E' comunque di estrema importanza leggere e rileggere più volte i testi più interessanti e ricchi di informazioni: a ogni nuova lettura si capiranno cose nuove, e l'argomento verrà "smontato" e interiorizzato; inoltre, se ne acquisirà il linguaggio.

Già al momento dell'assegnazione della tesi, e ancor più man mano che si procede nella lettura dei testi, lo studente — con l'aiuto del docente relatore di tesi(na) — deve cercare di individuare con chiarezza quali sono gli scopi del suo lavoro, quali sono le domande, per quanto semplici e poco ambiziose, alle quali la tesi(na) si propone di rispondere. Soprattutto nelle ricerche più impegnative, s'instaura un continuo rapporto dialettico tra la fase della lettura della bibliografia e la fase della riflessione su quanto si viene leggendo, con continui aggiustamenti circa il piano di lavoro e gli scopi della ricerca.

Può essere utile cominciare a redigere un ipotetico indice della tesi, che verrà naturalmente modificato man mano che si procede nel lavoro, e cominciare a scrivere una traccia dei punti che dovranno essere toccati, specificando come s'intende trattarli. Però, non conviene cominciare a scrivere prima di avere le idee assolutamente chiare su quello che si vuole dire. La redazione della tesi sarà tanto più agevole, quanto più l'argomento sarà stato elaborato mentalmente. "Forma" e "sostanza" sono strettamente correlate: una forma contorta e poco chiara è indizio di un'insufficiente elaborazione della materia trattata. Viceversa, soltanto quando chi scrive padroneggia l'argomento riuscirà a trovare la forma più semplice e chiara per esprimere anche contenuti complessi. La semplicità, che aiuta grandemente il lettore, si ottiene soltanto a prezzo di un grande lavoro da parte dell'autore.

La redazione di un testo di carattere scientifico, anche se piccolo e di scarse ambizioni, deve essere concepita come un servizio reso agli altri studiosi. Chi scrive deve sforzarsi di essere chiaro, di far capire a chi legge ogni passaggio del suo argomentare, di rendere accessibili e controllabili le fonti che ha usato, in modo che gli altri studiosi possano verificare le conclusioni cui egli è giunto.

Soltanto quando tutto il lavoro di studio e di elaborazione dell'argomento della ricerca è stato compiuto, e si è pronti a cominciare a scrivere, può essere utile conoscere le tecniche per la redazione di testi di carattere scientifico.

 


 


II. LA REDAZIONE DI UN TESTO DI CARATTERE SCIENTIFICO

 

II.1.  Quindici consigli per aiutare chi scrive e salvare chi legge[25]

1.    Cominciare in modo preciso, senza farla troppo lunga con premesse, giri di parole, dichiarazioni di intenti e genericità. Enunciare subito lo scopo della tesi, le ipotesi principali e le idee chiave.

2.    Non comporre periodi troppo lunghi e ingarbugliati. Evitare fumoserie, allusioni misteriose, definizioni poco chiare, giudizi estetici (se non strettamente necessario), eccessi metaforici.

3.    Non gonfiare il testo ripetendo sempre gli stessi concetti. La capacità di sintesi è il più sicuro segno di intelligenza.

4.    Non innamorarsi delle 'belle frasi' e chiedersi sempre: "che cosa significa esattamente questo?".

5.    Rileggere quanto si è scritto mettendosi nei panni di un lettore che non sa niente dell’argomento e non ha letto i libri cui si fa riferimento. Se chi legge non capisce, chi scrive non ha le idee chiare (Leopardi).

6.    Evitare le espressioni del tipo personalmente, mi sembra che, io credo che, in verità e simili.

7.    Evitare la prima persona plurale ("vorremmo analizzare"), così come espressioni del tipo "il poeta ci dice...." o "il Nostro".

8.    Fare attenzione ai tempi verbali. Si può alternare il presente storico con il passato, ma l’alternanza non deve disturbare. Un eccesso di passati remoti può risultare fastidioso.

9.    Alternare frasi attive con frasi passive per variare il tono ("il romanzo tratta il tema della slealtà" oppure "il tema della slealtà è trattato nel romanzo"). Preferire comunque le frasi attive.

10.         Usare al massimo due aggettivi. Chiedersi di ogni aggettivo: "è quello più appropriato in questo contesto?". Evitare aggettivi generici e banali, del tipo bello, interessante, e simili.

11.         Scegliere oculatamente i sostantivi. Né troppo aulici e ricercati, né troppo banali e generici. Usare termini stranieri o tecnici solo se necessari, non per fare fumo.

12.         Evitare neologismi non legittimati scientificamente, specialmente se di conio giornalistico (valenza invece di valore); evitare come la SARS locuzioni del tipo: a livello di, nella misura in cui, al limite, in un certo senso, ecc.

13.         Citare testi critici solo se è strettamente necessario, sempre a proposito di idee o ipotesi molto precise. Evitare frasi ridicole del tipo: "come sostiene Auerbach, la letteratura è un fenomeno molto complesso". Più in generale, evitare di citare critici con nome e cognome nel testo: sa di piaggeria.

14.         Concludere: a) riassumendo le idee e i dati fondamentali esposti nella tesina e mettendo in rilievo il proprio punto di vista coordinante (struttura “a volta”); b) arrivare per gradi a una conclusione risolutiva che deriva logicamente da tutti i passaggi precedenti (struttura "a piramide", o poliziesca).

15.         Leggere molto e scrivere poco, ma bene.

 

II.2.  Come strutturare il testo[26]

Una tesi, ed eventualmente anche una tesina, dovrebbe comporsi delle seguenti parti, che possono trovarsi anche disposte secondo un ordine leggermente diverso da quello qui descritto:

·       Il frontespizio, in cui viene data una serie di indicazioni relative alla tesi stessa. In alto, centrata, in caratteri maiuscoli, si può riportare la dicitura: "Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Studi Orientali", e sotto, sempre centrata, l'indicazione dell'anno accademico durante il quale la tesi viene discussa. Più sotto, al centro della pagina, il titolo della tesi, seguito dal nome del candidato e dal suo numero di matricola (facoltativamente può essere indicata la sua appartenenza al vecchio o al nuovo ordinamento). Infine sul frontespizio deve figurare il nome del professore relatore di tesi o di tesina, ed eventualmente, nel caso di tesi del vecchio ordinamento o di tesi di laurea specialistica, anche il nome del correlatore.

·       Un indice generale, o sommario del contenuto della tesi, posto preferibilmente all'inizio (altrimenti, alla fine della tesi). Nell'indice vanno riportati i titoli dei capitoli e delle ulteriori suddivisioni del testo, con i relativi numeri di pagina (questi saranno aggiunti alla fine, se si lavora manualmente; altrimenti, i sistemi di videoscrittura prevedono appositi comandi che permettono di aggiornare automaticamente eventuali variazioni del numero della pagina con cui inizia il capitolo o il paragrafo). Se le varie sezioni in cui è suddiviso il testo sono numerate, questa numerazione deve essere riportata anche nell'indice. Per esempio, all'interno di ogni capitolo le suddivisioni di primo livello possono essere distinte da numeri progressivi: "1., 2., 3.  …"; all'interno di ciascuna suddivisione di primo livello, un altro numero progressivo può indicare le suddivisioni di secondo livello: "1.1., 1.2., 1.3., … 2.1., 2.2., 2.3. …". E' importante che la gerarchia delle suddivisioni sia chiara, e venga resa anche visivamente nella redazione dell'indice, mediante l'uso di rientri o di spaziature verticali differenziati. Alla fine dell'indice, a seconda del tipo di tesi, può essere necessario inserire anche un elenco delle illustrazioni, un elenco delle tavole fuori testo e un elenco delle tabelle (se presenti).

·       Un'introduzione, in cui viene presentato succintamente l'argomento della tesi(na), e i suoi scopi (vedi consiglio n° 1 sopra). Qui può venire discussa la situazione degli studi relativi all'argomento della tesi, anche attraverso una bibliografia ragionata (questo, di per sé, può essere un lavoro molto oneroso).

·       Il corpo della tesi, diviso in capitoli ed eventualmente in sotto-capitoli.

·       Le conclusioni, alla fine del lavoro (vedi consiglio n° 14 sopra).

·       Eventuali appendici, in cui sono riportati tutti i testi estranei alla tesi (documenti ecc.).

·       La bibliografia della tesi (vedi sotto). La bibliografia può essere preceduta dall'elenco o lista delle abbreviazioni usate nella bibliografia stessa. La lista delle abbreviazioni può trovarsi anche all'inizio della tesi, se se ne fa uso già nel corpo della tesi e nelle note.

·       Sarebbe auspicabile che la tesi prevedesse alla fine anche un indice dei nomi e dei soggetti (o degli argomenti principali, o delle "cose notevoli"), o indice analitico, con il relativo numero di pagina. Questo tipo di indice aiuta il lettore a reperire velocemente l'informazione cercata, e costituisce un'utile via d'accesso ai temi e ai contenuti trattati nella tesi. L'indice va redatto alfabeticamente, secondo i principi già enunciati a suo luogo.

 

II.3.  La redazione del testo[27]

 

II.3.1 .Come si digita il testo

Prima di tutto si deve scegliere un carattere (o fonte) chiaramente leggibile (Times New Roman, Palatino, Helvetica, Arial, Verdana). Quanto alla grandezza (o corpo) del carattere, è bene scegliere quello di 12 punti.

Nella formattazione del paragrafo è preferibile scegliere di giustificare il testo: il testo si presenterà con entrambi i margini, quello di destra e quello di sinistra, allineati. L'altra possibilità è quella del cosiddetto "testo sbandierato", cioè del testo allineato solo a sinistra. E' bene scegliere una spaziatura doppia tra le righe, sia per rendere più leggibile il testo, sia per permettere al docente di intervenire con eventuali correzioni nel corso delle diverse stesure della tesi. Ancora migliore è la scelta di una "spaziatura esatta", per esempio di 22 punti: se nella tesi si impiegheranno caratteri in lingue orientali, che possono comportare una dilatazione dello spazio verticale tra le righe, la scelta di una spaziatura esatta permetterà di mantenere costante la spaziatura.

Quanto al numero di linee di scrittura per pagina, l'invito è quello di fare delle pagine "piene", e non disporre il testo su poche linee (18/20), come si usava per le tesi. Le righe di scrittura non pesano (se sono scritte bene), ma la carta sì: bisogna evitare di sprecarla e di produrre tesi anche materialmente pesanti, difficili da portare e da conservare per relatore e correlatore. Per lo stesso motivo, sarebbe auspicabile stampare o fotocopiare la tesi in modo da utilizzare entrambe le facciate di ogni foglio, così da dimezzare la quantità di carta utilizzata. Il valore di una tesi, come di qualsiasi altra pubblicazione, non si giudica "a peso".

All'interno di ogni capitolo o sezione della tesi bisogna decidere come organizzare i paragrafi. Formalmente il paragrafo si definisce come la porzione di testo compresa tra due ritorni a capo. L'inizio di ogni paragrafo può anche essere evidenziato con un rientro, che può essere ottenuto digitando il tasto "tabulazione" (due frecce disposte nelle due diverse direzioni, in alto a sinistra sulla tastiera); ma spesso i programmi di videoscrittura producono automaticamente il rientro di paragrafo dopo ogni ritorno a capo.

L'organizzazione del testo in paragrafi è di estrema importanza; bisogna evitare di andare a capo senza criterio, in modo casuale, o in continuazione, dopo ogni frase. Chi scrive deve badare a fare in modo che ogni paragrafo rappresenti per il lettore un'unità informativa ben percepibile; e che la sequenza dei paragrafi rispecchi l'ordinata progressione del suo pensiero. Andare a capo è come permettere al lettore di riprendere fiato durante una salita in montagna: va fatto ogni tanto, e al momento giusto.

Bisogna prestare attenzione al modo in cui si digita la punteggiatura. I segni di punteggiatura (punto, virgola, punto e virgola, due punti, punto esclamativo, punto interrogativo) vanno digitati "attaccati" al testo che precede, ma con uno spazio dopo di essi [28]. Le virgolette e le parentesi, invece, aderiscono al testo racchiuso (per il loro uso, vedi sotto). Il trattino lungo — che va scelto tra i "simboli" dal menu "inserisci" — è preceduto e seguito da uno spazio. Il trattino corto, invece, può essere scritto senza spaziatura prima e dopo (si fa così, senza spazio, nelle sequenze di numeri: "anno accademico 2003-04", "pp. 56-80"). Inoltre, il punto dopo un'abbreviazione vale anche come punto fermo alla fine di una frase: ecc. Il punto va ripetuto se dopo l'abbreviazione si chiudano delle parentesi o delle virgolette (ecc.). Il punto esclamativo e il punto interrogativo valgono anche come punto fermo, cioè dopo questi segni non si mette il punto, e la frase successiva inizia generalmente con l'iniziale maiuscola. Dopo i due punti, e dopo il punto e virgola, invece, si usa l'iniziale minuscola. Si ricordi che in italiano l'iniziale maiuscola si usa solo all'inizio di frase, e per i nomi propri ("gli Italiani", ma: "il popolo italiano"; "gli Inglesi", ma: "l'inglese, l'arabo, il cinese").

Il numero progressivo di una nota, che i programmi di videoscrittura producono automaticamente dal menu "inserisci", o cliccando su una particolare icona, può essere inserito prima o, preferibilmente, dopo il segno di punteggiatura (in genere il punto fermo che chiude una frase). L'importante è fare sempre allo stesso modo.

Bisogna infine ricordarsi, utilizzando sempre l'apposito comando dal menu "inserisci", di inserire i numeri di pagina, che in genere vengono disposti al centro del margine inferiore della pagina (la prima pagina di ogni capitolo generalmente non si numera).

 

II.3.2. Breviario di punteggiatura[29]

·       La virgola di norma si usa per separare la proposizione principale dalla secondaria ("se siete studenti, siete intelligenti")

·       proibito usare la virgola dopo il soggetto ("gli studenti, sono tutti intelligenti": NO!)

·       obbligatoria la virgola per delimitare incisi ("gli studenti, eccezion fatta per gli stupidi, sono intelligenti")

·       obbligatoria la virgola per delimitare subordinate ("gli studenti, benché siano intelligenti, a volte sono stupidi")

·       obbligatoria la virgola nelle enumerazioni; da evitare di norma prima di e ("gli studenti, i docenti e i presidi sono intelligenti")

·       si usa il punto e virgola (o il punto fermo) per separare due frasi totalmente indipendenti ("gli studenti sono intelligenti; i docenti appartengono a tutt’altra categoria")

·       si usano i due punti per introdurre una frase di spiegazione o ampliamento ("gli studenti sono intelligenti: capiscono sempre tutto"); i due punti sostituiscono egregiamente cioè, perché, infatti, quindi.

 

          II.3.3. Accento e apostrofo

L’accento è obbligatorio su monosillabi che potrebbero confondersi con altri omografi. Casi più frequenti:

·       (verbo) / da (preposizione)

·       (avverbio) / la (articolo)

·       (avverbio) / si (pronome)

·       (pronome tronco) / se (congiunzione o pronome atono)

Non si mette l’accento su: do (verbo), fa (verbo), su (preposizione).

Bisogna distinguere l’accento dall’apostrofo. Questo va usato nei troncamenti irregolari (es.: un po’) o negli imperativi (es.: va’).

L’apostrofo si usa normalmente nell'elisione, non nel troncamento. Es.: un’ora, ma fra Cristoforo.

Si ricordi che un non è seguito da apostrofo (es. un altro).

Attenzione: qual è, qual altro.

 

II.3.4. Consonante eufonica

Si impiegano le d eufoniche in ed, ad, od solo quando la parola che segue inizia rispettivamente con e, a, o. Si può fare eccezione per locuzioni entrate nell’uso, come ad opera, ad un(a), ad esso, ad ogni. Si preferisce per esempio a ad esempio.

 

II.3.5. L'uso del corsivo

Il corsivo è il carattere, o meglio la variante dei caratteri di un certo stile, usato per eccellenza come elemento distintivo all'interno del testo. Esso è usato:

·       per il titoli dei libri o anche — se si sceglie un certo stile di citazione bibliografica (vedi sotto) — degli articoli;

·       per riportare parole straniere (ma non nomi propri, di persona o di luogo, né parole straniere acquisite o di uso corrente in italiano), e in particolare per riportare parole o frasi in trascrizione scientifica;

·       per evidenziare o "sottolineare" una o più parole nel testo.

Il corsivo può essere scelto, inoltre, come stile dei titoli delle varie sezioni della tesi, o titoli di secondo livello. (Per i titoli di primo livello si possono usare i caratteri maiuscoli.)

Circa il sottolineato, è opportuno citare l'opinione del collega Angelo Arioli:

 

Bandirei da ora e per sempre in tutti i tipi di testi redatti tramite computer il sottolineato, che tranne rarissimi casi non ha motivo di esistere e infatti non esiste in alcuna pubblicazione. Ricordo, soprattutto ai più giovani, che prima dell'avvento della video-scrittura, si sottolineavano le parole per indicare al tipografo che le medesime dovevano essere composte in corsivo o italico […]. Ora corsivi, grassetti, apici, ­pedici, e via elencando si trovano in ogni programma di video-scrittura. Basta con le sottolineature (!).[30]

 

Si ricordi infine che, se nel testo originale che viene riportato in corsivo (per esempio il titolo di un libro) compaiono caratteri corsivi, questi ultimi vanno riportati in tondo, cioè nel carattere normale in cui è composto il testo. Per esempio: "Gilbert Lazard, Les prépositions pa(d) et bē (ō) en persan et en pehlevi, […]".

 

II.3.6. Le virgolette e le parentesi

Le virgolette possono essere singole o apici ('…'), o doppie. Queste ultime possono essere alte o inglesi ("…"), e basse o francesi o "caporali" («…»).[31] Generalmente in un testo si usano le une o le altre, quelle doppie alte o quelle basse, evitando di alternarne l'uso. Può essere preferibile scegliere i cosiddetti "caporali" se nei testi da citare compaiono già segni (di trascrizione o di traslitterazione) che possano essere confusi con le virgolette alte; per esempio è preferibile scrivere «‘Ulamā'», per evitare il pasticcio grafico "‘Ulamā'".

Le virgolette doppie, alte o basse che siano, servono principalmente a riportare citazioni. Si possono usare le virgolette doppie anche per riportare una parola in un'accezione particolare (per esempio: i cosiddetti "caporali"; in quest'uso, alcuni autori preferiscono le virgolette singole o apici); per citare una parola o un termine (per esempio: il termine "fonema"; in quest'uso, in alternativa alle virgolette, si può ricorrere al corsivo); o per far seguire a una parola o a una frase straniera la traduzione italiana (per esempio: l'arabo kitāb, "libro", …).

Gli apici, invece, possono essere usati tutte le volte in cui si ha bisogno di ricorrere all'uso delle virgolette all'interno di un testo già "virgolettato" (es.: "l'arabo kitāb, 'libro', …"), o per citazioni all'interno di altre citazioni.

 Le parentesi possono essere tonde (…), quadre […], uncinate <…>, e graffe {…}. Le parentesi tonde indicano un inciso (di commento, di spiegazione, o di ampliamento) all'interno del discorso, più marcato di quello introdotto dalla virgola. Sono usate particolarmente per introdurre nel testo principale, e talvolta nelle note, rinvii di carattere bibliografico ad altri testi, o rinvii ad altre parti del testo della tesi (es.: vedi sopra).

Le parentesi quadre, invece, sono usate per segnalare che chi scrive sta intervenendo nel testo. Per esempio sono usate quando, in una citazione, chi scrive tralascia delle parti all'interno del testo citato […] [32]; oppure quando chi scrive vuole prendere le distanze da quello che egli considera un errore dovuto all'autore citato, segnalando tale presa di distanza per mezzo dell'espressione latina [sic], "così", racchiusa tra parentesi quadre (sulla questione, vedi anche sotto); oppure quando, sempre in una citazione, chi scrive integra una o più parole (per esempio il soggetto sottinteso nella frase citata) necessarie alla comprensione del brano estrapolato dal suo contesto. Infine, si usano le parentesi quadre, al posto delle tonde, all'interno di un testo già racchiuso entro parentesi tonde, come nell'esempio: "Il saggio di Franco Moretti citato più avanti (Il romanzo di formazione [1986]) è fondamentale …".[33]

Nelle citazioni bibliografiche (per cui vedi sotto) le parentesi quadre, inoltre, si possono usare per introdurre qualsiasi indicazione "supplementare", non estrapolata dall'edizione dell'opera stessa: per esempio quando, al titolo di un'opera in una lingua orientale  o poco nota, si voglia far seguire la traduzione italiana di esso:

 

Akimuškin, O.F., Persidskaja rukopisnaja kniga [Il libro manoscritto persiano], in Rukopisnaja kniga v kul'ture Narodov Vostoka [Il libro manoscritto nella cultura del Vicino Oriente], vol. I, Moskva 1987, pp. 330-406;

 

oppure quando si voglia segnalare l'esistenza della traduzione italiana di un'opera, citata nell'edizione nella lingua originale:

 

Lennenberg, E.H., Biological Foundations of Language, New York, Wiley, 1967 [trad. it. Fondamenti biologici del linguaggio, Torino, Boringhieri, 1971];[34]

 

oppure quando si voglia segnalare l'esistenza di una ristampa di un'opera citata:

 

Grundriss der iranischen Philologie, herausgegeben von W. Geiger und E. Kuhn, Strassburg, Karl J. Trübner, 1895-1904, 2 voll. [ristampa anastatica: Berlin - New York, Walter de Gruyter, 1974].

 

Nell'ambito della filologia testuale, parentesi quadre e parentesi uncinate vengono usate con un significato preciso: le prime racchiudono una parte di testo che l'editore intende espungere; le seconde, invece, sono usate per introdurre un'integrazione al testo da parte dell'editore.[35] Claudia Ciancaglini precisa: "Tuttavia, nelle edizioni di epigrafi latine e greche spesso si usa fare l'inverso (le uncinate per le espunzioni, le quadre per le integrazioni)". E in generale, sebbene l'uso descritto sia tradizionale, non mancano casi di usi diversi.

Lasciando da parte le parentesi graffe, il cui uso è piuttosto raro nei testi di carattere umanistico [36], vanno infine ricordati alcuni usi particolari delle parentesi invalsi in ambito linguistico: le parentesi quadre sono usate per citare — in trascrizione fonetica[37] — suoni o foni (per es.: "la nasale [ŋ]"); i fonemi di una lingua, invece, si citano tra due barre ("il fonema /δ/ dell'inglese"); le parentesi uncinate si usano per fare riferimento a "grafemi" o unità grafiche o lettere (es.: "nei testi giudeo-persiani, <p> rappresenta sia l'occlusiva, sia la fricativa labiale sorda"), e per citare parole o brani in traslitterazione (come si è già detto, per la trascrizione, almeno per numerose lingue vicino e medio-orientali, si usa normalmente il corsivo).

Se le parentesi sono inserite all'interno di una frase (questo è il caso più frequente), il segno di punteggiatura richiesto dalla frase in cui è inserito l'inciso viene posto dopo la parentesi (vedi gli esempi contenuti in questo stesso periodo). (Diverso è il caso di una frase, o di un periodo, posti per intero tra parentesi, come in questo caso.) Solo se l'inciso posto tra parentesi si conclude con un punto esclamativo o con un punto interrogativo, questi segni precedono (come è ovvio!) la chiusura della parentesi.

 

II.3.7. Le citazioni

Quando si deve riportare una citazione, questa può essere data nel corpo della tesi, racchiusa — come si è già detto — tra virgolette doppie. Altrimenti, soprattutto se si tratta di una citazione lunga, essa può essere separata dal testo principale, e riportata — possibilmente con margini verticali rientrati rispetto a quelli del testo della tesi, e anche redatta con un carattere di corpo più piccolo — fra due spaziature verticali (come nell'esempio dato nel paragrafo 3.5., "L'uso del corsivo") . In quest'ultimo caso, il testo citato non va racchiuso tra virgolette, perché la collocazione separata dal testo già indica che si tratta di una citazione. Si può anche scegliere per le citazioni un doppio regime, collocando quelle brevi nel testo, e quelle lunghe fuori.

        Tutte le volte che si cita, bisogna fornire l'indicazione esatta del testo e della pagina o delle pagine da cui si cita. Questo si può fare facendo seguire al testo della citazione una nota, che contenga il riferimento bibliografico in questione, o anche fornendo il riferimento in forma abbreviata tra parentesi, dopo la citazione stessa (circa i modi di riferimento bibliografico, vedi sotto).

        Quando si cita, bisogna fare attenzione a non alterare il testo citato, perfino nel caso in cui vi siano evidenti errori ortografici, grammaticali, o di contenuto (diverso è il caso di banali errori di stampa, che vanno corretti). Chi cita può prendere le distanze da tali eventuali errori inserendo, tra parentesi quadre, l'avverbio latino sic, "così", seguito o meno dal punto esclamativo [sic!]. Con tale espressione, chi scrive indica che è così nel testo citato. Autori di tendenze moderniste preferiscono segnalare la loro presa di distanze — particolarmente in riferimento ai contenuti espressi da un altro autore — soltanto con il punto esclamativo, sempre tra parentesi quadre: [!]. L'unica libertà che chi cita può prendersi nei riguardi del testo citato concerne la possibilità di sostituire l'iniziale maiuscola alla minuscola nella prima parola della citazione, nel caso in cui il brano citato non cominci dopo un punto fermo. L'uso di puntini di sospensione racchiusi entro parentesi quadre, che segnalano tagli nella citazione, è superfluo all'inizio e alla fine del brano citato (sulla questione vedi sopra, par. II.3.6.).

        Le citazioni da testi in lingue europee vanno preferibilmente lasciati nella lingua originale. Invece, le citazioni da testi in lingue orientali vanno tradotte; il testo originale può essere fornito accanto alla traduzione — in grafia originale o in trascrizione/traslitterazione — nel testo o in nota.

        Una diversa e più fondamentale questione riguarda la scelta dei brani da riprodurre in citazione. Chi cita deve porre attenzione nello scegliere i punti salienti e più significativi del testo da cui cita, e nel collocarli nel punto giusto del proprio discorso. Bisogna evitare di appesantire il testo della tesi con citazioni troppo frequenti e troppo lunghe, e soprattutto immotivate.

        Dopo le citazioni, soprattutto quelle di una certa lunghezza inserite nel testo, è opportuno andare a capo (circa le citazioni disposte fuori testo, precedute e seguite da spaziatura verticale, vedi sopra).

 

II.4.  Abbreviazioni e termini usati nella redazione di testi scientifici

Nella redazione di testi scientifici si usano alcuni termini caratteristici del linguaggio scientifico, spesso mutuati dal latino, e alcune abbreviazioni entrate nell'uso:

·       p. "pagina". Si usa nelle citazioni bibliografiche, seguito dal numero della pagina, se si fa riferimento a una sola pagina del testo citato o indicato. Da evitare "pag.".

·       pp. "pagine". Si usa, seguito dai numeri relativi all'intervallo di pagine in questione, se si fa riferimento a più pagine; o, in bibliografia, per indicare gli estremi delle pagine occupate da un articolo. Per esempio: "pp. 5-14". Circa l'indicazione dei numeri, esistono due scuole di pensiero: quella — cui appartiene chi scrive — secondo la quale i numeri vanno riportati sempre per esteso (es.: "pp. 20-25", "pp. 344-347"); e quella che, per evitare ridondanze, sottintende le decine, le centinaia, ecc., se sono le stesse (es.: "pp. 20-5", "pp. 344-7"; ma: "pp. 344-57", se solo la cifra delle centinaia resta la stessa). Se c'è bisogno di fare riferimento a più intervalli di pagine, questi si separano con la virgola o con il punto e virgola (si raccomanda di fare sempre allo stesso modo): "pp. 20-25; 344-347". Se si fa riferimento a più pagine singole del testo richiamato, i numeri relativi alle pagine possono essere separati dalla virgola o dal punto e virgola, e l'abbreviazione può essere al singolare (p.) o al plurale (pp.). Per es.: "p. 56; 48; 90", oppure "pp. 46, 48, 90". Anche in questo caso, si raccomanda la coerenza. Particolarmente con il "sistema autore-data", ma anche nella citazione bibliografica tradizionale, le abbreviazioni "p." o "pp.", davanti al numero di pagina, possono essere omesse, perché si capisce dalla "sintassi" della citazione che i numeri in questione indicano le pagine.

·       f. "folio/foglio" (oppure c. "carta") si usa per fare riferimento alle "pagine" dei codici manoscritti. Nei libri manoscritti la numerazione non è data per pagine (paginazione), ma per fogli (foliazione o foliotazione), generalmente apposta sul recto di ogni foglio o carta, cioè quella facciata che appare per prima seguendo il senso di lettura del testo [38]. Per distinguere le facciate, si fa seguire al numero del foglio l'abbreviazione r (recto) o v (verso), in apice o meno. Per esempio: "f. 24r", "f. 24v". Da evitare l'uso delle lettere a e b per fare riferimento rispettivamente al recto e al verso del foglio: "f. 24a", anziché: "f. 24r".

·       vol. "volume". Si usa per introdurre il numero del volume di un'opera in più volumi da cui si cita, o cui si fa riferimento. Il numero del volume in genere è dato in numeri romani, ed è seguito dal numero della pagina o delle pagine citate. Anche in questo caso, come già si è detto a proposito delle abbreviazioni relative alle pagine, l'abbreviazione "vol." può mancare. Per es.: "Cfr. Grundriss der iranischen Philologie, I,2, 28", significa volume I, tomo 2°, pagina 28.

·       voll. "volumi". Nella citazione di un'opera in bibliografia, se quest'ultima è in più volumi, l'abbreviazione "voll.", preceduta dal numero arabico, introduce l'indicazione del numero totale di volumi che compongono l'opera: "3 voll.". In inglese, e anche in francese, si abbrevia "vols.".

·       col. "colonna", coll. "colonne" (in inglese e in francese: "cols."). Queste abbreviazioni si usano quando il riferimento è non alle pagine, ma alle colonne di un'opera impaginata su più colonne, e numerate autonomamente (questo avviene talvolta per le enciclopedie o per i dizionari). Altrimenti, se l'opera impaginata su colonne non presenta una numerazione per colonne, ma per pagine, e se chi cita vuole fare riferimento a una colonna precisa, la colonna può essere indicata con una lettera, minuscola o maiuscola; per esempio: "cfr. p. 48a".

·       par. "paragrafo". In alternativa, il riferimento a un particolare paragrafo di un'opera può essere introdotto dal simbolo § (o §§, se si fa riferimento a più paragrafi), seguito dal numero del paragrafo. La citazione del numero del paragrafo non esime dal dover citare anche la pagina o le pagine. Per es. "Cfr. §. 8, pp. 12-15".

·       cap. "capitolo".

·       supra "sopra". Per il suo uso, vedi "cfr.".

·       infra "sotto". Per il suo uso, vedi "cfr.".

·       v. "vedi". Per il suo uso, vedi "cfr.". In contesti in cui si parli di poesia, può essere l'abbreviazione di "verso", plurale "vv.".

·       cfr. (o soltanto cf.; quest'ultima forma è usata nei testi in lingua inglese, meno usata se si scrive in italiano) confer, "reca insieme, confronta (imperativo)". Si usa in nota, o nel testo, se il riferimento è introdotto con il "sistema autore-data" (vedi oltre, par. II.5.4.), quando il riferimento bibliografico serve ad appoggiare, a giustificare o a chiarire un'affermazione fatta da chi scrive, e facoltativamente a rinviare al testo da cui è tratta una citazione. Per rinvii ad altre parti del testo della tesi, cioè per rinvii interni, invece, si preferisce usare l'imperativo "vedi", anche abbreviato (v.): "Vedi cap. 3". Per rinviare a ciò che è stato già trattato nel testo della tesi(na), o a ciò che segue, si scrive rispettivamente: "vedi sopra (o supra, in latino)", e "vedi sotto (o infra)". Al posto di "sotto", si può anche dire: "oltre".

·       ed. (o edd., al plurale, inglese eds.): è l'abbreviazione che introduce o segue il nome dell'editore scientifico, o curatore, di un volume, cioè lo studioso o gli studiosi che si fanno carico della raccolta e della pubblicazione di scritti di altri studiosi (atti di convegni; scritti composti per una qualche occasione o relativi a un certo argomento, ecc.), assumendosene la responsabilità scientifica. L'editore scientifico o curatore non va perciò confuso con l'editore commerciale, o casa editrice. In italiano il nome dell'editore scientifico è generalmente introdotto nel frontespizio del libro dalla formula "a cura di …"; in inglese da: "edited by …"; in tedesco da: "herausgegeben von …". L'abbreviazione "ed." può sostituire la formula del frontespizio, quale che sia la lingua in cui esso è espresso. L'abbreviazione "ed." può anche rappresentare l'abbreviazione della parola "edizione" (es.: 3a ed.).

·       Eadem/Ead., latino "la stessa". Vedi "Idem".

·       Eiusdem, latino "dello/-a stesso/-a". Vedi "Idem".

·       Idem, latino "lo stesso, il medesimo" (abbreviato Id.). Si usa al posto del nome dell'autore, quando, in una bibliografia o in nota, si citano due o più opere di uno stesso autore, per evitare di ripetere il nome stesso. Se l'autore è una donna, è bene usare il femminile del pronome latino, sempre al nominativo: Eadem, "la stessa" (abbreviato Ead.). L'uso del pronome al genitivo, Eiusdem, o nella variante grafica Ejusdem, "dello/-a stesso/-a", è anche possibile, anche se appare alquanto pedante. Se, come in genere si raccomanda di fare, i nomi degli autori sono dati in maiuscolo o in maiuscoletto, anche Idem/Id. e Eadem/Ead. vanno nello stesso formato.

·       ibidem, latino "lì stesso", abbreviato ibid. Si usa quando, in due note consecutive, si cita sempre dalla stessa opera, per non ripetere il riferimento bibliografico. Ibidem può essere usato sia per fare riferimento alla stessa opera precedentemente citata, anche se la pagina cui si fa riferimento è diversa (in tal caso si fa seguire il numero della nuova pagina: Ibidem, p. 49); sia per indicare un'identità completa (stessa opera già citata, e anche stessa pagina).

·       ivi "lì, in quel luogo": è usato con lo stesso valore di ibidem, per rinviare a un passo precedentemente citato. Il collega D'Intino segnala: "Alcuni editori (tra cui Salerno) richiedono 'ivi' per la stessa pagina, e 'ibidem' per un'altra pagina nella stessa opera". Quindi, ci si può attenere a questa norma. Si deve invece evitare di usare nella tesi(na) entrambi i termini "ibidem" e "ivi", se questi vengono usati con lo stesso valore. Si scelga o l'uno, o l'altro.

·       op. cit., vedi "cit.".

·       cit. "citato/-a". Si può mettere dopo il titolo di un'opera dato in forma ridotta o abbreviata, per avvertire che l'opera è stata già citata in forma estesa in una nota precedente. Per es.: "Cfr. Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody, cit. (oppure: cit. a nota 6)". Da evitare l'abbreviazione op. cit., dal latino opere citato, "nell'opera citata" (in corsivo perché in latino, e perché sostituisce un titolo), troppo generica, perché non permette di identificare con qualche certezza di quale opera già citata si stia parlando.

·       passim, latino "sparsamente, qui e là". Si usa, sempre in corsivo, trattandosi di una parola non italiana, quando nella citazione bibliografica non si può fare riferimento a una o più pagine precise, perché l'argomento è trattato a più riprese, in più punti del testo citato.

·       n.s. (o anche N.S.) "nuova serie". Nella pubblicazione di un periodico, la numerazione dei volumi può, a partire da un certo anno, ricominciare da capo, iniziandosi così una nuova serie. Nella citazione bibliografica si fornisce il numero del volume secondo la nuova numerazione, preceduto dall'abbreviazione n.s., ed accompagnato — se il frontespizio lo riporta — anche dal numero del volume secondo la vecchia numerazione: 81, n.s. 20 (2001).

·       s.l. "sine loco/senza luogo". In una citazione bibliografica, si usa quando dal frontespizio, o da altri luoghi dell'edizione citata, non si può desumere quale sia il luogo di pubblicazione. Nella "sintassi" della citazione, si mette al posto del luogo di pubblicazione (vedi oltre).

·       s.d. "sine data/senza data". In una citazione bibliografica, si usa quando dal frontespizio, o da altri luoghi dell'edizione citata, non si può desumere quale sia la data di pubblicazione. Nella "sintassi" della citazione, si mette al posto dell'anno di pubblicazione.

·       s.n.t. "senza note tipografiche", o note di pubblicazione, cioè senza indicazioni di luogo e di data di pubblicazione, né di editore (o di tipografo, per i libri antichi).

·       s.v. (l'abbreviazione può anche essere data in corsivo, trattandosi dell'abbreviazione di un'espressione latina) "sub voce". Si usa quando si cita o si fa riferimento a una voce particolare di un'enciclopedia o di un dizionario. Per esempio (a proposito di una determinata parola persiana discussa nel testo): "Cfr. F. Steingass, A Comprehensive Persian-English Dictionary, New Delhi, Second Indian edition, 1981, s. v.".

·       AA.VV., vedi et alii.

·       et alii, anche abbreviato et al. "e altri". Si usa, nei riferimenti bibliografici, quando si tralascia di riportare i nomi di tutti i curatori di una pubblicazione, se sono più di due. In questo caso, si dà solo il primo nome che compare nel frontespizio, seguito dall'abbreviazione et al., o dalla forma per esteso et alii, generalmente in corsivo. Questa espressione, posta dopo il primo nome menzionato nel frontespizio dell'edizione, può anche essere usata, nella citazione bibliografica, quando si cita un'opera dovuta a più di tre autori. In questo caso, tuttavia, l'opera può essere citata sotto il titolo. Da evitare l'uso dell'acronimo AA.VV. "autori vari".

·       ms. manoscritto (plurale: mss.). Si usa seguito dalla segnatura del manoscritto o dei manoscritti in questione (per il termine "segnatura", vedi sopra, par. I.8).

Altre abbreviazioni che possono trovarsi usate in testi di carattere scientifico sono: e.g.=exempli gratia "per esempio"; i.e. (anche in corsivo)=id est "cioè"; sc. o scil.=scilicet "vale a dire, cioè"; loc. cit.=loco citato, "nel luogo citato", che però è meglio non usare, essendo oggi un'espressione obsoleta, e di significato ambiguo (così come l'abbreviazione op. cit., per cui vedi sopra); a.a.O.=am angeführten Ort, "nel luogo citato", usato solo in testi in tedesco, e di significato equivalente a loc. cit.

 

II.5.  Le note e la bibliografia

Le note (o più esattamente le note al testo) e la bibliografia rappresentano due costituenti essenziali di una tesi o tesina, come di qualsiasi lavoro di carattere scientifico, perché rappresentano le vie attraverso le quali chi legge può esercitare un controllo e una verifica circa ciò che viene affermato dall'autore. Tra questi due elementi vi è spesso un rapporto di complementarità; perciò vengono trattati insieme.

Circa il modo d'impostare le note e la bibliografia non si possono dare norme troppo rigide: tutto dipende dal tipo di tesi o tesina assegnata; dal tipo di testi sui quali si lavora (testi antichi, testi moderni) e dal tipo di bibliografia consultata; e dalle esigenze imposte dal tipo di ricerca svolta.

 

II.5.1. Le note

        Ci sono due tipi di note: le note di riferimento, e le note di contenuto. Le prime servono a riportare un riferimento di carattere bibliografico, che può essere dato in forma estesa o abbreviata; le seconde servono a introdurre chiarimenti, commenti o ampliamenti del testo.[39] Esiste poi il caso, in realtà molto frequente, di note che adempiono ad entrambe queste funzioni, di riferimento bibliografico e di contenuto allo stesso tempo.

        In generale è bene non eccedere nell'uso delle note, per evitare che chi legge debba continuamente passare dal testo alle note, perdendo il filo del discorso. Perfino delle note di riferimento bibliografico, che in determinati casi sono assolutamente necessarie (come ad esempio dopo una citazione), bisogna fare un uso oculato. Sarebbe erroneo ritenere che la scientificità di un lavoro si misuri sulla base del numero e della lunghezza delle note; la presenza di note zeppe di riferimenti bibliografici inutili, recati solo per pompa, è spia piuttosto della debolezza come studioso di chi scrive, ed è un fastidio per chi legge.

        Quanto alle cosiddette "note di contenuto", il consiglio di non abusarne è ancora più risoluto. La presenza di un numero eccessivo di note contenenti ampliamenti e commenti al testo è sintomo di un'insufficiente elaborazione della materia trattata, e altera l'equilibrio tra testo e note. Infatti, se il discorso della tesi è costruito sapientemente, non dovrebbe esserci bisogno di questo tipo di note: quello che è importante va nel testo, trattato nel punto più opportuno; quello che non lo è può essere taciuto. In nota si possono semmai riportare informazioni accessorie e collaterali rispetto al discorso svolto nel testo, ma sempre cercando di evitare note troppo lunghe. Nelle note è bene evitare di andare a capo, anche perché non dovrebbe essercene bisogno.

        Le note possono essere riportate a piè di pagina, o raccolte in un elenco finale. La prima soluzione è preferibile, perché facilita chi legge.

 

 

        II.5.2. La bibliografia

        La bibliografia alla fine della tesi (come quella fornita alla fine di un articolo) dovrebbe — a parere di chi scrive — riportare solo i testi che sono stati effettivamente utilizzati e citati nel corpo della tesi. La bibliografia serve infatti a raccogliere — nell'ordine alfabetico del cognome dell'autore delle opere citate — tutti i riferimenti bibliografici dati in forma estesa o abbreviata nel corso della tesi, per permettere a chi legge di reperire agevolmente le informazioni relative, e di farsi velocemente un'idea di quali siano i testi e la letteratura critica consultata. Se le informazioni bibliografiche sono già state date per esteso nelle note, la bibliografia finale potrebbe perfino essere non necessaria (e nella redazione di brevi articoli, infatti, può essere omessa).

        La presenza in bibliografia di un'opera cui non si sia fatto riferimento in precedenza è criticabile: o l'opera non si è rivelata attinente all'argomento trattato o interessante ai fini della ricerca svolta, e allora è inutile citarla in bibliografia (d'altra parte, un'opera può essere anche citata, nel testo o in nota, in modo critico); oppure la sua presenza in bibliografia, senza che essa appaia essere stata utilizzata nella redazione del testo e citata nelle note, indica che chi scrive non ha saputo farne buon uso, e che non ne ha tratto alcuna indicazione utile. In questo caso, la sua inclusione nella bibliografia equivale all'inclusione di un'opera che non sia stata effettivamente consultata, cosa che non si dovrebbe fare.[40]

         La bibliografia finale, dunque, non dovrebbe essere intesa come una ricerca di carattere bibliografico fine a se stessa. Un saggio bibliografico che completasse la tesi costituirebbe un lavoro di grande utilità; ma sarebbe cosa diversa dalla bibliografia finale di una tesi.

E' inoltre opportuno escludere dalla bibliografia quelle opere cui si sia fatto riferimento nel corpo della tesi, ma che non abbiano un'attinenza diretta con l'argomento di essa. Se per esempio in una tesi di dialettologia araba per qualche curioso motivo volessi citare un'opera, o un passo di un'opera di Freud, dando in nota il relativo riferimento bibliografico, non per questo dovrei sentirmi in dovere di riportare l'opera in bibliografia. (Nella composizione di una tesi sarebbe comunque meglio non divagare.) Così pure, se volessi fare riferimento a un canto della Divina Commedia in generale, non ci sarebbe bisogno di citare alcuna edizione di essa, né in nota, né in bibliografia. 

        Infine, in bibliografia normalmente non si cita la "letteratura secondaria" (manuali, enciclopedie, dizionari, repertori bibliografici), se tali testi sono citati in quanto tali. Si dà cioè per scontato che chi ha redatto la tesi abbia consultato gli strumenti di base della ricerca in quel settore. Diverso è il caso in cui si debba citare un particolare capitolo di un manuale o una particolare voce di un'enciclopedia o di un dizionario. Per esempio:

 

TISSERANT, Eugène, s.v. Nestorienne (L’Église), in Dictionnaire de théologie catholique, vol. XI, Paris 1931, coll. 157-323.

 

II.5.3. I riferimenti bibliografici in nota

Tutte le volte che, nel corpo della tesi(na), si citi un testo, oppure si riferiscano ― anche senza citare la lettera del testo ― il pensiero o le informazioni date da un altro autore, e in generale tutte le volte che si faccia qualsiasi affermazione che richieda di essere sostenuta e corroborata dal rinvio a un'altra opera, bisogna fornire in nota il riferimento bibliografico relativo.

I riferimenti bibliografici necessari nella stesura della tesi vengono generalmente forniti una prima volta in nota, dove cade acconcio citarli, e poi riportati nella bibliografia. Lo stile della citazione bibliografica (su cui vedi oltre) è lo stesso, con la differenza che in nota il nome, per intero o puntato, precede il cognome, senza la virgola tra nome e cognome; mentre in bibliografia — dato che le varie "entrate" vanno disposte nell'ordine alfabetico del cognome dell'autore — è preferibile che il cognome preceda il nome, separato da questo con una virgola.[41] In nota, inoltre, non basta fornire l'indicazione bibliografica in astratto (a meno che non si voglia fare riferimento a un'opera in generale), ma bisogna fornire anche l'indicazione precisa del volume (nel caso di un'opera in più volumi) e della pagina o delle pagine da cui si cita, o cui si rinvia.

In nota, il riferimento può essere dato in forma estesa la prima volta che esso occorre, e in forma abbreviata se capita di dover citare di nuovo la stessa opera; oppure scegliendo fin dall'inizio di darlo in forma abbreviata, e rinviando alla bibliografia, o ad una apposita lista delle sigle e delle abbreviazioni bibliografiche, la forma completa di esso. Si può anche scegliere un regime misto, citando in forma abbreviata o attraverso delle sigle (sciolte nella lista delle sigle e delle abbreviazioni) le opere cui si fa riferimento più spesso nella tesi, e in forma estesa le altre opere.

        I modi per dare in nota un riferimento bibliografico in forma abbreviata o ridotta sono vari:

a)   fornire il solo cognome dell'autore (in genere — come si vedrà — in caratteri maiuscoli o in maiuscoletto), seguito dalle prime parole del titolo, o dal titolo senza eventuali sottotitoli (in corsivo):

 

3 Cfr. Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody, p. 36.

 

Se l'opera in questione è stata già citata in forma estesa, si può — per aiutare il lettore — rinviarlo al luogo in cui l'opera è stata citata per la prima volta, per esteso:

 

3 Cfr. Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody cit. a nota 1, p. 36.

 

Questo tuttavia non è necessario, perché il lettore che non ricordasse dove l'opera è stata citata per esteso troverebbe comunque in bibliografia l'indicazione completa:

 

Thiesen, Finn, A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.

 

b)   fare uso di vere e proprie abbreviazioni, come per esempio una sola parola del titolo di un'opera, senza neanche il cognome dell'autore:

 

3 Cfr. Prosody, p. 36.

 

oppure fare uso di sigle, come ad esempio l'acronimo, cioè le lettere iniziali, del titolo di un'opera:

 

3 Cfr. GIPh, vol. I,2, pp. 28-29.

 

In questo caso, naturalmente, la lista delle sigle e delle abbreviazioni bibliografiche, con la forma completa del riferimento bibliografico, è obbligatoria.[42] Il simbolo "=", oppure i due punti, introducono lo scioglimento della sigla:

 

SIGLE E ABBREVIAZIONI

 

GIPh = Grundriss der iranischen Philologie, herausgegeben von W. Geiger und E. Kuhn, Strassburg, Karl J. Trübner, 1895-1904, 2 voll.  (vol. I in 2 tomi + una appendice; vol. II in 2 tomi) [ristampa anastatica: Berlin - New York, Walter de Gruyter, 1974].

Prosody = Finn Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.

 

II.5.4. Il "sistema autore-data"

Vi è un particolare modo di riferimento bibliografico, il cosiddetto "sistema autore-data", con il quale un'opera è identificata esclusivamente dal cognome dell'autore e dalla data in cui essa è stata pubblicata. Questo sistema permette di richiamare direttamente nel testo, tra parentesi tonde, una pubblicazione, evitando l'uso di note di riferimento. Per esempio: "Secondo Thiesen (1982, p. 45), …"; oppure: "Le parole terminanti in -a (cfr. Thiesen 1982, p. 50)…". Come si è visto sopra, a proposito delle parentesi, si usano le parentesi quadre se il riferimento è a sua volta compreso tra parentesi tonde. Per esempio: "… (diverso è il parere di Thiesen [1982, pp. 26-30] sulla questione)".[43]

Naturalmente, la bibliografia finale si presenterà con il nome dell'autore (sempre nell'ordine alfabetico del cognome) seguito immediatamente dall'anno di pubblicazione:

 

Thiesen, Finn 1982: A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz.[44]

 

        Se di un autore sono citate più opere, queste nella bibliografia verranno riportate in ordine cronologico, da quella pubblicata prima a quella più recente. Se poi dello stesso autore sono citate più opere pubblicate nello stesso anno, queste verranno distinte per mezzo di una lettera dell'alfabeto che segue immediatamente l'anno. Per esempio: "Secondo Lazard (1968a, p. 79), …". Queste lettere devono distinguere le pubblicazioni anche nella bibliografia:

 

Lazard, Gilbert 1957: Grammaire du persan contemporain, Paris, Klincksieck.

Lazard, Gilbert 1963: La langue des plus anciens monuments de la prose persane, Paris, Klincksieck.

Lazard, Gilbert 1968: Les prépositions pa(d) et bē (ō) en persan et en pehlevi, in Studia grammatica Iranica. Festschrift für Helmut Humbach, München, pp. 245-255.

Lazard, Gilbert 1968a: La dialectologie du judéo-persan, “Studies in Bibliography and Booklore”, 8, pp. 77-98.

 

Il sistema di riferimento bibliografico "autore-data", oggi molto diffuso, è indicato particolarmente per ricerche che utilizzino esclusivamente bibliografia recente (sarebbe strano fare riferimento in questo modo a edizioni di opere antiche) e per fare riferimento alla letteratura critica (meno indicato è questo tipo di riferimento per citare fonti storiche o letterarie, opere cioè che abbiano tante e diverse edizioni).

Un modo per utilizzare questo tipo di sistema di riferimento bibliografico anche in una tesi che citi fonti e testi antichi, sarebbe quello di dividere la bibliografia in due sezioni: quella delle "fonti", e quella della "letteratura critica". Si potrebbe così decidere di richiamare, in nota o nel testo, le opere contenute nella prima sezione secondo uno dei modi di riferimento bibliografico già descritti (per esteso, o in forma ridotta o abbreviata); e le opere contenute nella sezione della letteratura critica con il "sistema autore-data".[45]

 

II.6.  La grammatica bibliografica (Bruno Lo Turco)*

 

II.6.1. Norme generali

La grammatica bibliografica, che qui sotto descriveremo assai sinteticamente, si occupa di come redigere le notizie che servono a rappresentare e identificare il documento.

La citazione bibliografica differisce da quella catalografica, ossia da quella utilizzata nei cataloghi delle biblioteche: è più sintetica e non è sottoposta a regole altrettanto rigide.

Non esiste un solo stile di citazione bibliografica. I diversi stili e modi di citazione bibliografica possono variare a seconda del numero degli elementi forniti per descrivere una pubblicazione, dell'ordine con cui questi sono presentati, e dello stile redazionale con cui sono offerti (corsivo, virgolette, ecc.); e a seconda del maggiore o minore grado di fedeltà al frontespizio. E' possibile infatti riportare per esteso la lettera del frontespizio, con eventuali sottotitoli e indicazioni aggiuntive; oppure limitarsi ai dati essenziali, ed eventualmente fornire in maniera sintetica e "formalizzata" le ulteriori informazioni. Anche un medesimo autore, a distanza di tempo, può cambiare stile di citazione.

Nella citazione bibliografica sono indicati gli elementi atti a permettere al fruitore l’identificazione certa di un documento; per esempio nel caso di un libro: nome dell’autore, titolo, luogo di pubblicazione, casa editrice, data di pubblicazione, serie o collana.

In una bibliografia va rispettato assolutamente il criterio dell’uniformità: ogni singola citazione bibliografica deve essere composta rispettando una sintassi, ossia un ordine stabilito. È da tenere presente che nell’ambito di quest’ordine la punteggiatura ha un significato preciso.

Nel caso che la bibliografia finale sia divisa in due sezioni: quella delle "fonti" e quella della "letteratura critica" (vedi sopra, par. II.5.4.), si possono scegliere due stili di citazione diversi per i documenti compresi nelle due sezioni. Se per esempio la prima sezione include libri antichi, per questi ultimi si può adottare uno stile di citazione che riproduca fedelmente perfino le caratteristiche ortografiche (abbreviazioni, uso delle maiuscole, ortografia storica) e tipografiche (disposizione delle linee e ritorni a capo) del frontespizio.

Qui di seguito si descrivono alcuni tra i possibili stili, i più usuali, della citazione bibliografica.

Per reperire i dati necessari alla compilazione della citazione si faccia innanzitutto riferimento al frontespizio.

 

II.6.2. La sintassi bibliografica

La citazione bibliografica è composta di elementi, quali il nome dell’autore, il titolo del libro, la data di pubblicazione, ecc.

Generalmente, nel caso di monografie, gli elementi della citazione si dispongono nell’ordine che segue: cognome, nome dell’autore (o dell'editore scientifico) nel caso di citazione in una bibliografia (nome e cognome nel caso di citazione in nota), titolo, luogo di pubblicazione, casa editrice (omessa nelle bibliografie di genere più sintetico), anno di pubblicazione, numero dei volumi, numero complessivo delle pagine (omesso nelle bibliografie sintetiche), collana (se il documento appartiene a una collana o serie). L'indicazione della collana può essere data anche dopo il titolo.

Per separare un elemento della citazione dall’altro si usa la virgola (in alternativa è possibile impiegare il punto alla fine del titolo). La virgola può essere omessa tra luogo e anno di pubblicazione (nel caso si ometta la casa editrice). La virgola inoltre — come qualsiasi altro segno di punteggiatura — è omessa prima dell'apertura di una parentesi; in certi stili di citazione bibliografica, la virgola può essere omessa anche dopo la chiusura della parentesi. Qui di seguito saranno date tra l’altro alcune indicazioni di base sul trattamento degli elementi, tra cui quelle che riguardano la presentazione tipografica (o design).

 

David Gordon White, The Alchemical Body, Chicago 1996.

D. Nuehrmann, Il libro dei componenti elettronici, Padova 1980 (Manuali di elettronica applicata 32).

Bucknell, R.S., Sanskrit Manual. A Quick-reference Guide to the Phonology and Grammar of Classical Sanskrit, Delhi, Motilal Banarsidass, 1994, 262 pp.

 

Nel caso di adozione del sistema autore-data (vedi sopra, par. II.5.4.), nella bibliografia finale l’anno di pubblicazione seguirà immediatamente il nome dell’autore e precederà il titolo. Potrà essere tra parentesi tonde, oppure tra virgole o, ancora, seguito da due punti.

 

Bucknell, R.S. (1994) Sanskrit Manual. A Quick-reference Guide to the Phonology and Grammar of Classical Sanskrit, Delhi.

Potter, K.H., 1995, Encyclopaedia of Indian Philosophies, vol. I: Bibliography, 3rd ed., Delhi.

Lanza, Antonio 1992: Norme grafiche. Un prezioso sussidio per laureandi e giovani studiosi, Anzio, De Rubeis.

 

Potrà inoltre essere evidenziato graficamente come segue:

 

Martinucci, Andrea

1994   Guida alla bibliografia internazionale. Milano, Editrice bibliografica. 

 

Per separare serie paritarie, come per esempio diverse serie di numeri di pagina, si usa il punto e virgola. Nell’esempio che segue, il libro è dotato di due serie di numeri di pagine: una di 22 pagine (numerate con numeri romani) e una di 327 pagine (numerate con numeri arabi):

 

K.H. Potter, 1995, Encyclopaedia of Indian Philosophies, vol. I: Bibliography, 3rd ed., Delhi, XXII; 327 pp.

 

L'autore

Il nome dell’autore sarà generalmente in maiuscoletto, e mai in corsivo. Se il documento ha più di un autore, nella citazione i nomi si dispongono nello stesso ordine con cui compaiono sul frontespizio, separati dalla virgola, o da un trattino corto preceduto e seguito da spaziatura. Talora il documento può essere citato sotto il nome dell’editore scientifico (o curatore). La presentazione tipografica del nome dell’editore scientifico è identica a quella dell’autore. Unica differenza è che il nome dell’editore scientifico si fa seguire da "(ed.)". L’editore scientifico può essere più di uno; in questo caso i nomi si fanno seguire da "(edd.)", o da "(eds.)" se il testo cui la bibliografia si riferisce è in inglese. Altrimenti, l'indicazione del curatore può essere data per esteso così come appare nel frontespizio dell'opera: la formula desunta dal frontespizio viene in questo caso riportata in tondo, dopo il titolo, preceduta dal punto o dalla virgola. Esempi:

 

Cordasco, F. (ed.) (1992) Theodore Besterman, Bibliographer and Editor. A Selection of Representative Texts, Metuchen (N.J.).

Crowley, R.T., Sheppard, H.E. (edd.) (1985) International Acronyms, Initialism & Abbreviations Dictionary. A Guide to Over 90.000 Foreign and International Acronyms, Detroit.

Scribes et manuscrits du Moyen-Orient, sous la direction de François Déroche et Francis Richard, Paris, Bibliothèque Nationale de France, 1997.

 

Il documento sarà citato sotto il nome dell’editore scientifico nei seguenti casi: il documento è una poligrafia (o raccolta miscellanea); il frontespizio non riporta il nome di un autore; sul frontespizio sono menzionati più di tre autori; il nome dell’autore è parte del titolo. Se gli autori sono più di tre, ma non è noto il nome dell’editore scientifico, si riporta solo il nome del primo autore seguito dall’indicazione et al.; indicazioni del genere AA.VV. sono da evitare assolutamente. In alternativa, in tutti questi casi il documento si può citare sotto il titolo; anche se l'indicizzazione sotto il titolo, come pure quella sotto il nome di un eventuale "ente autore" (vedi sopra, par. I.7.1.1.), usuali in ambito bibliotecario e catalografico, sono meno usate nelle bibliografie.

 

 

Il titolo

Il titolo sarà in corsivo. L’uso delle maiuscole nei titoli segue le convenzioni proprie della lingua dei titoli stessi (nei titoli inglesi, generalmente, si usano le iniziali maiuscole per tutte le parole, esclusi articoli, preposizioni e congiunzioni). La punteggiatura è sempre in tondo, con l’eccezione delle virgole che possono apparire nel corso di un titolo e che ne fanno parte integrante.

Il titolo primario può essere separato con un punto dal titolo secondario (anche se il frontespizio stesso riporta i due punti o altri segni di punteggiatura o nessun segno di punteggiatura). Altrimenti, si mantiene la punteggiatura del frontespizio. Indicazioni aggiuntive date dal frontespizio dopo il titolo (es.: Giornate di studio sul tema …; Atti del convegno …, con il luogo e la data in cui un certo convegno si è svolto) possono essere omesse, oppure riportate in tondo dopo il titolo vero e proprio. Esempi:

 

Fragner, Bert G. et alii (edd.), Proceedings of the Second European Conference of Iranian Studies, held in Bamberg, 30th September to 4th October 1991 by the Societas Iranologica Europaea, Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1995 (Serie Orientale Roma, vol. LXXIII).

oppure:

Fragner, Bert G. et alii (edd.), Proceedings of the Second European Conference of Iranian Studies, Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1995 (Serie Orientale Roma, vol. LXXIII).

 

L'indicazione di edizione

Se il documento che si descrive non fornisce diversa indicazione, si deve intendere che quel documento è una prima edizione. In questo caso l’indicazione di edizione si omette. Altrimenti, l'indicazione di edizione può essere data in tondo, dopo il titolo, in forma sintetica (es.: "3a ed."), o per esteso, così come è data nel documento:

 

Pensato, R. (1995) Corso di bibliografia, 3a ed., Milano (Bibliografia e biblioteconomia 28).

Catalogo dei periodici esistenti in biblioteche di Roma, Terza edizione accresciuta, Roma 1985.

 

L’indicazione di edizione può essere posta in forma di esponente dopo l’anno di pubblicazione. Per esempio, l’indicazione 19832 fa riferimento alla seconda edizione, pubblicata nell’anno 1983, di una determinata opera:

 

R. Pensato, Corso di bibliografia, Milano, 19953 (Bibliografia e biblioteconomia 28).

 

Se l’indicazione d’edizione si trova nel frontespizio ed entra a far parte del titolo, sarà parte del titolo anche nella citazione:

 

Battaglini, M., Novelli, T. (edd.) Codice di procedura civile e leggi complementari con il commento della giurisprudenza della Cassazione. Settima edizione, aggiornata con la giurisprudenza al 31 luglio 1984 e con la legislazione al 31 dicembre 1984, Milano, A. Giuffrè, 1985.

 

È necessario distinguere tra edizione e ristampa. Un’edizione successiva di una determinata opera comporta generalmente una revisione, un aggiornamento o, comunque, qualche tipo di modifica del contenuto; se il contenuto di un’opera rimane identico, siamo di fronte a una ristampa. Si noti che allorché le case editrici affermano che una certa opera è giunta alla terza o quarta edizione, ciò va inteso nel senso di terza o quarta ristampa (si veda per esempio l’elenco dei volumi pubblicati nella collana Biblioteca Adelphi alla fine di ciascun volume appartenente alla collana stessa). Mentre l’indicazione di edizione è sempre presente in una citazione bibliografica (giacché se la si omette, in effetti si fa riferimento a una prima edizione), le informazioni sulla ristampa sono generalmente taciute poiché non rilevanti in relazione all’identificazione di un determinato documento stampato. Talora può però essere opportuno riportare alcune informazioni relative alla ristampa di cui l’autore della bibliografia ha fatto uso, per esempio quando una ristampa implichi una paginazione differente da quella della stampa originale: in questo caso infatti i rimandi alle pagine del documento non sarebbero più necessariamente validi per il fruitore della bibliografia. Si indicheranno allora, tra parentesi quadre, quale ultimo elemento della citazione e preceduti dall’indicazione "ristampa:", luogo, casa editrice (se tale indicazione è prevista dalla bibliografia) e anno della ristampa alla quale si fa riferimento, in aggiunta ai dati relativi alla stampa originale.

 

Halbfass, W. (1988) India and Europe. An Essay in Philosophical Understanding, Albany, State University of New York [ristampa: Delhi, Motilal Banarsidass, 1990].

 

Opere in traduzione

Nel caso in cui un'opera sia stata consultata non in un'edizione nella lingua originale, ma in una traduzione, nella citazione bibliografica è bene fare riferimento all'edizione effettivamente utilizzata, dando tra parentesi quadre le informazioni relative all'edizione nella lingua originale. Queste in genere possono essere desunte dal frontespizio o da altri luoghi della pubblicazione stessa. Il nome del traduttore è dato tra parentesi tonde dopo il titolo. Se il traduttore si è limitato a tradurre, e non gli si deve anche un'importante introduzione, oppure se la traduzione non riveste un particolare valore (scientifico o letterario), il nome del traduttore può anche essere omesso. Viceversa, esso va indicato se è messo in evidenza nel frontespizio stesso dell'edizione che si cita. Per esempio:

 

Pedersen, Johannes, The Arabic Book. Translated by Geoffrey French. Edited with an Introduction by Robert Hillenbrand, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1984 (Modern Classics in Near Eastern Studies) [ed. originale: Den Arabiske Bog, Copenhagen 1946].

Said, Edward W., Orientalismo (traduzione italiana di Stefano Galli), Torino, Bollati Boringhieri, 1991 [ed. originale: Orientalism, New York 1978].

oppure:

Said, Edward W., Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 [ed. originale: Orientalism, New York 1978].

 

Se si è invece usata un'edizione nella lingua originale, ma si vuole fornire l'informazione supplementare che dell'opera in questione esiste anche una traduzione italiana, nella citazione bibliografica si fa riferimento all'edizione effettivamente usata, dando l'indicazione della traduzione tra parentesi quadre:

 

A. De Botton, How Proust Can Change Your Life, New York, Wiley, 1997 [trad. it. Come Proust può cambiarvi la vita, Parma, Guanda, 2003].

 

Note di pubblicazione: luogo, editore, data

Il luogo di pubblicazione sarà citato in tondo e nella lingua del libro. Se i luoghi di pubblicazione sono più d’uno, può essere citato soltanto il primo; altrimenti si citano tutti, separati da virgola, da trattino corto, o da barra obliqua.

L’indicazione relativa alla casa editrice può essere tralasciata (come avviene di solito nelle bibliografie date in forma sintetica) o riportata; l’importante è adottare un criterio preciso e seguirlo.

Nel caso di poligrafie (riviste, atti di convegni, enciclopedie, Festschriften) la casa editrice è generalmente omessa. Quest’ultima, o meglio, lo stampatore, viene indicato solo nel caso di bibliografie particolari (libri antichi, ecc.)

 

La collana

La collana o serie si segnala tra parentesi tonde (ed eventualmente anche tra virgolette, oppure in corsivo) quale ultimo elemento della citazione, oppure dopo il titolo e l’eventuale indicazione di edizione.

 

 

Articoli

Nel caso di articoli contenuti in periodici, bisogna distinguere due possibili modelli di citazione: 'anglosassone' e 'continentale'.

Il modello anglosassone stabilisce che, dopo il nome dell’autore, si riporti il titolo dell’articolo in tondo e tra virgolette, quindi il titolo del periodico in corsivo. Si specificherà poi l’annata, generalmente in cifre arabe, ma non il numero di fascicolo. Quest’ultimo si riporta, preceduto da barra obliqua (/), solo allorché la paginazione ricominci da capo a ogni fascicolo che entra a far parte dell’annata. Se la paginazione è continua attraverso i fascicoli non vi sarà infatti necessità di specificare il numero di fascicolo. Sarà riportato obbligatoriamente l’intervallo di pagine occupato dall’articolo che si cita, preceduto da "pp." (qualche autore usa invece i due punti):

 

Balsamo, L. (1994) “Alle radici di un progetto bibliografico europeo”, Bollettino AIB 34/1: 53-60.

Egan, M., Shera, J.H., “Foundation of a Theory of Bibliography”, Library Quarterly 22 (1952), pp. 125-137.

 

Il modello continentale richiede che, dopo il nome dell’autore, si riporti il titolo dell’articolo in corsivo, quindi il titolo del periodico in tondo e tra virgolette; viene poi l’annata, in questo caso generalmente in numeri romani; segue una virgola (anziché la parentesi), e quindi l’anno; l’eventuale indicazione del numero di fascicolo può essere in questo caso preceduta dall’abbreviazione "fasc."; in ultimo si ha l’abbreviazione "pp." seguita dall’intervallo di pagine (si noti che "pp." segue l’indicazione del numero di pagine allorché si tratta del numero di pagine complessivo di un documento, ma lo precede allorché stiamo individuando l’intervallo di pagine occupato da un certo articolo).

 

M. Egan, J.H. Shera, Foundation of a Theory of Bibliography, “Library Quarterly”, XXII, 1952, pp. 125-137.

 

Bisogna specificare sia l’annata sia l’anno, che non sempre hanno una corrispondenza fissa, giacché spesso sopravvengono intervalli nella pubblicazione dei periodici. Le citazioni devono essere uniformi: si usino per esempio sempre cifre arabe o sempre numeri romani, indipendentemente da come l’annata è indicata sulla rivista stessa.

Si ricordi che nel caso di articoli contenuti in periodici l’indicazione "in" è da omettere; titolo dell’articolo e titolo della rivista vanno separati solo mediante la virgola. Per gli articoli contenuti in periodici generalmente non si dà né l’editore commerciale né il luogo d’edizione.

 

Nel caso di articoli contenuti in poligrafie (miscellanee, dizionari, enciclopedie, dizionari biografici, Festschriften, scritti in onore di… etc.), si citano l’autore, e il titolo dell’articolo in corsivo (oppure in tondo, tra virgolette); quindi si dà l’indicazione "in" (seguita o meno dai due punti), e il titolo complessivo dell’opera in corsivo. Può essere opportuno citare, prima del titolo complessivo dell’opera, il nome dell’editore scientifico della poligrafia (se noto). Si segnala quindi la città, seguita dall’anno di pubblicazione (la casa editrice può essere omessa). Di nuovo, non si indica il numero complessivo delle pagine dell’opera, ma solo le pagine in cui è compreso l’articolo citato.

 

Clapp, V. (1957) Bibliography, in The Encyclopedia Americana, vol. III, New York, pp. 674-677.

D. Danesi, "Classificazione e indicizzazione speciali", in: M.  Guerrini (ed.), Biblioteche speciali. Atti del convegno di studio “La biblioteca speciale e specializzata”, Vinci, Biblioteca Leonardiana, 3-4 ottobre 1985, Milano, 1986, pp. 328-360.

 

 Se, d’altro canto, si cita tutta la poligrafia (e non un solo scritto contenuto in essa), allora essa sarà trattata secondo le regole della monografia:

 

M. Guerrini (ed.), Biblioteche speciali. Atti del convegno di studio “La biblioteca speciale e specializzata”, Vinci, Biblioteca Leonardiana, 3-4 ottobre 1985, Milano, 1986.

 

Citazioni dal Web

Le citazioni dal World Wide Web o, più in generale, dall’Internet sono, per quanto possibile, da evitare. A causa dell’estrema instabilità dei siti, le pagine citate possono divenire per sempre inaccessibili da un giorno all’altro. Qualora dovesse essere assolutamente necessario citare un documento presente sul web, la citazione conterrà almeno, nell’ordine, i seguenti elementi: autore o curatore (in maiuscoletto), titolo (in corsivo), anno di pubblicazione o, in mancanza di quest’ultimo, anno di copyright, URL (o indirizzo) completo, data d’accesso, e, se presente, la data della pagina.

 

Usberti, Marina, La citazione bibliografica delle risorse elettroniche remote, 2002, http://www.burioni.it/forum/usb-cit0.htm, 22-9-2003.

 

 

 

 

 

 

 


Appendice I

Quadro riassuntivo dei modi di citazione bibliografica

 

 

        Dei vari stili e modi di citazione bibliografica descritti nel par. II.6. se ne scelgono alcuni come consigliati. Negli esempi si adotta un tipo di citazione che fornisca un massimo di informazione per l'identificazione del documento, e che riporti il maggior numero possibile di dati: nome di battesimo per esteso (a meno che esso non appaia puntato nel frontespizio); titolo con eventuali sottotitoli per esteso; altre eventuali indicazioni date dal frontespizio; indicazione della casa editrice; indicazione della "collana". Ma, se si preferisce usare uno stile di citazione più "leggero", molte di queste indicazioni — come si è visto — possono essere omesse. Ciò che conta è scegliere uno stile di citazione e seguirlo in modo costante nel corso della tesi(na).

 

MONOGRAFIE

(nella bibliografia finale)

Cardona, Giorgio Raimondo, Storia universale della scrittura, Milano, Mondadori, 1986.

Maniaci, Marilena, Archeologia del manoscritto. Metodi, problemi, bibliografia recente, con contributi di Carlo Federici e di Ezio Ornato, Roma, Viella, 2002 (I libri di Viella, 34).

Pedersen, Johannes, The Arabic Book. Translated by Geoffrey French. Edited with an Introduction by Robert Hillenbrand, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1984 (Modern Classics in Near Eastern Studies) [ed. originale: Den Arabiske Bog, Copenhagen 1946].

 

(citazione per esteso in nota, con riferimento a un passo particolare)

Cfr. Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, Milano, Mondadori, 1986, pp. 76-78 (cap. V: La scrittura sugli oggetti).

Cfr. Robert Hillenbrand, Introduction, in J. Pedersen, The Arabic Book. Translated by G. French, Princeton, Princeton University Press, 1984, p. xiv.

® In questo caso, per non appesantire troppo la nota, si è scelto di omettere qualche elemento della citazione bibliografica completa, che viene comunque fornita nella bibliografia finale.

 

OPERE DI CARATTERE MONOGRAFICO COMPOSTE DA PIU' AUTORI / OPERE IN PIU' VOLUMI / RACCOLTE MISCELLANEE (vedi sopra, par. I.5.)

Nella grande maggioranza dei casi, in una tesi(na) si avrà bisogno di citare, in nota o in bibliografia, singoli contributi contenuti in questi "volumi contenitore", e meno spesso ci sarà bisogno di fare riferimento alle opere in generale. Tuttavia, si danno ugualmente degli esempi di citazione di questo tipo di opere. 

 

(nella bibliografia finale)

          The Cambridge History of Iran, Cambridge, Cambridge University Press, 1968-1991, 7 voll. (vol. III in due tomi).

® La Cambridge History of Iran è una monografia in più volumi. Come spesso accade, ogni singolo volume ha un sottotitolo proprio (es.: Vol. I: The Land of Iran; Vol. II: The Median and Achemenian Periods; ecc.) ed ha uno o più curatori. Nella citazione generale, si omettono i titoli dei singoli volumi e le relative indicazioni di responsabilità scientifica. Come per tutte le opere in più volumi, inoltre, se i volumi sono usciti in anni diversi, si dà solo il primo e l'ultimo anno di pubblicazione dell'opera (e non le date di pubblicazione di tutti i singoli volumi), e il numero totale di volumi. Nell'ordinamento alfabetico questa entrata va ordinata sotto la lettera "c", perché - come si è visto (par. I.7.3.) - si considera come primo elemento dell'ordinamento alfabetico la prima parola ("Cambridge") dopo l'articolo.

 

Gallotta, Aldo - Marazzi, Ugo (edd.), La conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984-1985, 2 voll. (Collana "Matteo Ripa", III).

oppure:

La conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, a cura di Aldo Gallotta e Ugo Marazzi, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984-1985, 2 voll. (Collana "Matteo Ripa", III).

® Secondo le norme già viste relative all'ordinamento alfabetico, questa "entrata" dovrebbe essere inserita nella bibliografia finale sotto la lettera "c" (l'articolo va ignorato). Proprio per evitare simili casi di dubbio, tuttavia, nelle citazioni bibliografiche - a differenza che nei cataloghi - si preferisce la prima soluzione, con l'ordinamento sotto il nome del curatore o editore scientifico (nei casi in cui esso sia presente). Se si adotta questo stile di citazione, esso va seguito anche tutte le volte che la stessa opera viene citata in nota, e in tutti i casi simili.

 

(citazione in bibliografia di un contributo particolare da questo tipo di pubblicazioni)

Bosworth, C.E., The Early Ghaznavids, in The Cambridge History of Iran, Vol. IV: The Period from the Arab Invasion to the Saljuqs, ed. by R.N. Frye, Cambridge, Cambridge University Press, 1975, pp. 162-197.

® In questo caso, a differenza che nella citazione generale dell'opera (vedi sopra), si danno tutte le informazioni relative al solo volume IV (in cui è contenuto il contributo di Bosworth che interessa), che viene trattato alla stregua di una raccolta miscellanea.

 

Gallotta, Aldo, I manoscritti turchi della Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli, in Aldo Gallotta - Ugo Marazzi (edd.), La conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, vol. II, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1985, pp. 141-175.

® Si noti che l'indicazione che l'articolo citato si trova nel vol. II della raccolta precede le note di pubblicazione (anno, editore, data di pubblicazione).

 

(citazione per esteso in nota)

Cfr. Aldo Gallotta, I manoscritti turchi della Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli, in Aldo Gallotta - Ugo Marazzi (edd.), La conoscenza dell'Asia e dell'Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, vol. II, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1985, pp. 141-175 (pp. 150-155).

® L'indicazione delle pagine alla fine tra parentesi significa che si fa riferimento a quelle pagine particolari dell'articolo in questione. Si può anche scrivere: "(cfr. in particolare pp. 150-155)".

 

ATTI DI CONVEGNI (si citano come le raccolte miscellanee)

(in bibliografia)

          Fragner, Bert G. et alii (edd.), Proceedings of the Second European Conference of Iranian Studies, held in Bamberg, 30th September to 4th October 1991 by the Societas Iranologica Europaea, Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1995 (Serie Orientale Roma, vol. LXXIII).

 

Paul, Ludwig (ed.), Persian Origins. Early Judaeo-Persian and the Emergence of New Persian, Collected Papers of the Symposium, Göttingen 1999, Wiesbaden, Harrassowitz, 2003 (Iranica, 6).

 

(citazione in bibliografia di un contributo particolare)

Maggi, Mauro, New Persian Glosses in East Syriac Texts of the Eighth to Tenth Centuries, in Paul, Ludwig (ed.), Persian Origins. Early Judaeo-Persian and the Emergence of New Persian, Collected Papers of the Symposium, Göttingen 1999, Wiesbaden, Harrassowitz, 2003, pp. 111-145.

 

FESTSCHRIFTEN, SCRITTI IN ONORE, ecc. (si citano come le raccolte miscellanee)

(nella bibliografia finale)

Scarcia Amoretti, Biancamaria - Lucia Rostagno (edd.), Yād-nāma in memoria di Alessandro Bausani, Roma, Bardi, 1991, 2 voll. (Università di Roma "La Sapienza", "Studi Orientali", X).

® Si noti che il nome del secondo editor, non dovendo essere ordinato alfabeticamente nella bibliografia, può anche essere dato nell'ordine normale del nome seguito dal cognome.

 

 

ARTICOLI DI PERIODICI

(in bibliografia)

Arioli, Angelo, L'introduzione del Tadwīn: testo arabo, "Rivista degli Studi Orientali", 69 (1995), pp. 51-121.

oppure:

Arioli, Angelo, "L'introduzione del Tadwīn: testo arabo", Rivista degli Studi Orientali, 69 (1995), pp. 51-121.

 

(citazione per esteso in nota, scegliendo uno dei due stili di citazione proposti)

Cfr. Angelo Arioli, L'introduzione del Tadwīn: testo arabo, "Rivista degli Studi Orientali", 69 (1995), pp. 51-121 (p. 93).

® p. 93 racchiuso tra parentesi rappresenta la pagina particolare cui si fa riferimento, o da cui si cita.

 

 

 

SUPPLEMENTI DI PERIODICI

Molte riviste pubblicano, una o più volte all'anno, dei supplementi, che possono ospitare scritti di carattere monografico composti da uno o più autori, oppure raccolte di articoli, atti di convegni, ecc. A seconda dei casi, questi supplementi saranno trattati come monografie o come raccolte miscellanee. Il supplemento può essere indicato come se fosse un volume pubblicato all'interno di una collana; dalla citazione deve però risultare chiaramente il numero della rivista del quale il volume in questione è un supplemento.

 

(in bibliografia)

Casari, Mario, Alessandro e Utopia nei romanzi persiani medievali, Roma, Bardi, 1999 (Supplemento N° 1 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 72).

® Il supplemento è trattato come una monografia facente parte di una collana.

 

Galletti, Mirella, Le relazioni tra Italia e Kurdistan, Roma, Istituto per l'Oriente C.A. Nallino, 2002 (Quaderni di Oriente Moderno, 81, n.s. 20, 2001).

® Si noti che l'anno di pubblicazione può essere diverso dall'anno che figura come anno della rivista. L'abbreviazione n.s. significa nuova serie (vedi sopra, par. II.4.).

 

          In memoria di Francesco Gabrieli (1904-1996), Roma, Bardi, 1997 (Supplemento N° 2 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 71).

® Il supplemento è trattato come una raccolta miscellanea pubblicata all'interno di una collana. Nel caso esemplificato, non figura il nome di un curatore del volume. La citazione del volume perciò va sotto il titolo, oppure sotto il nome del primo dei contributori al volume, seguito dall'espressione "et alii", anche abbreviata (et al.):

 

          Alfieri, Bianca Maria et alii, In memoria di Francesco Gabrieli (1904-1996), Roma, Bardi, 1997 (Supplemento N° 2 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 71).

 

(citazione di un contributo particolare contenuto nel volume appena citato)

          Lancioni, Giuliano, Sull'ordinamento dei dizionari arabi classici, in In memoria di Francesco Gabrieli (1904-1996), Roma, Bardi, 1997 (Supplemento N° 2 alla Rivista degli Studi Orientali, vol. 71), pp. 113-125.

 

NUMERI MONOGRAFICI DI PERIODICI

Talvolta un numero di una rivista può essere pubblicato in forma di volume monografico, cioè dedicato ad un argomento particolare, e fornito di un titolo proprio. Chi cita, in questi casi complicati, può scegliere la soluzione che ritiene più opportuna. Per esempio:

(in bibliografia, in un testo in italiano)

Iranian Studies in Europe, Edited by Rudi Matthee and Nikki Keddie (numero monografico della rivista "Iranian Studies", 20/2-4, 1987).

oppure:

Matthee, Rudi - Keddie, Nikki (edd.), Iranian Studies in Europe, New York, The Society for Iranian Studies, 1988 (="Iranian Studies", 20/2-4, 1987).

® Nel secondo modello di citazione il volume è trattato come una monografia, di cui si danno anno, casa editrice o editore commerciale, e luogo di pubblicazione; l'indicazione che il volume costituisce un numero di una rivista è data come se si trattasse di un volume di una collana. Si noti che l'anno di pubblicazione può essere diverso dall'anno che figura come anno della rivista.

 

(citazione in bibliografia di un articolo contenuto in un numero monografico di una rivista)

Piemontese, Angelo, Italian Scholarship on Iran (An Outline, 1557-1987), "Iranian Studies", 20/2-4 (1987), pp. 99-130.

® In questo tipo di citazione il titolo particolare del volume monografico è ignorato, e l'articolo è citato come si fa normalmente con gli articoli di riviste. Si noti che il nome dell'autore, dato in maniera incompleta nella pubblicazione, viene lasciato così (sarebbe da integrare in Piemontese, Angelo <Michele>, ma questa integrazione rappresenterebbe un'eccessiva pignoleria).

oppure:

Piemontese, Angelo, Italian Scholarship on Iran (An Outline, 1557-1987), "Iranian Studies", 20/2-4, 1987 (=Iranian Studies in Europe and Japan), pp. 99-130.

oppure:

Piemontese, Angelo, Italian Scholarship on Iran (An Outline, 1557-1987), in Rudi Matthee - Nikki Keddie (edd.), Iranian Studies in Europe, numero monografico della rivista "Iranian Studies", 20/2-4 (1987), pp. 99-130.

® In quest'ultimo tipo di citazione, invece, l'articolo è presentato principalmente come parte di un  volume indipendente di contenuto monografico.

 

VOLUMI APPARTENENTI A PUBBLICAZIONI SERIALI con piano prestabilito (vedi sopra, par. I.5.)

Nella citazione dei singoli volumi appartenenti alla serie, il titolo generale della serie figura come l'elemento più importante, e utile all'identificazione del "documento". Titolo ed eventuali autori di volumi appartenenti alla serie vanno dati dopo il titolo generale.

 

(citazione del volume in bibliografia)

Handbuch der Orientalistik, Erste Abteilung, Band IV: Iranistik, 1. Abschnitt: Linguistik, Leiden - Köln, 1958.

® Questa citazione si riferisce ad un volume appartenente alla serie (o collezione, o collana in senso stretto; vedi sopra, par. I.5.) intitolata Handbuch der Orientalistik. Il volume in questione rappresenta il primo tomo (Abschnitt), intitolato Linguistik, di quello che — nel piano generale dell'opera — costituisce il quarto volume, intitolato Iranistik, della prima sezione. Nella citazione bibliografica, si va dal "generale" al "particolare".

 

(citazione di un contributo particolare nel volume in questione)

Henning, Walter Bruno, Mitteliranisch, in Handbuch der Orientalistik, I/4: Iranistik, 1: Linguistik, Leiden – Köln, pp. 20-130.

 

RECENSIONI

(citazione nella bibliografia finale)

Cereti, Carlo G., rec. a Charles Melville (ed.), Proceedings of the Third European Conference of Iranian Studies, held in Cambridge, 11th to 15th September, Part 2: Mediaeval and Modern Persian Studies, Wiesbaden, Reichert, 1999, "Rivista degli Studi orientali", 75 (2001), pp. 284-291.

 

VOCI DI ENCICLOPEDIA

(citazione nella bibliografia finale)

TISSERANT, Eugène, s.v. Nestorienne (L’Église), in Dictionnaire de théologie catholique, vol. XI, Paris 1931, coll. 157-323.

® L'abreviazione s.v., sub voce, può anche essere omessa, e la voce essere citata come un qualsiasi contributo contenuto in una raccolta miscellanea, o in un'opera collettiva in più volumi.

 

ARTICOLI DI QUOTIDIANI

Cfr. Nello Ajello, Prezzolini. Ultime provocazioni, "La Repubblica", 29 gennaio 1999, p. 41.

® L'articolo di giornale è un articolo di un periodico, e come tale va citato; con la differenza che nel caso di un quotidiano non si dà il numero del volume e l'anno, ma la data (giorno, mese e anno) di pubblicazione.

 

LIBRI ANTICHI

Possono essere citati riproducendo in maniera più o meno fedele il frontespizio. Nella citazione più ampia e più fedele, si dà una trascrizione diplomatica del frontespizio, cioè tale da riprodurre tutte le particolarità ortografiche (uso delle maiuscole; abbreviazioni; particolarità ortografiche e ortografia storica, per es. u al posto di v, e viceversa); inoltre, si segnala con barre oblique la fine di ogni linea di scrittura, in modo che chi legge abbia davanti a sé quasi la fotografia del frontespizio del libro. Questo tipo di trascrizione del frontespizio è utile particolarmente nelle ricerche di bibliografia analitica, per permettere l'identificazione precisa dell'edizione del libro; ed è particolarmente usata per i libri a stampa più antichi, o incunaboli. Le abbreviazioni possono essere sciolte tra parentesi tonde.

 

          De ratione / communi omnium lin/guarum & literarũ com/mentarius Theodori / Bibliandri./ Tiguri, C. Frosch., 1548.

          Mithridates. De Diffe/rentiis lingua/rum tvm vetervm / tum quae hodie apud diuersas natio/nes in toto orbe terraru(m) in usu sunt, / Conradi Gesneri / Tigurini Obseruationes. / Anno / M.D.LV./ Tigvri excudebat / Froschovervs.

 

Altrimenti, i libri antichi si citano come se fossero libri moderni, eventualmente decidendo se lasciare il nome dell'autore e il luogo di pubblicazione nella forma latina data dal frontespizio, o nella forma originale:

Bibliander (Buchmann), Theodor, De ratione communi omnium linguarum et literarum commentarius, Tiguri (Zurigo), C. Frosch, 1548.

Gesner, Conrad, De differentiis linguarum tum veterum tum quae hodie apud diversas nationes in toto orbe terrarum in usu sunt […] observationes, Tiguri (Zurigo), C. Frosch, 1555.

 

MANOSCRITTI

I manoscritti si citano indicando la città e il nome della biblioteca in cui sono conservati, e la segnatura (in corsivo).

Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Fondi Minori 69 (S. Maria della Scala 42).

(Parigi), Bibliothèque Nationale de France, ms. Supplément persan 519.

(Città del Vaticano), Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Borg. pers. 15.

Firenze, Biblioteca Medicea-Laurenziana, ms. Orientale 117.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Appendice II

Quadro riassuntivo dei modi per introdurre un riferimento bibliografico in nota

 

 

 

 

 

 

 

1.    Se l'opera è citata una sola volta nel corso della tesi, il riferimento bibliografico in nota è dato per esteso (attenzione: il nome precede il cognome; deve essere data l'indicazione precisa della pagina o delle pagine cui si fa riferimento, o da cui si cita). L'opera si riporta anche nella bibliografia. Per i modi di citazione bibliografica, vedi sopra, par. II.6. e Appendice I.

 

2.    Se l'opera è citata più volte, la citazione bibliografica si può dare per esteso la prima volta, e in forma ridotta le volte successive. L'opera viene riportata anche nella bibliografia. Es.:

 

1 Cfr. Finn Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982, p. 36.

 

4 Cfr. Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody cit., p. 36.

oppure:

4 Cfr. Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody cit. a nota 1, p. 36.     

 

BIBLIOGRAFIA

Thiesen, Finn, A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.

 

 

3.    Si sceglie fin dall'inizio un'abbreviazione o una sigla per riferirsi alle opere cui occorre fare riferimento ripetutamente nel corso della tesi. In questo caso, la sigla o l'abbreviazione, con il riferimento bibliografico in forma estesa, va dato in un'apposita LISTA DELLE SIGLE E ABBREVIAZIONI, posta prima della bibliografia finale, oppure nelle pagine iniziali della tesi, dopo l'indice generale (vedi sopra, par. II.2.):

 

1 Cfr. Prosody, p. 36.

2 Cfr. C.E. Bosworth, The Early Ghaznavids, in CHI, vol. IV, p. 178.

3 Cfr. P. Horn, Neupersische Schriftsprache, in GIPh, I,2, p. 28.

 

LISTA DELLE SIGLE E ABBREVIAZIONI

CHI = The Cambridge History of Iran, Cambridge, Cambridge University Press, 1968-1991, 7 voll. (vol. III in due tomi).

GIPh = Grundriss der iranischen Philologie, herausgegeben von W. Geiger und E. Kuhn, Strassburg, Karl J. Trübner, 1895-1904, 2 voll.  (vol. I in 2 tomi + una appendice; vol. II in 2 tomi) [ristampa anastatica: Berlin - New York, Walter de Gruyter, 1974].

Prosody = Finn Thiesen, A Manual of Classical Persian Prosody, with Chapters on Urdu, Karakhanid and Ottoman Prosody, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1982.

 

Tutti i riferimenti bibliografici che non compaiono nella lista delle abbreviazioni devono essere riportati in forma estesa in bibliografia:

 

 

BIBLIOGRAFIA

Bosworth, C.E., The Early Ghaznavids, in CHI, Vol. IV: The Period fron the Arab Invasion to the Saljuqs, ed. by R.N. Frye, Cambridge, Cambridge University Press, 1975, pp. 162-197.

Horn, Paul, Neupersische Schriftsprache, in GIPh, I. Band, 2. Abteilung, Strassburg, Karl J. Trübner, 1898-1901, pp. 1-199.

 

4.    Si usa il "sistema autore-data" (vedi par. II.5.4.).

 

 

 

 

fine



[1] Tradizionalmente si usavano i termini, ormai desueti, "in-folio", "in-quarto", "in-octavo", ecc., per designare rispettivamente il formato grande, medio, piccolo.

[2] Le discipline che studiano l'aspetto materiale del libro, manoscritto e a stampa, sono rispettivamente la codicologia (o meglio: archeologia del manoscritto) e la bibliologia, accanto a quella branca della bibliografia denominata "bibliografia analitica". E' evidente tuttavia che nozioni di carattere codicologico o bibliologico sono utili per chiunque conduca ricerca su testi.

[3] Il catalogo collettivo in linea o indice SBN è consultabile all'indirizzo http://opac.sbn.it, o da un apposito link dal sito della nostra facoltà.

[4] The National Union Catalog. Pre-1956 Imprints, London-Chicago, Mansell-The  American Library Association, 1968-1981, voll. 1-754 (i voll. 686-754 sono di supplementi).

[5] Il termine "monografia" ha almeno due accezioni diverse: in senso stretto indica quelle opere che vertono su un solo argomento, siano esse in uno, o in più volumi, composte da uno, o da più autori. In senso lato, invece, "monografia" è usato per indicare tutte quelle pubblicazioni, comprese quelle seriali, che non abbiano carattere periodico, cioè che non escano con una cadenza fissa. In questo senso nelle biblioteche italiane si parla spesso di "catalogo delle monografie", in opposizione a "catalogo dei periodici".

[6] Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche, Regole italiane di catalogazione per autori, Roma, ICCU, 1995 [ristampa anastatica dell'ed. 1979]. L'Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche (sigla: ICCU), che è l'ente autore delle Regole in questione, ha sede all'ultimo piano dell'edificio della Biblioteca Nazionale di Roma. A questo istituto ci si può rivolgere per avere un aiuto a localizzare opere che non si riescono a trovare nelle biblioteche romane, soprattutto se la ricerca sull'indice SBN (vedi sopra) non ha dato alcun esito.

[7] Regole italiane di catalogazione per autori, pp. 72-73.

[8] Regole italiane di catalogazione per autori, p. 82.

[9] Sulla questione degli usi nazionali cfr. International Federation of Library Associations and Institutions, Names of Persons: National Usages for Entry in Catalogues, 4th revised edition, München, K. G. Saur, 1996 (UBCIM Publications - New Series 16).

[10] Regole italiane di catalogazione per autori, pp. 86-87. A proposito del prefisso Mac, nella ricerca alfabetica bisognerebbe considerare che esso sia formulato secondo tale grafia anche nei casi in cui compare nella forma Mc.

[11] Su queste due diverse operazioni, vedi la sezione apposita in preparazione.

[12] Le RICA impropriamente parlano anche in questo caso di "traslitterazione".

[13] In alcuni cataloghi, le due lettere "i" e "j" possono trovarsi fuse insieme.

[14] Nelle parole spagnole, "ch", "ll" e "ñ" sono invece ordinati rispettivamente dopo "c", "l" e "n".

[15] L'apostrofo non si considera, e la parola è considerata come se fosse scritta tutta attaccata, solo quando esso indica la caduta di una o più lettere all'interno di una parola; per es. "don't" vale come se fosse scritto "dont".

[16] Nell'esempio in questione si ipotizza un cognome "Sant'Agostino". Il famoso Padre della Chiesa